Recensione Battlezone
di: Simone CantiniÈ possibile sfruttare come cavallo di battaglia di una nuova tecnologia un qualcosa proveniente da un passato decisamente più remoto? La domanda, seguita dalla risposta che state leggendo, devono essersela posta anche i ragazzi di Rebellion che, affatto intimoriti dall’apparente assurdità del quesito, hanno visto in Battlezone il loro personalissimo modo di inaugurare la line up del PlayStation VR. Con risultati inaspettatamente soddisfacenti.
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Fight. Die. Repeat.
Se si analizza bene il titolo originale, datato addirittura 1980, la scelta operata dal team inglese si spoglia rapidamente di tutti i suoi connotati apparentemente nonsense, finendo con il risultare quanto mai calzante con il panorama attuale a cui si rivolge: vuoi per la sua grafica allora futuristica, ma soprattutto per il cabinato arcade in cui fece il suo debutto e che proiettava davvero, anche se in maniera decisamente ingenua rispetto agli standard attuali, il giocatore all’interno dell’esperienza, il concept di Battlezone ben si sposa con il visore Sony. Questo retaggio fortemente old school si riflette anche sul versante dell’offerta ludica, decisamente limitata in apparenza, ma non certo priva di una sua identità e profondità. La struttura di gioco, pur mutuando il gameplay shooter dell’originale, è stata adesso calata all’interno di meccaniche fortemente roguelike: l’unica modalità di gioco disponibile permetterà di dare vita ad una campagna generata proceduralmente, la cui durata e difficoltà potranno essere decise dal player, che sarà possibile affrontare da soli oppure assieme ad altri 3 giocatori. La mappa di gioco sarà costituita da un numero variabile di esagoni collegati tra loro e lo scopo principale sarà quello di raggiungere la base nemica, rappresentata da un vulcano. Per farlo sarà necessario conquistare le varie caselle, ognuna delle quali ci presenterà un obiettivo variabile: spazieremo dalle canoniche ondate da distruggere, alla protezione della nostra base, a fasi di hacking. Sotto questo punto di vista, pur non abbondando in senso assoluto, le variabili in gioco sono sufficientemente numerose ed in grado di garantire una buona varietà. Celate sino al momento della loro attivazione, le caselle potranno ospitare anche stazioni di ricarica, dove potremo modificare l’arsenale del nostro veicolo investendo i crediti recuperati. A queste si possono anche affiancare particolari postazioni in cui dovremo distruggere una parte degli scudi posti a difesa dell’obiettivo centrale. Pianificare le mosse, magari investendo parte del nostro bottino in sonde in grado di svelare in anticipo la natura del terreno, sarà quanto mai fondamentale, anche in virtù della citata struttura roguelike. Ad ogni partita, difatti, avremo a disposizione 3 vite che, una volta esaurite, condurranno all’inevitabile e definitivo game over che ci costringerà a riavviare il tutto, mantenendo però disponibili per i futuri acquisti tutti gli equipaggiamenti sbloccati. Questa natura fortemente old school è sottolineata anche dalla difficoltà generale dell’esperienza, decisamente tarata verso l’alto, fattore che rende le sfide single player decisamente più ostiche rispetto a quelle affrontate in cooperazione con altri player.
Tuning bellico
Se è vero che sul versante delle modalità Battlezone non presenta un piatto particolarmente ricco, va riconosciuto come invece siano ben più accentuate le possibilità di personalizzazione del nostro mezzo. Oltre a varie classi tra cui scegliere, ovviamente differenti per prestazioni e potenza di fuoco, man mano che giocheremo potremo sbloccare un cospicuo numero di armamenti alternativi, così come potremo modificare (investendo crediti) le statistiche del nostro futuristico carro armato, incrementando scudi e velocità, fino ad attivare anche una ricarica attiva mutuata da Gears of War. Scegliere con cura il loadout del veicolo sarà fondamentale per avere la meglio sugli avversari, la cui abilità e potenza si accrescerà man mano che procederemo nella campagna. Non mancheranno, affiancati ai nemici standard, anche dei mini boss che compariranno dopo un tot di turni sulla mappa di gioco, dei quali dovremo controllare bene gli spostamenti a meno che non si scelga di cimentarsi in scontri particolarmente ostici.
Echi di un passato futuro
Tecnicamente parlando Battlezone si ispira palesemente alle geometrie essenziali del suo illustre antenato, ovviamente attualizzandole allo scenario tecnico attuale. La messa in scena, per quanto volutamente scarna, è molto calzante ed in linea con le atmosfere tipiche dell’immaginario digitale degli anni ’80, grazie anche ad una grafica che fa subito venire in mente le suggestioni di Tron. La risposta dei comandi è ottimale, così come la fluidità generale. Appare subito evidente come il difetto principale del titolo Rebellion risieda, quindi, nella sua risicata (per quanto molto divertente) proposta ludica. Sotto questo punto di vista, data la natura shooter, pesa molto l’assenza di una qualsiasi forma di multiplayer competitivo, elemento che avrebbe garantito a Battlezone una spinta ed un appeal maggiore. Niente vieta, come mi auguro, il rilascio di qualche aggiornamento futuro.
Ripescare un classico del passato e calarlo in una realtà ed una tecnologia così distante si è rivelata, tutto sommato, una mossa vincente. Battlezone è riuscito nell’arduo intento di rendere moderna, mantenendone inalterato il divertimento, una struttura ludica distante quasi quaranta anni. Il titolo è risultato intrigante e ben costruito, sebbene in parte minato da un’offerta complessiva decisamente scarna rispetto al prezzo di vendita. Il gioco c’è, e questa è la cosa più importante, ma data la bontà del gameplay è un vero peccato che il team si sia limitato ad un compitino un po’ troppo stringato.