Recensione Bioshock: The Collection
di: Simone CantiniL’amore che nutro per la serie Bioshock è davvero enorme, ma non poteva certo essere diversamente dato che stiamo parlando della saga che più di ogni altra mi ha fatto innamorare nel corso della precedente generazione. Così come odio profondamente i remaster spregiudicati di titoli che ho ed abbiamo stragiocato solo pochissimi anni fa. Cercate quindi di capire con quale grumo di sensazioni a metà strada tra l’estasi ed il disgusto mi sia avvinato a Bioshock: The Collection.
https://youtu.be/iRWexlrZJc4
Niente dei o padroni. Solo l’uomo.
Sono passati 10 anni, ma il ricordo dello stupore meraviglioso che mi colpì alla vista di Rapture è davvero difficile da dimenticare. L’utopia distorta di Andrew Ryan riuscì a segnare migliaia di giocatori nel lontano 2006, grazie ad un’architettura retrò dall’appeal invidiabile, un folle mondo in rovina dalla caratterizzazione impeccabile e ad un gameplay ed uno storytelling di elevata caratura. Le Sorelline, i Big Daddy, i Plasmidi, ogni singolo tassello era stato cesellato con sapienza, calato in un mosaico volutamente spiazzante in apparenza, ma in grado di andare a formare un quadro complessivo dotato di una coerenza magistrale. E, per cortesia, vediamo anche di non dimenticare e relegare al rango di fratello stupido della famiglia il suo sottovalutatissimo seguito, reo unicamente di riprendere in parte le meccaniche del capostipite della serie e di non aver avuto come padre biologico il buon Ken Levine. Sarà perché ne acquistai la splendida limited edition al day one, o forse perché fremevo dalla voglia di tornare a Rapture, ma vestire i panni di uno di quei bizzarri esperimenti scafandrati fu un’esperienza quanto mai piacevole e non certo priva di momenti esaltanti. Peccato che al popolo bue il solo non leggere tra i credits il nome di Levine fu più che sufficiente per bollare il tutto come boiata colossale. Ed è da queste polemiche per certi versi incomprensibili che si arrivò a Bioshock infinite, capitolo finale di una trilogia che ha segnato in maniera indelebile la precedente generazione. L’apparente cambio di rotta scenico, la scelta di ambientare le vicende di Booker ed Elizabeth nell’alto dei cieli, ma sempre all’interno di una cornice fortemente distopica, fece la gioia di pubblico e critica, anche se i mugugni di disappunto non scomparvero del tutto, più a causa di un finale sin troppo caotico che per colpa di un gameplay che, con il passare degli anni, aveva perso la sua dirompenza.
Per cortesia…
Magari può sembrare superfluo soffermarsi a parlare in merito a titoli usciti già da un bel po’ e dei quali il nostro Tribe è ricco di riferimenti, però ho trovato doveroso farlo per giustificare almeno in parte il voto che trovate in basso. Quei due numeretti che chiudono la recensione, difatti, stonerebbero a mio modo di vedere se associati ad un remaster che non fa altro che proporre su Xbox One e PS4, almeno a livello estetico, le versioni PC dei tre titoli originali, non curandosi minimamente di mettere una pezza ai vari bug che già ci avevano fatto storcere la bocca a suo tempo. Da questo punto di vista il lavoro svolto in questa Bioshock: The Collection, alla luce dell’architettura hardware adottata per le nuove macchine da gioco, non può certo definirsi epocale, anche se il feedback visivo restituito è comunque di pregevole fattura. Vuoi per il suo essere decisamente più anziano dei suoi due figliocci, è sul primo Bioshock che le migliorie sono maggiormente avvertibili, in un processo che va gradualmente a sfumare sino a giungere ad Infinite. Il frame rate, come era logico aspettarsi, ha subito una sostanziale accelerata, e pur non rimanendo sempre ancorato ai fatidici 60 fotogrammi al secondo rappresenta comunque un plus assai gradito. Così come fa piacere constatare la presenza di tutti i DLC dedicati ai tre episodi e che hanno nei due tronconi che compongono Burial at the Sea un ottimo esempio di add-on stroy driven di eccellente fattura. Assente giustificato, invece, il multiplayer introdotto in Bioshock 2: una scelta comprensibile se si pensa che già in origine, pur risultando a tratti molto divertente, fu visto più come una eretica aberrazione del concept originale di gioco. Di sicuro interesse sono invece i videodiari che è possibile recuperare all’interno del primo episodio, i quali ci offrono uno stuzzicante spaccato dell’iter produttivo che si cela dietro questa fortunatissima saga.
Amore ed odio mi hanno accompagnato sino ad ora e se vi siete presi la briga di leggere almeno l’introduzione alla recensione di Bioshock: The Collection non c’è bisogno che vi spieghi il perché. Se analizzato sotto una fredda luce volta a giudicare il meccanico lavoro di conversione, il remaster riuscirebbe a stento a svettare sulla marea di operazioni analoghe, ma se sommiamo tale aspetto alla presenza di tutti e tre gli episodi (più relativi DLC), al concorrenziale prezzo a cui il tutto viene proposto, alla bontà intrinseca della triplice esperienza e dei dietro le quinte che faranno la gioia dei fan, viene davvero difficile relegare la riproposizione dell’opera di Levine all’interno di una votazione differente.