Recensione Crackdown 3
di: Federico LelliAnnunciato nel corso dell’E3 2014 Crackdown 3 si presenta al mondo con un trailer spettacolare e pieno di distruzione dove Microsoft cerca di sopperire al divario di potenza con la rivale grazie alla potenza del cloud, che permette di moltiplicare esponenzialmente i calcoli del motore di gioco. Il titolo entra quindi nel limbo della produzione sotto il team Reagent che, forte della vicinanza con Cloudgine, che si occupa della tecnologia cloud, può iniziare a creare il nuovo capitolo della serie. Il colpo basso arriva nel 2018 quando si scopre che Epic è in trattativa per comprare Cloudgine e, con l’acquisto si porta dietro anche molte figure di spicco dello staff di Reagent, lasciando Crackdown 3 nelle mani di Sumo Digital che, solo adesso si scopre, pare sia sempre stato il team principale dietro allo sviluppo.
Questo è lo scenario che ci porta ad oggi, ad un giorno dal lancio del gioco in esclusiva su PC e Xbox One.
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La montagna che partorì il topolino
Dieci anni dopo le vicende di Crackdown 2, che non vengono neanche nominate, un attacco terrorista distrugge tutte le risorse del mondo, la popolazione è allo sbando fatta eccezione per la città di New Providence, che all’apparenza sembra un’isola felice ma che è tenuta sotto scacco dalla stessa organizzazione che ha causato il disastro: Terranova. L’agenzia sembra decimata proprio nel prologo ma riesce a salvare una scintilla della propria essenza e a riportare un agente sul campo (il nostro avatar) per cercare di debellare i cattivi.
Non ci aspettiamo una trama complessa o particolarmente cervellotica da un gioco d’azione che prende come star di riferimento Terry Crews e vorrebbe usare la sua figura mastodontica e la sua parlantina per creare quello che è un action movie, peccato che dello stesso attore, nonostante l’insistente campagna marketing, vedremo ben poco dentro al gioco, soprattutto se pensiamo che è uno degli 8 personaggi iniziali tra cui scegliere.
L’agenzia ci propone quindi di ricostruire le abilità perse facendo esperienza sul campo: il sistema di crescita dinamico dei super-poliziotti segue le scelte che faremo durante il gioco, premiando con nuovi livelli le abilità e armi che useremo più spesso. Una volta sconfitto il boss che fa da tutorial ci si apre tutta la mappa di New Providence, che mischia tra le sue forme palazzi futuristici e slum in stile sudafricano; le ampie strade e i palazzi che sicuramente non brillano per originalità saranno quindi il campo d’azione per le nostre scorribande che, da questo momento sono praticamente libere.
Crackdown 3 non ha quella che si può definire una vera e propria campagna, o almeno non strutturata come siamo abituati: se è vero che ci sono dei momenti in cui la narrazione ci toglie il pad dalle mani praticamente tutto quello che vediamo è a nostra disposizione, l’unica cosa che ci blocca è l’eventuale difficoltà di ogni sfida, sempre specificata da una percentuale di successo che sale insieme al nostro livello, aiutando così una progressione di gioco più graduale e meno frustrante. L’obiettivo è quello di completare tutte le missioni con lo stesso simbolo per poter sfidare così i vari sottotenenti dell’organizzazione Terranova e, un passo alla volta, passare dai loro capi per arrivare alla cima della piramide.
Se è vero che ogni punto che scopriamo sulla mappa tramite informazioni o esplorando il territorio rappresenta una missione specifica che può essere affrontata semplicemente varcando i confini della struttura, dall’altro lato è vero anche che una volta vista una missione con una specifica icona le altre associate saranno estremamente simili tra loro. Inoltre avrete capito che Crackdown 3 è abbastanza diretto quindi un buon numero di missioni sarà pensato per l’attacco a testa bassa e fucile tra le mani.
La stessa interfaccia di gioco non prevede molte opzioni che esulino dal combattimento, preferendo di gran lunga la modalità sparatutto anche ai colpi corpo a corpo: farete presto l’abitudine ad usare principalmente i due grilletti in ogni situazione, uno per mirare automaticamente sul nemico e l’altro per sparare. Con un gameplay così essenziale e arcade, la spensieratezza è probabilmente l’obiettivo cercato dagli sviluppatori: l’assenza di coperture o di abilità dedicate alla difesa e dall’altra parte lo scudo ricaricabile e il boost di energia per ogni nemico ucciso ci spingono automaticamente a cercare il conflitto a tutti i costi, forti della nostra superiorità.
Auto e armi sono sbloccate mano a mano che le troviamo in giro ed entrambe possono essere equipaggiate nei frequenti checkpoint sparsi per la mappa, che fanno anche da base di ritorno nel caso dovessimo morire. Una volta capita l’antifona e spento il cervello si procede di missione in missione abbastanza speditamente ma, anche considerando la variabile dei boss, arriva presto la ripetizione e, quindi, la noia.
Senza una solida struttura narrativa e con missioni tutte uguali tra loro che non possono neanche essere affrontate in maniera differente Crackdown 3 sembra nell’essenza un gioco vecchio dentro, quando il free roaming era una novità e bastava a sé stesso. e la possibilità di giocare in cooperativa è poco più che un contentino quando i contenuti sono così deludenti. Non aiuta il reparto tecnico che, pur presentando un cel shading dignitoso, sicuramente non lascia a bocca aperta, specialmente per un gioco che era stato presentato per sfruttare la potenza del cloud.
Che fine ha fatto quindi tutta questa potenza? Abbandonata la distruzione nel single player, dove l’impatto del giocatore sull’ambiente è quasi nullo, abbiamo un eseguibile differente dedicato al multiplayer detto Zona di Demolizione, che presenta tre modalità: territori, dove cercheremo di dominare delle zone; caccia all’agente dove per guadagnare i punti dobbiamo raccogliere i distintivi degli agenti uccisi e per finire un classico deathmatch a squadre, in nessuno di questi casi si potrà giocare con un amico.
Mantenendo le stesse meccaniche del gioco single player anche nelle modalità multi il gunplay sarà basilare con il lock automatico, le dinamiche cambiano grazie ai nostri movimenti sulla mappa e al fatto che quando andremo a puntare un nemico lo stesso sarà avvisato da un puntatore laser e potrà quindi scegliere di scappare o di restituire subito il fuoco; diventa quindi più un gioco di strategia e di platforming che di skill con la pistola. La distruzione in tutto questo dovrebbe aiutare i giocatori a nascondersi meglio attraverso le strutture ma la sua esecuzione è decisamente poco soddisfacente, sia per la resa visiva dove a collassare saranno strutture fatte da poligoni semplicissimi, sia per la consistenza, dato che sembra sia fatto tutto di polistirolo.
Se Crackdown 3 fosse uscito nel 2009 forse sarebbe stato un buon capitolo della serie, ma comunque non avrebbe fatto strappare i capelli alla gente, se avesse avuto una distruzione ambientale più massiccia magari sarebbe stato un buon action, ma Red Faction l’ha fatto prima e meglio, se Crackdown 3 avesse avuto le ruote forse sarebbe stato un carretto.
Il problema è che Crackdown 3 esce in questo stato nel 2019 e, all’atto pratico, ci consegna un’esperienza mediocre, ripetitiva e completamente anacronistica, se il cloud doveva essere il futuro del videogaming allora teniamoci stretti il passato.