Recensione Doom VFR
di: Simone CantiniL’ho già scritto altre volte, ma ora più che mai credo sia giusto ribadirlo: per me Doom, a partire dagli anni ’90, incarna l’esponente perfetto per la realtà virtuale. In quella decade per me spensierata, era la norma trovare in ogni fiera che ospitasse un settore tecnologico l’immancabile e gigantica (se rapportata ad oggi) postazione con caschetto, che prometteva di metterci davvero faccia a faccia con i demoni creati da id Software. Con risultati più o meno soddisfacenti. Ecco, magari ci sono voluti più anni del previsto, ma alla fine il sogno sembra essersi davvero tramutato in realtà, proprio grazie a Doom VFR. Ma i risultati varranno davvero il tempo speso ad aspettare?
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You died! O quasi…
Ho semplicemente adorato il reboot del re di tutti gli sparatutto, quello che nel 2016 si prese la briga di ribadire con prepotenza chi avesse davvero inventato uno dei generi più giocati ed inflazionati del panorama videoludico mondiale. Ed è proprio all’interno di questo rinnovato filone narrativo a base di marine spaziali e cyberdemoni che si va ad incasellare Doom VFR, scegliendo di sposarne ambientazioni e ritmi di gioco, spingendosi pure ad abbozzare un minimo in più di narrazione, anche se gli sforzi compiuti sono davvero risibili. Ma in fondo chi ha bisogno di giustificazioni letterarie quando si tratta di imbracciare un BFG e falciare orde di Imp? Vabè, giusto per dovere di cronaca vi dico che impersoneremo brevemente i panni di un membro della UAC che, guarda un po’, pochi istanti dopo l’avvio dell’avventura si ritroverà falciato da un corpulento Pinky. Ciao, fine della storia e game over. Almeno fin quando non si ritroverà a fissare la metà superiore del proprio cadavere, una volta che la sua coscienza sarà trasferita all’interno di un esoscheletro meccanico. Presa rapidamente consapevolezza della nuova condizione, il nostro improvvisato eroe si dovrà prodigare nel tentativo di chiudere la breccia dimensionale e fare ciao ciao con la manina alle aberrazioni demoniache che hanno invaso Marte. Il solito blando pretesto buono soltanto ad inanellare una serie di livelli, mutuati in gran parte da quanto visto nel citato reboot, la cui coerenza andrà a stridere forte forte mentre vomiteremo piombo sugli avversari, fino a giungere al blando ed insulso finale. È evidente come Doom VFR sia un vero e proprio flop dal punto di vista narrativo e strutturale, finendo per essere quasi una sorta di risicato bignami dell’esperienza originale, pur ambientando il tutto in un differente momento narrativo. I vari stage, per quanto al solito impreziositi da segreti e collezionabili da rintracciare setacciandoli minuziosamente, non aggiungono nulla all’eredità videoludica della serie, limitandosi ad alternare brevi momenti esplorativi alle immancabili e corpose orde di creature da maciullare senza pietà. Insomma, niente che non si sia già visto e giocato anche solo un anno fa. E allora perché questa sorta di spin-off non si porta a casa una sonora e meritata insufficienza? Beh, forse perché mai come in questo caso è il gameplay a fare la differenza.
Bastone e carota
Per potersi destreggiare all’interno del mondo di gioco, Doom VFR mette a disposizione degli utenti PS4 ben tre distinte modalità di controllo: Move, Aim Controller e classico pad. La prima soluzione è sicuramente quella più immersiva, dato che ci permetterà di controllare in maniera indipendente le braccia del nostro alter ego. Purtroppo finisce per peccare per quanto concerne il fattore mobilità, dato che ci consentirà di muoverci unicamente utilizzando il classico sistema di teletrasporto, a cui si abbina un movimento a scatti. Si tratta di una soluzione scontata vista la periferica, ma che mal si sposa con la marcata frenesia che caratterizza l’azione di gioco. Le cose, sotto questo aspetto, vanno decisamente meglio se si utilizza l’Aim Controller, data la presenza dei due stick analogici sul grigio fucile. Purtroppo tutti i buoni propositi di quella che pare davvero una soluzione implementata in corsa, finiscono per sbattere contro la barriera del realismo e dell’immersività: la gestione della periferica, difatti, richiede l’utilizzo di entrambe le braccia, pertanto ci ritroveremo ad avere quasi piantato nell’orecchio un innaturale moncherino sul lato sinistro del campo visivo, a cui si andranno ad unire alcune problematiche di tracciamento che renderanno oltre modo innaturale tale sistema di controllo. Appare, dunque, evidente come il compromesso ottimale sia incarnato dal classico pad che, seppur ci veda muovere in sincrono entrambi i nostri arti superiori, grazie al puntamento demandato al movimento della nostra testa e alla possibilità di muoverci liberamente, riesce a mettere una pezza alle problematiche precedentemente evidenziate. Una volta scelto il nostro sistema di controllo preferito non dovremo fare altro che metabolizzare il gameplay, tutto a base di riflessi e coordinazione, a cui andremo ad aggiungere (qualunque sia la periferica utilizzata) il teletrasporto. Quest’ultima feature servirà per eseguire le esecuzioni sui nemici storditi, di modo da ricaricare in minima parte la nostra energia, oltre che per raggiungere le postazioni sopraelevata, data l’assenza del canonico salto. È proprio grazie a questo mix di elementi che Doom VFR riesce ad esaltare il player, che si vedrà costretto ad alternare rapidi movimenti ed uccisioni ad una precisa gestione dello spostamento istantaneo, dando vita (soprattutto ai livelli di difficoltà più elevati) ad un galvanizzante balletto di morte. Il gunplay rappresenta, difatti, la solita eccellenza della produzione, forte di un realistico e sempre benvenuto feedback delle armi, capace di rendere anche l’apparentemente più blando degli scontri un’esperienza davvero memorabile. Ed una volta capito questo si può anche chiudere quasi volentieri un occhio al cospetto di una longevità non proprio eccezionale (al massimo livello disponibile inizialmente ho impiegato poco più di 3 ore per giungere alla fine), che si vede comunque allargare grazie alla presenza di segreti e collezionabili sparsi per i vari livelli, elementi che stimolano un ulteriore playthrough. Sicuramente interessante, inoltre, la presenza delle mappe classiche del primissimo Doom, riproposte in maniera fedele ad eccezione dei nemici, qua sostituiti con le loro versioni moderne: una piccola chicca che farà la gioia dei fan più stagionati, visto che comunque si tratta di livelli in grado di dire ancora oggi la loro. Tecnicamente c’è poco da dire, visto che Doom VFR si presenta in forma più che godevole anche su PS4 standard, grazie ad una grafica pulita e tutto sommato fedele alla versione maggiore, pur al netto di qualche ovvio ridimensionamento. Vi posso però garantire che trovarsi faccia a faccia con un Mancubus ha comunque un fascino tutto particolare.
Doom VFR mi ha fatto arrabbiare, ma anche godere come un animale in calore. Bastone e carota, ecco come si presenta la produzione virtuale di id, capace di inciampare vistosamente sul versante dell’originalità e dell’abbondanza dei contenuti, oltre che su alcune rivedibili scelte in quanto a sistemi di controllo. Solo che poi ti mette in mano una doppietta, ti sbatte senza troppi preamboli in mezzo all’azione e finisce per carezzarti con il suo trito, conosciuto, abusato ma ancora oggi insuperabile gameplay. Sarà pure una versione ridotta di un grande classico, di sicuro non il top dell’offerta VR, ma cavolo quanto è divertente!