Recensione Deathloop
di: Simone CantiniConfesso di essere arrivato all’appuntamento con Deathloop davvero infastidito, vista la costante presenza della produzione Arkane Lyon in praticamente ogni evento targato Sony, ultimo il recente PlayStation Showcase, che è stato capace di riservare sin troppo spazio all’avventura di Colt, a pochi giorni dal debutto. A peggiorare la situazione ci hanno pensato anche i rinvii subiti dal gioco, che da ipotetico titolo di lancio di PS5 ha finito per farsi attendere un bel po’, prima di coinvolgerci all’interno del suo subdolo loop temporale. Una situazione che pensavamo di aver ampiamente imparato a conoscere grazie a trailer ed articoli vari, ma che dopo la prova sul campo ha finito per spiazzarmi completamente. Oltre a costringermi a rivedere la mia iniziale posizione.
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Ricomincio da capo
È un nuovo giorno in quel di Blackreef, 24 ore in cui tutto può accadere e l’imprevisto è pronto a coglierci alla sprovvista ad ogni angolo. O meglio, queste parole potrebbero essere veritiere se l’isola non fosse sotto l’effetto di una non meglio precisata anomalia. E Colt ne sa quanto noi, non appena si sveglia su di una delle spiagge di questa sperduta lingua di terra, e si ritrova a fare i conti con una memoria completamente in panne ed alcuni misteriosi messaggi che, chissà come, iniziano a comparire all’orizzonte. Che diavolo ci fa in questo luogo dimenticato da Dio? Chi è lui in realtà? E che cosa vuole quella voce alla radio, che dice di chiamarsi Julianna? Perso in una location a lui sconosciuta, e noi con lui, l’uomo si farà lentamente strada lungo i quattro distretti in cui è divisa Blackreef, destreggiandosi tra copie di se stesso, morti che sembrano non avere alcun esito sul suo essere ed eventi che finiranno per ripetersi uguali ogni volta, proiettile dopo proiettile. Come nel citato film di Harold Ramis del 1994, ma anche in maniera analoga al recente Boss Level che trovate su Prime Video (per rimanere in ambito simil videoludico), Colt si ritroverà a ripercorrere all’infinito le solite 24 ore, eternamente scandite dall’iterazione perenne dei comportamenti degli abitanti di Blackreef. Morire od arrivare al termine della giornata non farà alcuna differenza, il nostro sfortunato eroe finirà per svegliarsi sulla spiaggia di cui sopra, nel tentativo di trovare il modo per mettere fine al loop. Una soluzione che, ben presto, sarà incarna dalla morte degli 8 Visionari presenti sull’isola, personalità appartenenti al misterioso progetto AEON che, se uccisi nell’arco di un singolo giorno, decreteranno la rottura dell’anomalia. Peccato che riuscirci non sarà affatto facile, visto che oltre a dover fronteggiare gli altri abitanti dell’isola, Colt dovrà anche difendersi dagli assalti di Julianna, non certo intenzionata a veder rompere questo ciclo eterno. Spiazzante e criptico, l’incedere di Deathloop si tramuterà presto in un gioco di incastri, una sorta di meccanismo investigativo che ci vedrà intenti a cercare di piegare a nostro vantaggio i comportamenti e le situazioni che caratterizzano l’eterno oggi di Blackreef, il tutto mentre dovremo anche reperire gli indizi necessari a compiere la nostra missione tutta d’un fiato. Arkane Lyon tiene fede al proprio pedigree, proponendo un gioco in cui al giocatore è lasciata, ancora una volta, la più completa libertà di azione: scordatevi, come in Prey (ma per certi versi anche in maniera più marcata) di essere presi costantemente per mano e condotti ai vari obiettivi. La soluzione dell’enigma è interamente nelle nostre mani, nel nostro saper esplorare le quattro macro aree in cui si nascondono i Visionari e nello sfruttare le varie fasi della giornata. Un enorme mosaico che si andrà a comporre poco a poco sotto i nostri occhi, in maniera non lineare, ed in cui la parola d’ordine sarà, ora più che mai libertà.
Non chiamatelo roguelike
Data la sua peculiare struttura ricorsiva, un occhio attento potrebbe sbrigativamente bollare Deathloop come l’ennesima produzione infarcita di elementi roguelike, ma mai come in questo caso il giudizio finirebbe per essere quanto mai errato. A dispetto degli elementi ricorrenti ad ogni run, difatti, il gioco non ci chiederà di ripetere meccanicamente le medesime azioni, nel tentativo di superare il blocco di turno imposto dagli sviluppatori. Questa reiterazione, difatti, nasconde numerose sfumature, tali da rendere sempre differenti i nostri approcci ai livelli che, a seconda di quelle che sono le nostre azioni ed il nostro modo di giocare, potrebbero aprire la strada a situazioni e sezioni completamente differenti. Un esempio ci viene fornito da un negozio di fuochi d’artificio, al cui interno si nasconde un codice indispensabile per capire come uccidere un obiettivo: visitandolo nel momento sbagliato potremo trovarlo deserto, oppure oramai ridotto in cenere da un incendio. Come fare per ovviare al problema? Semplice, recandoci sul luogo di primo mattino dovremo mettere fuori uso i trasformatori responsabili del sovraccarico che ha dato origine al rogo, per poi tornare in seguito, dopo la chiusura, e mettere così le mani sul nostro prezioso indizio. Si tratta soltanto di una della miriade di situazioni, sia principali che secondarie, che finirà per essere plasmata dalle nostre azioni, in quello che è un vero e proprio parco giochi, messoci a disposizione dai ragazzi del team. Un luogo di divertimento in cui potremo scatenarci come dei novelli Rambo, scegliendo un approccio sfrontato e diretto, ma in cui nulla ci vieterà di agire furtivamente, sfruttando il complesso e machiavellico level design di Blackreef. A disposizione di Colt, oltre ad un discreto arsenale di bocche da fuoco, invero più efficaci che originali, troveremo anche alcuni poteri in odor di Dishonored (non a caso sempre opera di Arkane), che potremo sottrarre ai Visionari uccisi, oppure a Julianna, e che daremo in grado di potenziare ripetendo gli assassini. Questi, così come le armi e le piastrine per le stesse e per Colt (invero dei perk passivi) potranno essere portati in dote tra un giorno e l’altro, infondendoli di una peculiare energia che sarà possibile ottenere dai cadaveri e da particolari oggetti sparsi per gli stage. Questo espediente ci consentirà di dare vita alle varie build, capaci di adattarsi al nostro stile di gioco: la varietà non è eccessiva, visto che comunque non parliamo di un RPG ma di uno shooter, ma l’impatto che avranno sul gameplay sarà comunque tangibile. A completare il quadro dei nostri assi nella manica avremo il nostro fidato Hackamajig, una sorta di radio capace di hackerare le strumentazioni elettroniche, oltre ad una serie di granate modulari ed una piastra in grado di fornirci due vite supplementari per ogni loop.
Spezzare o preservare?
Non di solo Colt, però, vive Deathloop, dato che come avrete sicuramente capito, anche grazie ai numerosi video comparsi in rete, tra i protagonisti semi indiretti del gioco troveremo anche la citata Julianna. L’incaricata alla conservazione del loop potrà difatti invadere le nostre partite in maniera completamente casuale, e quando ciò avverrà sarà nostro compito ucciderla il prima possibile, sia per entrare in possesso di preziosi oggetti, ma anche per riuscire a sbloccare più agevolmente l’uscita del livello in questione. Questa meccanica, oltre ad infondere al tutto un’ulteriore spinta in fatto di imprevedibilità, va anche ad incarnare la componente multigiocatore della produzione: se saremo connessi alla rete, difatti, la letale assassina potrà essere impersonata da un giocatore in carne ed ossa (è comunque possibile far gestire il tutto all’IA). Anche noi, pertanto, potremo scegliere di mettere per un attimo in pausa la nostra missione, per provare ad intralciare gli altri Colt sparsi per il globo. Così facendo avremo accesso ad una modalità aggiuntiva, sicuramente più esile del piatto principale, ma che inanellando partite su partite ci consentirà di rendere la nostra Julianna personale sempre più letale, grazie a perk, armi e ad una spruzzata di skin aggiuntive (che saranno rese disponibili anche per Colt stesso). Sicuramente un’idea interessante, in grado di ampliare la già corposa longevità generale. Su questo aspetto, però, mi riservo di quantificare il tutto in maniera univoca, dato che il tempo che trascorreremo su Blackreef (pare quasi un controsenso viste le tematiche del gioco) dipenderà unicamente dal nostro riuscire a decifrare il complesso ed intricato groviglio ordito dal team.
Sentire il tempo
Tecnicamente parlando il gioco si presenta all’appello, su PS5, con tre distinte configurazioni grafiche, con il classico dualismo tra prestazioni e grafica, a cui si affianca una modalità dedicata al raytracing. Le prime due presenteranno un frame rate ancorato ai 60 frame con la presenza di una risoluzione in 4K dinamico, con tali aspetti che saranno più o meno stabili a seconda della nostra scelta. Il terzo elemento introduce, invece, dei riflessi migliorati, per quanto davvero superflui, dimezzando però la conta dei frame. Inutile dire, vista la tipologia di gioco, quale sia la soluzione più indicata. Per il resto, visivamente parlando, ci attestiamo sui livelli tipici di Arkane, pertanto non aspettatevi chissà quali mirabolanti situazioni grafiche. È indubbio, però, come l’estetica smaccatamente anni ’60, a metà strada tra un Bioshock, No One Lives Forever e We Happy Few, rappresenti una delle espressioni migliori della produzione. Fiore all’occhiello dell’edizione italiana è invece l’eccellente doppiaggio nella nostra lingua, che può contare su di una spettacolare prova attoriale fornita dalle varie voci coinvolte. Stupisce a metà l’integrazione del DualSense, che seppur alquanto elementare in fatto di trigger adattivi (era lecito aspettarsi un guizzo in più), fa centro per quanto concerne il supporto al feedback aptico e, soprattutto, all’altoparlante presente nel pad. Peccato per qualche piccolo bug, che mi ha costretto a ripetere più volte un paio di loop perché non era possibile raccogliere un oggetto chiave (sprofondato chissà come nel terreno), oppure a riavviare il tutto in seguito ad improvvisi freeze: confido comunque in una veloce patch.
Spiazzante ma dannatamente divertente, Deathloop è riuscito davvero a sorprendermi nel corso della mia corsa tra i distretti di Blackreef. Il loop messo in piedi da Arkane Lyon certifica ancora una volta l’abilità del team, che si è dimostrato capace di dare nuovamente vita ad un’esperienza libera e priva di vincoli apparenti. Trovare il bandolo di questa intricata matassa sarà, ora più che mai, esclusivamente compito nostro, dato che lo studio si è semplicemente limitato a fornirci un’ambientazione ed una serie di strumenti utili a domarla: come sperduti naufraghi, starà a noi trovare il modo migliore per portare a casa la pelle, e poco importa se per farlo dovremo morire ancora, ancora, ancora e ancora…
Sicuramente una delle più belle sorprese dell’anno che, però, potrebbe spaventare tutti coloro che sono già rimasti scottati dal modo in cui Arkane concepisce il videogioco. Chi adora il loro stile, invece, può tranquillamente tuffarsi in questo complesso loop.