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Recensione Di nuovo nel buio con Alan Wake’s American Nightmare

Alan Wake è tornato. Il racconto da brivido dello scrittore statunitense sta per colpirci ancora una volta. Per fortuna, non abbiamo paura del buio.

di: Mariano "TylerDurden" Adamo

No, questa non è la realtà, non può essere. Follia, morte, oscurità. Questo posto non può essere reale. Esiste sì, ma è frutto della mia mente. Una realtà alternativa che io stesso ho creato.
Simili pensieri, forse, hanno attraversato la mente di parecchi scrittori. Chissà cosa si cela veramente nella testa di chi riversa la propria anima sulla carta. Probabilmente questa turba emotiva ha colpito anche Alan Wake, il nostro scrittore videoludico preferito che, abbandonate le scene retail torna con questo nuovo episodio in versione digital delivery. È tempo di rispolverare torcia e segnalibro.

Uno, nessuno e Alan Wake

Ve lo ricordate Alan Wake? Sì, proprio lui, scrittore sull’onda del successo pronto a cimentarsi nel suo primo grande romanzo americano. Ci ha trasportati in questa storia di luci e ombre, di realtà e fantasia, di coraggio e paura. Se le nostre mani tremavano mentre attraversavamo foreste buie, il nostro cuore trovava conforto nella parole. Sì, le parole. Qui tutto gira intorno alle parole. Scritte, dette, lette e accompagnate da un potere magico – forte e oscuro – capace di cambiare la realtà. Ripeto, vi ricordate di Alan Wake? La sua storia… è storia, e perdonate il gioco di parole, tra scrittori forse ci si intende. L’avevamo lasciato lì, in mezzo ai suoi pensieri, con la sua macchina da scrivere, a combattere – forse per sempre – con il suo lato oscuro, Mr. Graffio. Un tizio simpatico, probabilmente sadico come pochi, ma chi siamo noi per giudicare?
Come non giudicheremo nessuno che non abbia “letto” il capitolo precedente e stesse ora brancolando nel buio e nella confusione di quest’articolo. È proprio così, e non vale solo per la recensione, ma per l’intero gioco. Magari sarà godibile, ma di certo non adeguatamente apprezzabile se non si sa di cosa – e soprattutto di chi – stiamo parlando.

Scrivere un libro essenzialmente significa voler raccontare una storia e Alan ha una storia molto, molto particolare. I suoi testi sono capaci di cambiare la realtà, di trasportarci in un mondo onirico e spaventoso. La narrazione, abbandonando le atmosfere à la Twin Peaks del primo capitolo, ci porta in Arizona, tra cactus e un clima tanto desertico quanto arido di umanità. Qui il nostro Alan cerca di ritrovare la via della luce, di ridare senso ad una realtà ormai priva di qualsiasi logica. Se la location ha subito dei cambiamenti, lo stesso non si può dire dell’intero comparto narrato. Siamo ancora prigionieri di questa “storia”, pronti a recuperare le pagine mancanti per comporre questo complesso puzzle metafisico, pronti a scambiarci battute di spirito con l’adorabile Mr. Graffio. Il feeling è pressoché lo stesso, Alan è ancora lo stesso. A stonare sono forse i personaggi secondari, poco incisivi, quasi messi lì per fornire un intercalare narrativo, più che arricchire la sceneggiatura. Qualche battuta interessante, un educato scambio di opinioni e ci lanceremo di nuovo nell’oscurità, dimenticando quasi subito chi abbiamo appena incontrato. E il contesto? Il contesto è familiare, c’è ancora lo show televisivo, le immancabili trasmissioni radiofoniche e tutto ciò che abbiamo amato – e che forse ci ha terrorizzato – nel precedente capitolo.
Quindi Alan Wake è questo? Sì, è proprio questo, e dovrebbe esserlo ancora, almeno in apparenza. Leggendo – o meglio giocando – qualcosa comunque stona. Un po’ come un testo con qualche errore di stampa. Non va, qualcosa decisamente non va. Non ci appassiona in maniera completa, non ci incolla al teleschermo, ci lascia lì, a gustarci senza troppa voracità un titolo confezionato e scritto bene ma senza quella “presunzione” di voler creare qualcosa di grande, di inimitabile.

Come detto, la storia è ben scritta, ma davvero non si lascia vivere come dovrebbe. Sarà per il gameplay (le cui meccaniche rimangono comunque ottime) che dopo un po’ stanca, sarà per qualche scelta poco coraggiosa, eppure qualcosa non va. I combattimenti con i Posseduti sono identici al predecessore, una bella scaricata di luce prima, una schioppettata poi ed ecco che il simpaticone di turno finisce a fondo pagina. Semplici, rapidi e ben studiati, proprio come piccole poesie haiku. Tra i “neologismi” figurano nuovi nemici e nuove armi, il che contribuisce sì a diversificare l’azione, ma anche a salutare definitivamente la componente survival. Più che in un deserto, ci troviamo in un’armeria a cielo aperto. Mai una situazione in cui ci troveremo veramente in pericolo, mai quell’adrenalina che ci accompagnava nel predecessore. Tutto assume una connotazione più frenetica e meno profonda, quasi come se stessimo leggendo un paragrafo scritto di fretta.
A questo si aggiunge un incedere schematico e ripetitivo. Non avvertiremo quella sensazione di essere trasportati dagli eventi, ma piuttosto di vivere in un “loop”, in un circolo vizioso in cui fare sempre le stesse cose, affinando di volta in volta la nostra sessione di gioco, raccogliendo più oggetti e, in ultima battuta, aggiustando quella realtà che Mr. Graffio ha distorto con tanta cura.
Vi ricordate invece della modalità extra di Alan Wake? No? Fate bene, perché non c’era. A questo giro di boa è stata aggiunta la modalità Arcade che, tenetevi forte, è l’ennesima copia della ormai onnipresente Orda. Ma non partiamo prevenuti, del resto nessun libro si giudica dalla copertina. Non sarà originale, ma forse è ben fatta. E invece no. La modalità Arcade regala sì qualche sorriso, ma è senz’anima. Da essa ci aspettavamo almeno un multiplayer locale; le nostre aspettative a riguardo purtroppo sono state tutte deluse. Praticamente una lotta solitaria contro i soliti nemici: eliminando gli avversari il nostro punteggio – e relativo moltiplicatore – salirà e per aumentare le nostre possibilità di sopravvivenza per la mappa saranno sparse munizioni e armi. In poche parole: la solita solfa. In ogni caso c’è da dire che, considerando il fattore longevità, è sempre meglio avere qualche distrazione extra che ci intrattenga una volta terminata la campagna principale.

Il fu Alan Wake

Il libro finisce qui. Alan Wake’s American Nightmare gode di un certo carisma, questo è poco ma sicuro. Lo stile ricercato, la narrazione profonda e particolare, pur non riuscendo a raggiungere i livelli del predecessore, ci affascinano quel tanto che basta per arrivare ai titoli di coda. Un po’ come tanti prima di lui non è riuscito a regalarci un degno sequel. Sia chiaro, non ci troviamo di fronte a un titolo programmato male o altro, ma solo davanti ad un progetto che, vuoi per il budget ridotto, vuoi per la poca passione, non ci ha colpiti come ci saremmo aspettati. Le meccaniche di gioco sono ottime, rovinate forse da un incedere troppo piatto e monotono, ripetitivo, ci sentiamo costretti a rileggere più volte passaggi già affrontati, già vissuti, già dimenticati.
Consigliato a chi considera il primo capitolo un bestseller da avere, un incubo da vivere col cuore in gola; tutti gli altri, invece, non hanno che da volgere il loro sguardo altrove. La cosa positiva è sicuramente il prezzo, sotto questo aspetto il prodotto preso per la sua interezza è sicuramente ottimo, tutto sta da come si vive la propria passione videoludica: se figlia unicamente dei gusti e della qualità o semplicemente un’espressione delle leggi di mercato.