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Recensione Dark Souls II: Scholar of the First Sin

Penso di averlo accennato già altre volte ma vedo un po' come fumo negli occhi la grandinata di riedizioni di videogames di successo, soprattutto in relazione a quelle di titoli rilasciati da pochi mesi. Ci sono comunque delle situazioni in cui lo sforzo di andare oltre l'operazione commerciale ridesta in me l'interessse tanto da farmi immergere in esperienze di gioco che consideravo ormai concluse: è il clamoroso caso di Dark Souls II Scholar of the First Sin con maquillage di nuova generazione.

di: Giovanni Manca

Penso di averlo accennato già altre volte ma vedo un po’ come fumo negli occhi la grandinata di riedizioni di videogames di successo, soprattutto in relazione a quelle di titoli rilasciati da pochi mesi. Ci sono comunque delle situazioni in cui lo sforzo di andare oltre l’operazione commerciale ridesta in me l’interessse tanto da farmi immergere in esperienze di gioco che consideravo ormai concluse: è il clamoroso caso di Dark Souls II Scholar of the First Sin con maquillage di nuova generazione.

Una nuova Drangleic

Ammetto di essere un fan integralista della serie Souls di From Software e di essermi sentito un “divulgatore del verbo” tra amici e conoscenti; consigliare l’acquisto, addirittura prestare una mia copia, in modo da illuminare poveri disgraziati persi nella pletora di giochi insulsi di questo inizio di millennio. E il mio disgusto provato allo scorgere delle bandiere bianche innalzate da anime sgrave spiazzato da abbracci di giubilo e ringraziamento fraterno alle grida di “maestro, grazie per avermi indicato la Via!”: un godimento che mi inorgoglisce. Pensate alla mia reazione emotiva all’annuncio che tra fine marzo e inizio aprile sarebbero stati rilasciati Dark Souls II Scholar of the First Sin e Bloodborne: sono fottuto!
Capolavori incredibili, tanto che da titoli di nicchia hanno allargato enormemente la loro base ed è scontato che la domanda che ora tutti si pongono è: “vale la pena intraprendere il viaggio in The First Sin dopo essersi persi per mesi nelle atmosfere di Dark Soul’s 2?”. Tutti i titoli della serie creata da From sono estremamente impegnativi, soprattutto in relazione alla filosofia “lasciva” che caratterizza i videogiochi contemporanei che mai devono sentirsi loser; impegnativo in questi casi si traduce nella necessità di essere assolutamente concentrati in quello che si fa mentre si gioca, non c’è nessuna fase che si può affrontare con superficialità: equipaggiamento, esplorazione, fase di combattimento e morte. Dark Souls 2, che cronologicamente è il terzo episodio, può essere considerato quello che più tende la mano al giocatore se si considera la difficoltà media e alcune scelte di gameplay che favoriscono l’esplorazione della mappa, ma The First Sin con un giro di vite rimescola le carte modificando in modo rilevante l’esperienza di gioco. I nemici, molto più numerosi, sono posizionati in zone diverse il che rende quasi inutile ricorrere alle vecchie strategie, e questo comprende anche le invasioni dei red phantom, più frequenti e casuali; importanti novità anche per quanto riguarda la dislocazione degli oggetti e degli NPC. Aumentato anche il numero dei giocatori online in contemporanea, che sale a sei.
The First Sin include The Lost Crowns, le tre espansioni rilasciate lo scorso hanno che ci portano alla ricerca delle corone perdute dei tre re (il Re Affondato, Il Re di Ferro e il Re d’Avorio) in nuove fantastiche ambientazioni che danno un motivo in più a chi si era fermato all’avventura principale.

La morte si fa bella

Tutte le situazioni a cui abbiamo fatto riferimento fanno The First Sin un gioco quasi inedito e tale sensazione si avverte fortemente anche grazie alla notevole rivisitazione tecnica che From Software ha fatto sul suo titolo. “Non me lo ricordavo così..” è stata la prima esclamazione di stupore, relativa non tanto alla texture in alta definizione decisamente più accurate rispetto al passato ma soprattutto alla fluidità delle animazioni e dell’azione in generale; certamente i Souls non si distinguevano per la bontà del frame rate, anzi, ma in questo The First Sin i sessanta fotogrammi per secondo quasi costanti (nelle fasi più affollate coni boss si scende sotto i 40) sono una vera bellezza. I vantaggi non si traducono solo in gioia per gli occhi ma influiscono anche sul gameplay dal momento che l’azione più fluida consente una risposta ai comandi più rapida e una gestione delle visuali meno problematica e caotica. Oltre a “sistemare” finalmente il frame rate, la maggiore potenza delle nuove console ha permesso a From Software di riscrivere gli effetti luce esaltando i chiaro scuri e proporre orizzonti molto più lontani e definiti. The First Sin però è stato costruito sul vecchio Dark Soul’s 2 e la derivazione old gen, nonostante l’ottimo maquillage, si nota, soprattutto se si fa un confronto con l’ultimo nato di casa From, lo straordinario Bloodborne, decisamente più complesso almeno per quanto riguarda la struttura grafica.

Un viaggio inaspettato

Quando annunciarono The First Sin onestamente non avrei mai pensato di dedicarci più di un paio d’ore, giusto vedere cosa avevano combinato, visto che Dark Soul’s 2 lo avevo divorato. E invece eccomi seduto sulla poltrona, anzi, a saltare dalla poltrona inveendo contro tutti come ai bei vecchi tempi, sorprendendomi come mai mi sarei aspettato. L’impegno profuso in questa produzione è degna di lode e il risultato è un grandissimo gioco per molti aspetti inedito: anche ai più scettici che hanno già giocato a Dark Soul’s 2 consigliamo di ritornare a Drangleic per un nuovo incredibile viaggio figuriamoci a chi invece non ci ha mai giocato. Attenzione però, imparate a dare il “tu” alla morte, a me no che non vogliate impazzire dalla rabbia.

  • Più difficile dell’originale

  • Più nemici

  • Più giocatori online

  • Nuovi segreti

  • Effetti luce e texture molto migliorati

  • 60 fotogrammi al secondo

 

  • Graficamente il gioco nasce sulle vecchie console e si vede

  • Punitivo per i poco pazienti