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Recensione Death Stranding

di: stefano.pet

Quando mi è stato chiesto di recensire Death Stranding mi sono sentito spiazzato: come fare a dare un’opinione quanto più oggettiva possibile di un gioco in cui il gusto e l’esperienza personale avuta con esso sono un aspetto fondamentale nel decretare se ci è piaciuto o no? Perchè questo è il titolo di Hideo Kojima: non punta al gameplay, non punta all’azione, ma all’immedesimazione con il mondo di gioco e con i personaggi attraverso soluzioni innovative, che possono convincere o spiazzare, piacere o annoiare. L’esclusiva Ps4 (temporale, in quanto è prevista una futura uscita su Pc) richiede al giocatore di cambiare il suo solito approccio al gioco e, di conseguenza, non potrà essere apprezzato da tutti.

Nel giocarlo, io ho potuto sfruttare due grossi vantaggi, che mi hanno aiutato a vivere pienamente il gioco e, spero, a recensirlo al meglio grazie al fatto di non avere la mente occupata da pregiudizi. Il primo motivo è che non sono un fan di Kojima, pur riconoscendo la qualità dei suoi lavori precedenti. Il secondo è che la redazione mi ha permesso di giocarlo con i miei tempi, così da poter approfondire ogni aspetto del gioco, senza fare una corsa verso la fine della trama: Death Stranding infatti è un titolo che può sembrare semplice se lo si guarda superficialmente, ma appena si gratta un pochino si scopre una grande profondità in ogni suo aspetto, dalla trama, al gameplay, fino ai messaggi che gli NPC ci inviano.

Tornando alla domanda iniziale, è impossibile restare oggettivi quando le proprie emozioni influenzano il giudizio finale e non si può parlare, per non fare spoiler, delle cause delle emozioni stesse. Malgrado questo cercherò di elencare tutti i pregi e difetti del titolo, in modo tale che, a prescindere dal giudizio finale, ognuno di voi possa farsi un’idea, in base ai propri gusti, di quanto il gioco faccia al proprio caso.

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Un mondo postapocalittico 2.0

Siamo abituati ai mondi postapocalittici, ma Kojima ci presenta la solita situazione in una maniera del tutto nuova. Parlando della trama sarò abbastanza superficiale per evitare ogni spoiler possibile, ma il suo svolgere ci dipana davanti una storia molto complessa, sia dal punto di vista dei personaggi che da quello più ampio del mondo di gioco. In un futuro molto prossimo la vita sulla Terra è completamente diversa da quella che conosciamo: la gente è costretta a vivere per lo più sottoterra, in grosse città o in bunker privati. Il motivo? La sovrapposizione del nostro mondo con quello dell’aldilà, causato da eventi che ci verranno rivelati solo col proseguire della trama. La pericolosità di questa sovrapposizione è dovuta al fatto che le entità dell’altro mondo, chiamate CA, portano con se l’antimateria e ogni contatto con un essere umano crea l’annichilimento e, di conseguenza, la formazione di una enorme voragine. Per cui gli esseri umani devono ridurre ai minimi termini i contatti fisici con il mondo esterno e bruciare i propri cadaveri per non far entrare le CA nelle proprie comunità. Questa situazione estrema porta come immediate conseguenze l’isolamento delle singole comunità, piccole o grosse che siano, alla distruzione della rete di comunicazione fino ad allora utilizzata e l’innalzamento a uno status di importanza assoluta di un lavoro che prima era scarsamente considerato: quello del corriere. Ed è proprio questo il lavoro del nostro personaggio, Sam Porter Bridges, che controlleremo per la prima volta durante una sua consegna alla nuova capitale degli Stati Uniti. Fin da subito scopriremo che ha due caratteristiche che lo rendono speciale: possiede le Dooms, cioè la capacità di percepire le CA, e che è un Riemerso, cioè una persona in grado, una volta morto, di riportare la sua anima all’interno del proprio corpo, ritornando in vita. Il personaggio, interpretato dal semplicemente perfetto per il ruolo Norman Reedus, si dimostra fin da subito propenso alla solitudine e allergico a qualsiasi forma di contatto umano. Il motivo risiede nel suo oscuro passato, rappresentato a inizio gioco, solo da una foto di famiglia in cui lo si vede affianco ad una donna incinta. Dopo alcuni eventi, che ci introducono alla situazione generale in cui versa il mondo, ci viene spiegato il nostro compito, che ci seguirà per tutto il corso del gioco: creare una rete di connessione tra le varie comunità degli Stati Uniti in modo da creare un nuovo stato denominato UCA. Per farlo viene sfruttato un nuovo elemento scoperto a seguito della sovrapposizione tra i mondi: il Chiralium. Questo elemento è in grado di fare da ponte nel trasferimento ad altissima velocità di una mole enorme di dati e permette, tramite i suoi diversi utilizzi, la catalizzazione di operazioni altrimenti molto lente come la stampa 3D su larga scala. Con questo scopo fisso in mente, inizieremo un viaggio attraverso luoghi molto diversi tra loro, in una trama ricca di colpi di scena, arricchita ulteriormente dalla presenza di un cast stellare che vanta la presenza di, tra gli altri, Guillermo del Toro, Troy Baker, Mads Mikkelsen, il già citato Norman Reedus e la protagonista del vecchio telefilm La Donna Bionica Lindsay Wagner. La storia è coinvolgente in un primo momento, grazie alle mille incognite che ci propone: infatti veniamo bombardati di termini e informazioni di cui non sappiamo nulla, ma con cui avremo familiarità con il passare delle ore. Scopriremo così cosa sono l’Odradek, lo strumento che i corrieri portano sulle spalle, i Bridge Baby, i feti incapsulati che alcuni corrieri usano, la cronopioggia, quella che sembra una pioggia normale, ma che invece accelera lo scorrere del tempo negli esseri viventi e via discorrendo. Tutta una serie di termini che all’inizio spiazzano un po’, ma con cui si familiarizza ben presto. Tutti i personaggi, oltre ad essere ben caratterizzati, hanno una profonda storia passata e sono coinvolti nella giusta quantità nella trama. Nessuno di loro mi è sembrato accessorio, al massimo svolgono il proprio ruolo per poi passare un po’ in secondo piano. In particolare segnalo la storia di Mama, che ho trovato geniale e straziante allo stesso tempo. Il ritmo della storia è esponenziale: inizia lentamente e, col passare dei capitoli, assume un ritmo sempre più incalzante. Da un certo capitolo in poi diventa un’esplosione di rivelazioni e il gioco ti fa dimenticare delle missioni secondarie, tanta è la voglia di andare avanti. Il finale è degno del resto della trama: coerente, convincente e stupisce il giusto. Non è un finale da esplosione mentale solo perché, nei capitoli conclusivi, il gioco ti porta a capire in maniera graduale una parte delle rivelazioni finali (a patto di aver seguito per bene tutto il filo logico della storia). Infatti ci verranno fornite, durante tutto il gameplay, tantissime informazioni (scritte, nei filmati o addirittura nel mondo di gioco) che man mano riusciremo a legare tra loro in una sequenza sempre maggiore di intuizioni che, se si sono fatti i ragionamenti giusti, troveranno conferma nei capitoli finali. Una bella trama, che diventa eccellente se si decide di seguirla con la giusta attenzione.

La regia delle cutscenes è praticamente perfetta. Tante chicche nascoste, ma, allo stesso tempo, permette di seguire bene la storia. È evidente che, sotto questo frangente, la cura dei dettagli è stata meticolosa.

L’intera trama l’ho portata a termine in 40 ore abbondanti, durante le quali ho effettuato una discreta dose di missioni secondarie. Il gioco ti spinge, come vedremo parlando del gameplay, a fare le side quest soprattutto per sperimentare nuovi metodi, e sbloccare equipaggiamento più efficace, però si può tranquillamente tirare dritto fino alla fine della storia senza farne.

Semplicemente complesso

Alla presentazione del gioco, quando Kojima ci presentò quel video gameplay di quasi 50 minuti, quasi tutti abbiamo pensato che quella fosse solo una parte e nel lavoro finale ci sarebbe stato altro, invece non è stato così: le meccaniche mostrate rappresentavano esattamente quello che il giocatore si sarebbe trovato a fare nel titolo. Quello che però non è stato mostrato sono le varianti in ballo e le possibilità: infatti il gioco introduce per tutta la sua durata nuove meccaniche, che potremo sfruttare o ignorare, che ci porteranno ad avere una quantità molto grande di alternative per gestire lo stesso carico. Il gameplay si divide in tre fasi principali, che coesistono e ci si presentano a fasi alterne. La prima fase è la consegna vera e propria e già questo aspetto contiene molti dettagli. Per prima cosa dobbiamo scegliere quanti e quali carichi metterci in spalla, basandoci sul loro peso e sulla destinazione di consegna. Il peso trasportabile all’inizio è modesto, ma cresce giocando, grazie anche ad aiuti meccanici che non elenco per non rovinare la scoperta. A questo punto dovremo distribuire il carico in modo tale che il peso sia equilibrato e le casse più importanti siano meno esposte, in quanto potranno danneggiarsi nel tragitto. Questa operazione può essere fatta fare in automatico al gioco oppure possiamo farla manualmente noi (cosa che consiglio di fare soprattutto nelle fasi avanzate, dove i carichi sono ben più ingombranti). Se le casse si danneggiano non è un problema: l’importante è che il loro contenuto sia nel migliore stato possibile. Durante il tragitto si rovineranno cadendo o se bagnate dalla cronopioggia. Una volta bilanciato il carico si parte, in quelle che sono quasi delle maratone. Si affrontano percorsi accidentati, con arrampicate, guadi, discese e quant’altro per cui farà la differenza scegliere il giusto percorso basandosi sulle proprie conoscenze della zona e sull’attrezzatura a propria disposizione. Oltre la barra della salute, ripristinabile mangiando i criptobionti, avremo una barra della resistenza, che scende quando si fanno attività particolarmente faticose, e si potrà recuperare fermandosi a riposare o bevendo energy drink. Inoltre questa barra diminuirà in maniera non recuperabile man mano che facciamo sforzi, accorciando, di conseguenza, il tempo in cui possiamo sfruttarla: l’unico modo per ripristinarla è dormire, possibilmente in un rifugio sicuro. Oltre a Sam dovremo badare allo stato dei nostri pacchi, che si potranno riparare per strada con la giusta attrezzatura, e alla salute del nostro Bridge Baby, o BB. Quest’ultimo è un prezioso strumento per l’individuazione delle CA e dovrà essere sempre in uno stato di quiete, infatti, in caso contrario, dovremo calmarlo noi stessi o, nei frangenti più estremi, riportarlo in un rifugio sicuro quanto prima. Altro aspetto da curare sono gli stivali di Sam, che potranno rovinarsi e portare fino al sanguinamento se non vengono sostituti per tempo. Questa fase è un vero e proprio spostamento da punto a punto in cui, però, potremo anche incappare in nemici o in strutture degli altri giocatori, come vedremo tra poco. In questa fase ci sarà di grande aiuto l’Odradek, uno strumento che, come un radar, ci mostrerà i pericoli del terreno facendoci capire, con l’utilizzo di colori diversi, dove si può passare e dove no.

Se dovessimo incappare in un nemico si entrerà nella seconda fase, quella del combattimento. Qui il gioco mostra le sue uniche lacune, a mio avviso. Sia che i nemici siano umani o CA sarà importante evitare lo scontro quanto più possibile, soprattutto nelle prime fasi di gioco, in cui saremo scarsamente armati. I combattimenti con gli umani, rappresentati da Muli (ex corrieri ora dediti allo sciacallaggio) o terroristi, sono caratterizzati da un gunplay veramente buono, ma da una IA abbastanza scarsa. I nemici spesso danno la sensazione di muoversi spinti più da una furia cieca che da una intelligenza vera e propria. D’altro canto noi, non potendo ucciderli per evitare la formazione di voragini, saremo costretti ad usare armi non letali che vanno dai semplici pugni, a inizio gioco, fino a sparabolas elettriche o fucili con munizioni stordenti. I combattimenti con le CA sono diversi: loro si troveranno in punti predeterminati e noi dovremo evitarle senza farci catturare. Con l’avanzamento del gioco avremo sempre più armi con le quali spianarci la strada, con proiettili che sfruttano il nostro sangue, per cui più colpi usati equivarrà a una maggiore perdita di vita, il che ci costringerà a usarle parsimoniosamente. Con l’avanzare della trama avremo anche un modo “alternativo” per sconfiggerle. Per evitarle dovremo sfruttare il BB, che ci darà modo di individuarle. Più sarà stressato e meno ce le mostrerà. Se vieniamo catturati dovremo cercare di liberarci sfruttando l’equilibrio e la nostra stamina residua. Se neanche questo sarà sufficiente perderemo i pacchi e si attiverà una boss fight che potremo portare a termine, liberando per un periodo di tempo la zona, oppure evitare lo scontro allontanandoci oltre la zona di pericolo.

Infine c’è la terza fase, cioè l’interazione con gli altri giocatori. Death Stranding ci propone una cooperativa multiplayer asincrona che funziona in modi che sono abbastanza nuovi per i videogiocatori. Infatti ci sarà una costante sensazione di interazione, malgrado non si possa giocare contemporaneamente con un altro giocatore. Le interazioni sono molteplici e di varia natura. Innanzitutto qualsiasi cosa mettiamo a terra, che sia una scala, una costruzione o semplicemente un pacco smarrito, sarà visibile nel mondo degli altri cosicché potranno usarle o completare la consegna. Viceversa nel nostro mondo troveremo costruzione e pacchi smarriti dagli altri giocatori. Le strutture e i pacchi si rovineranno col tempo e spariranno se non vengono riparate o raccolte. Inoltre potremo chiedere ai giocatori di fornirci un’attrezzatura specifica, o di rifornire una struttura in costruzione di un particolare materiale di cui siamo a corto. In questo aspetto è stato fatto pienamente centro perché, per la prima volta in vita mia, ho visto giocatori basare il proprio avanzamento sull’aiutare gli altri, costruendo strade, fornendo materiali e realizzando strutture e mezzi, posizionandoli in punti strategici della mappa. Si potrà decidere con quali giocatori avere più interazioni, facendoci apparire con più frequenza le loro cose (il numero aumenta con l’aumentare del nostro livello). Si possono posizionare cartelli, con i quali avvertire gli altri di un pericolo o della presenza di una data struttura nelle vicinanze. Infine si possono mettere i “Mi piace” alle strutture degli altri (maggiore è il nostro livello, maggiore è il numero che possiamo assegnarne), contribuendo alla loro progressione del personaggio e, ovviamente, riceverne.

Il gameplay offre anche delle varianti alle consegne base: le consegne fragili, in cui i pacchi saranno particolarmente soggetti a rotture del carico, e quelle a tempo.

Presenti anche vari livelli di difficoltà, ma raramente ci viene offerta una vera sfida. Per tutto il gioco non si ha mai la sensazione di essere di fronte a un punto in cui bisogna ingegnarsi più del dovuto per superare una zona, o in cui i nemici appaiono sbilanciati. Anche le boss fight, che il gioco offre sia nelle zone delle CA sia durante la trama, risultano ampiamente alla portata, con continui rifornimenti di armi e munizioni e un aumento della difficoltà che si traduce solamente in un aumento del tempo necessario a buttare giù il nemico. Il che è un peccato, perché questi combattimenti sono ispirati sia a livello di design che come gameplay, ma la scarsa sfida li rende poco divertenti.

Esiste anche un’ulteriore fase di gameplay legata alla trama, in cui ci troveremo a sparare con fucili e pistole e con un’ambientazione particolare, ma preferisco non parlarne nel dettaglio in quanto fonte di spoiler. Vi basti sapere che quelle fasi sono le migliori, in termini di combattimento, di tutto il gioco e sono rigiocabili dalla nostra stanza privata.

In conclusione mi sento di dire che il gameplay di Death Stranding, per la sua particolarità, è il punto di rottura tra i detrattori e i fan del gioco. Innovativo, sicuramente, ma inadatto agli amanti dell’azione pura. È un gameplay compassato, che alterna momenti di calma a momenti di ansia, a tratti ripetitivo, ma mai noioso. Ci sono alcuni viaggi in particolare che, la prima volta che li si affronta, danno un feeling gradissimo al giocatore grazie a un misto di sorpresa legata a un cambiamento improvviso di ambientazione, ad esempio, e sensazione di giubilo quando si vede in lontananza la propria meta.

Il gioco prevede l’attraversamento degli Stati Uniti dalla costa est a quella ovest passando per una serie di città e avamposti secondari, ricollegandoli tra loro man mano che li raggiungiamo, ed espandendo la rete chirale, cioè il raggio entro il quale potremo costruire. Ogni avamposto avrà una valutazione di noi in stelle (fino a un massimo di 5) al raggiungimento delle quali ci doneranno nuove attrezzature. Ad ogni consegna verremo valutati in base al tempo, al percorso scelto e alle condizioni del carico e ci verranno assegnati punti per la fama presso l’avamposto e punti per salire di livello. Il livellamento sblocca capacità, come il poter trasportare un peso maggiore, ad esempio, ma non saremo noi a decidere come assegnare i punti: il gioco li assegnerà automaticamente basandosi sulle scelte di gioco che abbiamo effettuato e favorendo, di conseguenza, le capacità che avremo sfruttato di più.

Il gioco ci permette di costruire strutture di vario genere, come ponti, strade, torri di avvistamento ed altro ancora. Queste strutture richiederanno materiali particolari sia per la loro costruzione che per il loro mantenimento, in quanto saranno soggette ad usura.

Il massimo ottenibile da questa console

Guardando l’aspetto puramente estetico del gioco, si ha la sensazione che la console sia stata tirata al massimo consentito. Non perché questa arranchi (versione provata: PS4 Pro), anzi, il frame rate è sempre stabile e le ventole si accendono raramente. Piuttosto perché i modelli poligonali sono incredibilmente dettagliati, al punto da mostrare rughe d’espressione estremamente realistiche. La cura del dettaglio si vede palesemente anche negli ambienti, vari e sempre impeccabili, con panorami stupendi, regalati anche dalla grossa profondità di campo. È evidente che gli sviluppatori sono stati agevolati in questo dalla scarsa densità di popolazione del mondo di gioco: oltre a Sam incontreremo solo pochi altri esseri umani e nessun animale, il che si traduce in una quantità enorme di memoria a disposizione per la resa grafica dell’ambiente. Le texture dei materiali hanno una resa molto realistica, così come lo sporco che si accumula sul personaggio. Unica pecca, come detto pocanzi, e la sensazione di vuoto data dall’ambiente, non so se voluta per coerenza con la trama o solo per esigenze tecniche.

Kojima Production per questo gioco ha abbandonato il Fox Engine, usato per gli ultimi titoli della serie Metal Gear, per passare al Decima Engine di Guerrilla Games. Cambio favorito dalla concomitanza della separazione di Kojima con Konami e dell’acquisizione dell’esclusiva da parte di Sony. Il Decima lo avevamo già visto all’opera in un altro openworld, Horizon Zero Dawn, e aveva già ben figurato, con un livello grafico altissimo, la console che non andava quasi mai al limite e un’ottima stabilità generale sia in termini di frame rate che come presenza di bug. In Death Stranding questo motore si conferma tra i migliori in circolazione, andando oltre quanto fatto in precedenza. Il titolo si è dimostrato completo e privo di qualsiasi problema fin dal lancio, con patch correttive piccole rispetto alla media attuale e i bug che si contavano sulle dita di una mano. Un solo bug pesante è stato riscontrato in fase di prelancio ed è stato corretto prima dell’uscita del gioco. Per il resto ho riscontrato qualche imperfezione minore e, onestamente, esilarante solo con l’utilizzo della corda durante il primo periodo dopo l’uscita del gioco. Ovviamente il merito non è solo del motore grafico, ma anche della software house, che si è dimostrata una delle poche ad investire ancora in quella figura mitologica chiamata betatester.

Il reparto audio del gioco è da 10 e lode. Il doppiaggio è degno di un film di serie a. I suoni ambientali sono coinvolgenti, molto credibili per quel che riguarda le CA, realistici per quel che riguarda la natura. La colonna sonora è stata fin da subito una sorpresa: CHVRCHES, Silent Poets, The Neighbourhood, Apocalyptica, Khalid, sono alcuni degli autori presenti nelle 29 tracce totali, ma sono i Low Roar a fare la voce grossa, non solo con la presenza di un numero maggiore di canzoni, ma soprattutto grazie alla qualità del loro sound, che non solo è perfetto per il gioco, ma è anche estremamente bello. Un gruppo che non conoscevo, ma che ora adoro. L’intera colonna sonora, chiamata Timefall, è disponibile su Spotify. La soundtrack originale è composta da Ludvig Forssell, già autore delle musiche di The Phantom Pain, che si dimostra ancora una volta un maestro nel suo lavoro.

https://youtu.be/akXP2x9pE4A

A un passo dalla perfezione 

Death Stranding non è assolutamente un gioco privo di difetti, ma riesce, grazie al coinvolgimento che crea nel giocatore, a renderli invisibili. Hideo Kojima ci ha ripetuto allo sfinimento il concetto di connessione parlando di questo titolo e, a fine gioco, posso dire tranquillamente che è riuscito in pieno a rendere questa astrazione tangibile. Un gioco che parla di un mondo di fantasia attraverso concetti quanto mai attuali, come l’isolamento, la necessità di cooperare per superare i problemi e la capacità dell’essere umano di superare le situazioni più avverse unendo le proprie forze e superando le differenze. Tutti gli ingranaggi del gioco girano all’unisono e, sommati, rendono al giocatore una sensazione che va al di là del prendere in mano il pad per giocare. Alla fine dell’esperienza vi rimarranno dei ricordi legati ai personaggi, delle emozioni, cosa che in questa generazione mi è capitato molto di rado.

Sul fronte del gameplay nascono le diatribe tra i giocatori, tra chi lo adora e chi lo trova noioso. Niente di strano in un gioco che prova, a mio avviso con successo, a portare qualcosa di mai visto. È stato creato un genere del tutto nuovo, un modo di giocare più compassato, più legato alla trama e meno action. Per giocatori “anziani” come me è stata una liberazione staccarsi dalla frenesia estremizzata dei giochi attuali, l’ho trovato rilassante e catartico, ma allo stesso tempo intrigante. Ovviamente il rovescio della medaglia è che una fetta di utenza, legata a doppio filo a ritmi di gioco ben diversi, può non apprezzare questo modo di giocare e bocciare in toto il titolo. Per la terza volta da quando ho la Playstation 4 mi sono ritrovato a battere le mani ai titoli di coda e ho giocato praticamente ogni cosa uscita su questa console. Una sensazione difficile da comunicare, che sicuramente sarà diversa in ognuno di noi perché dipende da quanto decidiamo di farci coinvolgere dal gioco. Il consiglio che vi do io, da giocatore a giocatori, è di approfondire, cercare di capire, non giocarlo di corsa, perché il messaggio all’interno del gioco è forte e anche perché capire determinate cose aiuta a vivere il gioco con più enfasi. Si parla sempre della cripticità delle trame di Kojima e anche questa non è diversa, però, sparse qua e là, si trovano tutte le risposte alle nostre domande. In conclusione Death Stranding è un titolo in la cura del dettaglio è maniacale, in cui si racconta una storia stupenda e che presenta un gameplay lento, ma funzionale e vario. Richiede al giocatore un approccio diverso dal solito, ma rende sensazioni che solo questo gioco riesce a dare.