Recensione Dragon Quest III HD-2D Remake
di: Luca SaatiProbabilmente i più giovani non possono capire l’importanza di Dragon Quest III nella storia dei videogiochi, e in parte neanche io posso capirlo pienamente dato che quando era uscito (1988 in Giappone e 1992 in Occidente) io neanche ero nato (classe ’93). Se oggi usiamo il termine JRPG, lo dobbiamo proprio a Dragon Quest III che alla sua uscita con il sistema di classi, la personalizzazione del party, il mondo aperto rivoluzionò il genere. Leggenda narra che il gioco fu così popolare in Giappone che alla sua uscita molte persone presero un giorno di ferie dal lavoro per poter giocare (1988, quando ancora non era un meme prendersi il giorno di ferie per l’uscita di un videogioco). Inoltre il gioco sviluppato dall’allora Chunsoft e pubblicato dall’allora Enix sdoganò la cultura del videogioco come passatempo popolare in Giappone facendo avvicinare a questo medium anche chi non era molto avvezzo. E in un periodo questo così nostalgico, Square Enix non poteva esimersi dal dare vita a un remake di questa pietra miliare della storia videoludica per catturare sia i vecchi fan che, magari, quei giovani che per motivi puramente anagrafici non hanno avuto la possibilità di giocare questa opera. A differenza dei remake di Final Fantasy VII, la software house ha scelto la strada del massimo rispetto del materiale originale con Dragon Quest III: HD-2D Remake.
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Origini
Sebbene il “tre” nel titolo, Dragon Quest III è in realtà un prequel dell’intera saga essendo ambientato prima dei capitoli 1 e 2 che insieme a questo 3 formano la cosiddetta trilogia di Erdick. Dal quarto capitolo in poi la serie racconta storie a sé stanti pur avendo sempre alcuni punti di contatto come il mondo e alcuni riferimenti a vecchi personaggi. Per chi se lo stesso chiedendo, è proprio per la sua natura di prequel che Square Enix ha pubblicato prima il remake di questo terzo capitolo e nel 2025 un remake contenente i capitoli 1 e 2. Solo il più recente Dragon Quest XI è ambientato cronologicamente prima di tutti gli altri, terzo capitolo oggetto di questa recensione compreso.
Fatta questa premessa, la trama del gioco vede come protagonista un giovanissimo eroe che nel suo 16° compleanno viene convocato a castello dal Re di Aliahan per affidargli la missione di sconfiggere il malvagio e potente stregone Baramos che minaccia di distruggere il mondo e che, anni prima, ha apparentemente ucciso il padre del protagonista. Così l’eroe, dopo aver reclutato tre compagni, parte per un viaggio che lo porta a esplorare i quattro angoli del mondo alla scoperta di luoghi fantastici e a tratti familiari come i regni di Romalia e Portoga (chiaramente ispirati rispettivamente a Roma e al Portogallo), le piramidi d’Egitto o l’argipelago Jipangu (il Giappone).
Nella sua avventura il protagonista si rende ben presto conto che non si tratta di solo di una semplice missione per salvare il mondo, ma di un viaggio alla scoperta di sé stesso e della sua eredità di famiglia. Quello di Dragon Quest III è un racconto piuttosto lineare, ma che nelle sue circa 30 ore sa riservare qualche sorpresa con i suoi intrecci, misteri e le sue battaglie epiche. Sia chiaro, non aspettatevi uno stile narrativo tipico dei titoli più moderni con cutscene e sequenze spettacolari. In fondo questo remake è comunque figlio del suo tempo quando i videogiochi elargivano parti di narrazione con il contagocce con le classiche vignette dei dialoghi tra i personaggi. Da segnalare però che in questo remake sono state fatte alcune aggiunte alla storia per creare dei legami più stretti con il già citato remake che includerà i primi due capitoli.
JRPG classico
Dragon Quest III HD-2D Remake è estremamente fedele all’opera originale sul fronte del gameplay. C’è tutto ciò che gli amanti dei JRPG possono aspettarsi da un classico senza tempo: combattimenti a turni, personaggi predefiniti che imparano nuove abilità a livelli prestabiliti, una gestione oculata dell’equipaggiamento e esplorazione di un mondo di gioco con i suoi dungeon e i suoi pericoli.
La prima grande differenza a saltare all’occhio tra l’originale e il remake è ovviamente la grafica e la visuale durante l’esplorazione del mondo. Se nel videogioco del 1988 si utilizzava una visuale dall’alto tipica dei giochi di ruolo dell’epoca, il remake è passato a una prospettiva isometrica che migliora in modo significativo la profondità degli ambienti aggiungendoci effetti di illuminazione dinamici con il ciclo giorno/notte. Lo stile grafico mescola sfondi 3D dettagliati con la pixel art offrendo un look moderno che mantiene però il fascino della pixel art originale. L’ispirazione ad altri progetti di Square Enix come Octopath Traveller, Triangle Strategy e Live A Live è evidente con questo mix di sprite 2D, sfondi 3D e meccanismi di scorrimento e prospettiva per creare uno stile ornato e cinematografico che li fa risaltare.
Da un lato più strettamente ludico saltano subito all’occhio alcune migliorie alla quality of life che rendono l’esperienza di gioco più accessibile come una migliore gestione dell’inventario, un pulsante per l’auto guarigione, supporto per il salvataggio rapido, una navigazione più facile nel mondo di gioco con tanto di icone sulla mappa che danno informazioni sui luoghi già visitati, oltre a un indicatore che rende l’obiettivo sempre chiaro. Inoltre ci sono più incentivi all’esplorazione con il mondo di gioco pieno di piccoli segreti e alcuni punti scintillanti che segnalano la presenza di bottino prezioso che può includere oggetti consumabili, armi, armature e quant’altro.
Il combattimento è probabilmente la parte più deludente, ma non perché sia fatto male, ma perché resta fin troppo fedele all’opera originale. Non sono state aggiunte feature viste nei capitoli più recenti optando per un sistema liscio incentrato sull’uso di attacchi normali la cui potenza dipende dalla forza del protagonista e dall’arma equipaggiata, abilità o incantesimi che consumano PM e la classica posizione di difesa per ridurre i danni degli attacchi nemici. In fondo va bene così poiché il sistema nella sua semplicità funziona egregiamente e intrattiene dall’inizio alla fine con un livello di difficoltà ben bilanciato che non sfocia mai nel frustrante (a tal proposito ci sono tre livelli). Resta però quella sensazione di amaro in bocca quando ci si trova dinanzi alla classica schermata fissa da JRPG nel corso dei combattimenti in cui appaiono solo gli effetti degli attacchi e degli incantesimi, si poteva fare sicuramente uno sforzo in più nell’introdurre animazioni contestuali di attacchi e magie per rendere il tutto un po’ più spettacolare e piacevole da vedere. Per fortuna che c’è la possibilità di aumentare la velocità dei combattimenti così da non perdere troppo tempo nella staticità di questi momenti.
Un’aggiunta di questa edizione è la classe del Monster Wrangler che consente di catturare e utilizzare le abilità dei mostri in battaglia ampliando così le opzioni tattiche in combattimento. Questa novità è inoltre legata alla meccanica in stile Pokémon che consente di catturare i mostri amichevoli che si possono trovare nel mondo di gioco e di farli combattere nelle arene per vincere denaro e premi. L’arena, tuttavia, risulta più un riempitivo che un valore aggiunto a causa di una realizzazione abbastanza raffazzonata.
Infine c’è la localizzazione in italiano precisa con tanto di uso dei nostri dialetti come il romanesco nel regno di Romaria, e la splendida colonna sonora orchestrale eseguita dalla Tokyo Metropolitan Symphony Orchestra.
E così entrò nella leggenda…
Chiaramente Square Enix poteva fare uno sforzo produttivo maggiore e dare vita a un remake completo in tutto e per tutto, e invece ha optato per una strada più conservativa con Dragon Quest III HD-2D Remake dando vita a un gioco in grado di ammodernare uno dei capostipite del genere JRPG restando estremamente fedele al materiale d’origine senza osare più del necessario. Il risultato è un remake godibilissimo e piacevolissimo da giocare che può catturare sia i fan sfegatati che chi vuole scoprire le origini di questa serie videoludica.