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Recensione Dead Island: Riptide

Dopo poco più di un anno Techland sforna un nuovo capitolo della nuova saga di Dead Island. La storia riparte proprio da dove era stata lasciata e i giocatori vengono fiondati in un'avventura divertente, ma che di innovativo ha ben poco. Merita attenzioni dunque il nuovo Dead Island: Riptide?
Scopritelo leggendo la recensione di Console-Tribe a cura di Giorgio "Nadim" Catania!

di: Giorgio "Nadim" Catania

Sono tutti deceduti sull’isola di Palanai, o quasi. Uccisi da un virus micidiale, che non può essere contrastato da alcun vaccino. Pile di cadaveri si scorgono su quelle che, un tempo, erano stupende coste calpestate dai turisti. Fiumi di sangue hanno imbrattato i boschi dell’isola, coprendo lo splendente verde e tingendo il tutto di un cupo rosso. Eppure la cosa peggiore è che proprio i morti, i primi ad aver pagato con la vita il solo peccato di trovarsi in quel posto, sono tornati a camminare. Divenendo esseri senza senno, mossi da un solo istinto: quello di mangiare la carne dei vivi. I pochi sopravvissuti, nel tentativo di scampare al massacro, si sono arroccati negli edifici ancora abitabili, in attesa di soccorsi che non giungeranno mai.
Quello che un tempo era un paradiso tropicale si è trasformato quindi in una trappola mortale, da cui sembra impossibile fuggire. Eppure cinque persone, le uniche che sembrano immuni alla piaga che ha colpito la popolazione locale, hanno intenzione di scappare da questo inferno. E faranno di tutto pur di riuscirci, è certo. Dead Island: Riptide, nuovo gioco sviluppato da Techland e pubblicato da Deep Silver, racconta la loro movimentata storia.

Questione di stile

Meno di due anni fa uscì il primo, atteso Dead Island. Anticipato da una campagna di marketing di successo e tutto sommato apprezzato dalla critica, il gioco riuscì a ritagliarsi il suo spazio imponendosi, tra gli esponenti del genere zombie, come uno dei migliori. Questo avvenne grazie ad un’ambientazione di indubbio fascino, un’isola lussureggiante invasa da terribili non-morti e ad un gameplay originale, in grado di fondere elementi tipici degli hack and slash con altri propri dei GdR e degli FPS. Un miscuglio tanto strano quanto vincente, a conti fatti. Techland ha deciso quindi di riprovare ad adottare questa formula, perfezionandola appena un po’, per sfornare un diretto seguito del titolo in questione. Niente Dead Island 2 o Dead World quindi, come si era invece mormorato in passato, maDead Island: Riptide, una sorta di Dead Island 1.5. Il risultato è un prodotto che farà certamente la felicità dei fan sfegatati, ma che potrebbe far storcere qualche naso di troppo.
La storia riprende dal punto in cui era stata lasciata. I quattro eroi del precedente capitolo – la receptionist Xian Mei, il rapper Sam B, la star del football Logan e l’ex-agente Purna – dopo essere fuggiti con un elicottero da Banoi, raggiungono quella che sembra essere la salvezza. Ma questa altro non è che il traghetto per un nuovo inferno, l’isola di Palanai appunto. I quattro così, che nel frattempo hanno conosciuto un nuovo superstite – tale John Morgan, esperto nei combattimenti corpo a corpo – uniscono ancora una volta le loro forze per sopravvivere ad orde di non-morti, pronti a saziarsi delle loro carni. Ben presto così si sperimenta in prima persona un gameplay rimasto quasi immutato dal primo capitolo: una volta scelto il protagonista, ci si deve far strada tra le orde di zombie utilizzando armi di ogni tipo, da procurarsi durante i pellegrinaggi esplorando le varie e grandi location. Che siano contundenti, affilate, esplosive o velenose poco importa, ciò che conta è rimanere vivi e uccidere tutto ciò che si muove, o quasi. Per tale motivo esiste l’opportunità di riparare le armi ottenute e di crearne nuove, combinando quelle che già si hanno con oggetti trovati durante i viaggi. Il sistema ricorda molto quello di Dead Rising 2 e ci si può divertire a sperimentare soluzioni di tipi differenti, alla ricerca della lama o della mazza migliore. Gli strumenti di morte sono davvero numerosi, ognuno con i suoi punti di forza, i suoi difetti e una determinata resistenza. Uccidere i nemici risulta sempre divertente, specialmente se si decide di mozzare qualche arto, giusto per rendere gli avversari meno pericolosi o solo per il gusto di sporcarsi di sangue.
Tornano alla ribalta inoltre anche le pistole, fucili e mitragliatori, che in Dead Island: Riptide rivestono un ruolo più importante che in passato: sebbene le munizioni siano sempre limitate e poco efficaci contro parti del corpo differenti dalla testa, sparare raffiche contro i non-morti risulta utile tanto per rallentarli quanto per sfoltire i gruppi più numerosi, soprattutto quando questi assaltano in massa delle zone che il giocatore è costretto a difendere. Ecco quindi che un nuovo elemento di gameplay si fa strada tra quelli sopra citati: uno simile a quello dei tower defence, in cui bisogna piazzare trappole e barricate per proteggere un rifugio, fintanto che si spara – o si sminuzzano con armi differenti – gli zombie che riescono a superare le protezioni. Nulla di spettacolare o troppo complesso, ma una trovata che riesce ad aggiungere un po’ di pepe ad una formula altrimenti troppo similare a quella del precedente capitolo.
Tutto quanto è condito inoltre dalle caratteristiche da GdR già viste in passato: uccidendo nei modi più fantasiosi i nemici, si ottengono punti esperienza da utilizzare per sbloccare nuove abilità di tre tipi – che migliorano prestazioni, donano nuove mosse e abilità e potenziano le caratteristiche del protagonista quando entra in una sorta di modalità berserk.

Foreste lussureggianti e spiagge bianche

Dal punto di vista tecnico, Dead Island: Riptide non dimostra grandi passi in avanti rispetto al passato, anzi. Il comparto grafico che muove il titolo è lo stesso del suo predecessore, con tutti i pro e i contro che ciò comporta. Capita più volte quindi di osservare panorami naturali piuttosto ben riprodotti e davvero molto evocativi, che si alternano con interni di edifici che trasmettono ottimamente un senso di abbandono e degrado. Non mancano nemmeno ambienti chiusi, piuttosto bui e claustrofobici. Il senso di ansia quindi si sente ancora piuttosto spesso. Peccato però che, seppur dettagliati, tali ambienti godano di texture che non sono all’altezza di quelle che si possono osservare in altri titoli in prima persona. Inoltre si può notare qualche leggerezza di troppo per quanto riguarda i modelli poligonali dei personaggi secondari: il loro aspetto risulta in troppe occasioni poco realistico, e le loro espressioni piuttosto vuote non fanno che accentuare tale sensazione. Ovviamente il discorso sull’espressività non vale per gli zombie, che risultano invece piuttosto curati. Se ne incontrano durante l’avventura di vari tipi, tutti ben caratterizzati e pericolosi in maniere sempre diverse. E se questi nemici risultano ben animati, seppur non brillino per acume, lo stesso non si può dire per i vivi, che si muovono in maniera impacciata. Perfino i protagonisti in talune circostanze soffrono di goffaggine, compiendo azioni non sempre precise e andando talvolta a creare un po’ di confusione durante i combattimenti più concitati. A tutto questo si affiancano bug di vario tipo, prime tra tutte compenetrazioni poligonali non poi così rare e collisioni non sempre precise.
Per quanto concerne l’audio invece non ci si può lamentare, specie per i suoni ambientali: spesso infatti ci si ritrova nel silenzio più totale, senza alcuna musica ad accompagnare le gesta dei cinque eroi, aiutando così il giocatore ad immedesimarsi nei panni del protagonista prescelto.

Sangue rappreso

Dead Island: Riptide è un seguito diretto del primo capitolo, nel bene e nel male. Ne prosegue quindi la storia senza sconvolgere nulla, ne migliora le meccaniche con qualche aggiunta semplice ma gradevole e lima alcuni difetti, sebbene non tutti – rimangono appunto bug grafici di ogni tipo e alcune imprecisioni nel sistema di controllo. Le ambientazioni che si visitano, esplorabili in lungo e in largo, sono varie e ricche di fascino e i nemici sono numerosi e ben diversificati; purtroppo le missioni secondarie proposte non sono sufficientemente varie o ricche, dimostrandosi talvolta più un modo per allungare il brodo che un tentativo di invogliare il giocatore ad esplorare a fondo il titolo.
In altre parole, le novità di questo gioco non sono poi molte, relegandolo al classico ruolo di “more of the same” solitamente affidato ai DLC. Forse è per questa ragione che gli sviluppatori hanno deciso di proporre il pacchetto ad un prezzo leggermente più basso del solito.
In definitiva, l’acquisto è consigliato a chi ha apprezzato molto il precedente episodio e non ha paura di imbattersi in una certa ripetitività di base, accettandone pure alcuni difetti di natura tecnica. Tutti gli altri possono volgere lo sguardo verso altri prodotti, onde evitare di ritrovarsi tra le mani un prodotto troppo similare.