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Recensione Cult of the Lamb

di: Donato Marchisiello

Uno dei maggiori pregi dell’universo di sviluppo indipendente, è che non si sa mai cosa, dalla mente di sviluppatori quasi integralmente slegati dagli “ansiogeni” consigli d’amministrazione, possa fuoriuscire. Non solo da un punto di vista più squisitamente meccanico, ma anche e soprattutto da quello concettuale. In questo senso, introdurre il “protagonista” di questa recensione, è simpaticamente “complicato”: stiamo parlando di Cult of the Lamb, un autentico “simulatore” di culto religioso frutto del sinergico lavoro di produzione e sviluppo tra Devolver Digital e Massive Monster. Un gioco molto particolare, che ha fatto incacchiare più di qualcuno negli Usa per i suoi cromatismi vagamente demoniaci ma che, al contempo, ha riscosso un ottimo successo tra gli utenti. Dunque, Cult of the Lamb è un gioco da avere assolutamente? Scopriamolo assieme nella nostra recensione della versione Playstation 5.

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Cult of the Lamb è un gioco d’azione in 2.5d con visuale laterale e dal focus leggermente rialzato. Il titolo presenta una particolarità meccanica di base, mescolando elementi classici dei titoli roguelike (seppur non lo sia sino in fondo) in stile The Binding of Isaac, con un segmento gestionale dedicato al managing di un piccolo villaggio e che si avvicina, per certi versi, sia esteticamente che concettualmente a quanto visto in Animal Crossing. Una descrizione meccanica non propriamente “vestita” dal titolo di Massive Monster ma che, idealmente, ci dà una chiara immagine mentale sul cosa aspettarci. Nel titolo, impersoneremo un tenero agnellino destinato ad un sacrificio dedicato a crudeli divinità. Il sacrificio, purtroppo, riesce, ma il nostro “morbido” e occhiuto eroe si risveglia in una realtà alternativa, riportato in vita da una misteriosa entità chiamata Colui che aspetta. Questi, ci affiderà una missione non di poco conto: liberarlo dalle catene che lo imprigionano, rette dalle divinità di cui sopra. Ma come potremo farlo? Ma naturalmente creando un culto ad hoc e, al contempo, sconfiggendo quelli legati agli dei avversi.

Nel primo paio d’ore di gioco, una volta scelta la difficoltà, verremo introdotti a tutte le meccaniche e sotto-meccaniche che governano il tirolo: una faccenda non particolarmente semplice, soprattutto da un punto di vista gestionale. Partiamo, appunto con questo: man mano che progrediremo nel gioco, avremo modo di “liberare” dalle grinfie dei culti avversi alcuni innocenti animaletti che, ben presto, convertiremo al nostro potente culto. Non solo: i nuovi adepti potranno essere addirittura acquistati o potrebbero, di loro spontanea volontà, unirsi al culto. Essi potranno compiere per noi diversi compiti, dal raccogliere legna al pregare nei pressi del totem del villaggio, in modo del tutto automatizzato. Ognuno d’essi, in aggiunta, oltre ad un aspetto estetico differente, presenterà dei tratti caratteriali specifici che lo renderanno più o meno efficace in diverse aree ed aspetti gestionali. Avremo, anche, la facoltà di benedire e far livellare i nostri fedeli: un livello più alto, si tradurrà in una fede più forte e capacità maggiori.

Naturalmente, noi dovremo badare a loro in diversi modi: dovremo pensare al cibo, a donargli un posto in cui dormire e, in generale, a soddisfare tutta una serie di loro bisogni che potremo captare leggendo la loro mente. In questo senso, avremo accesso ad un piuttosto vasto elenco di oggetti costruibili, suddivisi in decorativi, produttivi o dedicati al culto. Oltre ai bisogni fisici, dovremo tenere in riga i nostri fedeli compiendo tutta una serie di azioni e rituali che sbloccheremo nel corso del gioco, tra sermoni, danze attorno al fuoco ecc, utili per mantenere alto il livello di fede ed evitare “rivolte” e “sabotatori”. Potremo stabilire delle dottrine specifiche, nulla più che delle “regole” che delineeranno “l’aspetto” del nostro culto e che, cosa più importante, garantiranno particolari bonus al nostro culto. Ve ne saranno, in tutto, 32 ma non potremo sbloccarli tutti: ergo, dovremo valutare in modo razionale cosa scegliere e che tipo di orientamento dare al nostro culto. Nonostante dopo poco la gestione diverrà piuttosto meccanizzata e “scontata”, vi saranno degli eventi casuali atti a “sparigliare le carte” e rendere il pericolo di una rivolta sempre non troppo distante.

Oltre all’aspetto gestionale, come detto Cult of the Lamb porta con sé anche una componente più squisitamente action: lo scopo del gioco, infatti, sarà abbattere le divinità avverse che tengono imprigionato il nostro dio. Esse saranno in totale quattro, ognuna delle quali sarà dominatrice di un particolare regno: per poterle abbattere, dovremo prima sconfiggere tre mini-boss, loro servitori, per poi giungere al “piatto finale”. La struttura ludica del titolo di Massive Games, in questo senso, prende nettamente ispirazione da The Binding of Isaac (non avendo, però, la sua profondità): avremo un hub centrale da cui accedere ai vari mondi. Una volta varcata la porta prescelta, ci si parerà innanzi un livello generato casualmente, suddiviso a sua volta in micro-arene dove potremo incontrare di tutto: da nemici a mini-boss, passando per venditori di oggetti o curatori, oltre che elementi distruttibile che ci doneranno varie risorse. Ogni stage avrà una sua mappa specifica, con dei percorsi definiti e dei “nodi” di interesse, caratterizzati da uno specifico “premio”: ad esempio, potremo optare per procedere verso un nodo che potrà donarci un nuovo fedele, oppure optare per ottenere risorse o sfidare un potente nemico. Non avremo facoltà di esplorare tutti i nodi: potremo solo procedere innanzi di nodo in nodo, quindi il percorso che compiremo dovrà esser attentamente ponderato anche in base alle necessità del nostro culto.

cult of the lamb

All’inizio del nostro viaggio, avremo accesso ad un’arma e ad un’abilità speciale, anch’essi casuali e generati ogni qual volta intraprenderemo un viaggio. Esplorando i livelli, incapperemo, come detto, anche in venditori che ci proporranno scambi o acquisti diretti, i quali potranno esser compiuti utilizzando monete d’oro accumulate in vari modi (persino estorcendole ai nostri fedeli!) durante il gioco. Meccanicamente parlando, Cult of the Lamb sarà, in questo specifico settore, votato ad una certa semplicità: avremo un tasto per attaccare, uno per schivare ed uno per utilizzare una magia. I combattimenti, anche alle difficoltà più alte, sono sin troppo accessibili e per un giocatore veterano sarà veramente complicato morire (anche e soprattutto durante le boss fight, caratterizzate solitamente da un paio di pattern d’attacco e nulla più). Ciò, naturalmente, ha l’effetto “contrario” di rendere Cult of the Lamb piuttosto accessibile e, probabilmente, uno dei migliori titoli da cui intraprendere il proprio viaggio nei roguelike, specialmente se si è neofiti.

Dunque, due anime cucite in un unico tessuto: Cult of the Lamb è dunque perfetto? La risposta è no: il neo principale, in generale, è una certa ripetitività e limitatezza, specialmente per quanto concerne la sezione dedicata al combattimento. Dopo alcune ore di gioco, sarà infatti piuttosto evidente come il segmento più squisitamente action svolga, sostanzialmente, la funzione di “appendice” di quello gestionale. Poche armi, poche abilità (di cui, un paio realmente utili) ed elementi ruolistici ridotti all’osso e semplificati allo stremo, che si uniscono a poche archetipi di nemici e ad altrettanto limitate “situazioni” di gioco. Se si pensa che, in generale, la sezione dedicata alla gestione del villaggio non è ancora perfettamente equilibrata, avventurarsi nel segmento action potrebbe significare togliere tempo a quello manageriale che, negli stessi “attimi”, potrebbe completamente sfuggirci di mano. Seppur più ampia e articolata, anche la sezione managing, superati gli scogli iniziali d’apprendimento dei vari aspetti, risulterà ben presto ripetitiva e non troppo bilanciata: nelle fasi iniziali, ad esempio, si potrebbe incappare in una prolungata e casuale assenza di risorse (ad esempio cibo), inducendo rivolte, morti e distruzione nel villaggio. Al contrario, più avanti del gioco, restare completamente senza risorse sarà quasi impossibile, anche grazie alla presenza di alcuni edifici che renderanno il tutto automatizzato. Riassumendo: un mix intrigante e tante idee interessanti, ma che hanno necessità di una miglior espansione ed equilibratura.

cult of the lamb

Un’altra nota stonata, è la longevità: per completare il gioco, orientativamente, serviranno una 20ina d’ore. Abbattuti i quattro dei avversi, sostanzialmente, non vi sarà più nulla di interessante da fare: una caratteristica che, unita alle limitatezze di cui sopra, rende ancor più claudicante l’esperienza. Claudicanza che, invece, scompare completamente volando su liti più concretamente “computazionali”. Infatti, da un punto di vista più squisitamente tecnico ed artistico, Cult of the Lamb è un piccolo gioiello, vicino all’essere un autentico capolavoro: i modelli, disegnati a mano, sono originali e ben caratterizzati e riescono, in modo incredibile e geniale, ad unire “occhioni pucciosi” a sacrifici umani e fiumi di sangue. Il gioco, infatti, farà continuamente da spola tra il macabro e la “carineria” di giochi in stile Animal Crossing, rendendo l’esperienza davvero unica. Anche gli ambienti, seppur un po’ ripetitivi visivamente, saranno comunque ben caratterizzata e delineati da elementi scenici anch’essi ben congegnati, tra tende, lance adornate da teschi ecc. Anche da un punto di vista tecnico, la versione PlayStation 5 del gioco è una “compiuta” pregevole: fluidità al massimo, pochi bug e tutti secondari, controlli reattivi al micro-secondo e meccaniche ben tarate e accessibili. In generale, Massive Monster ha compiuto un ottimo lavoro tecnico ed estetico, senza se e senza ma: anche il comparto sonoro, caratterizzato da suoni ambientali, “vocette e vocione” e musiche “caratteristiche”, contribuirà nel rendere l’esperienza positivamente singolare.

cult of the lamb

Cult of the Lamb è un piccolo gioiello, un esperimento non pienamente riuscito ma vicinissimo ad esserlo: il mix di azione e strategia, unitamente a scelte stilistiche uniche e ben congegnate, lo rendono un contendente per il titolo a tutti gli effetti. Ciò che, nell’effettività, manca al gioco per entrare nell’Olimpo, è una necessaria estensione dei contenuti, oltre che un più certosino lavoro di equilibratura delle sue parti. Resta, comunque, di base un’esperienza unica ed interessante, adattissima a coloro che non sono propriamente esperti del settore (e che non hanno particolari sensibilità religiose).