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Recensione A Plague Tale: Requiem

di: Donato Marchisiello

La missione più difficoltosa che ad oggi i videogame affrontano, non è certo una sentita “convergenza” di generi orientata da questioni finanziarie, né tanto meno una mancanza di sostrato concettuale o meccanico. Ciò che è più difficile, oggi, per ogni videogioco, è discostarsi dall’immaginario comune, che vede i videogame ancora “congelati” nella loro immutabile essenza da coin-op. Ma, chi gioca lo sa bene, videogiocare non è più, da moltissimo tempo, un mero esercizio meccanico: anzi, nella stragrande maggioranza dei casi, avviare un game significa al contempo dare il canonico “la” a tutta una serie di emozioni, alle volte contrastanti. E, a distanza di tre anni dal precedente capitolo, nei giorni scorsi è arrivato sugli scaffali virtuali e non A Plague Tale: Requiem, novello capitolo della saga firmata Asobo Studio e distribuita da Focus Entertainment. Un gioco che, per ricollegarci al principio di questa introduzione, ha “inavvertitamente” (ma non c’è nulla di casuale, sia chiaro) riacceso, per certi versi, il lumicino proprio su quegli “impegni ludici” che sprizzano meta-gaming da tutti i pori, che non ci “stanno” ad esser accreditati come “semplici” videogiochi. A Plague Tale Requiem, così come il predecessore Innocence, cerca di raccontare una storia, cerca di farci immergere in qualcosa, di lasciare un messaggio: ci riuscirà, così come, con le dovute riserve, ci riuscì il capitolo precedente? Bando alle ciance, immergiamoci nella recensione di A Plague Tale Requiem in versione PlayStation 5.

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A Plague Tale Requiem è un gioco d’azione in terza persona, con vividi elementi tipici dei giochi d’avventura “contaminati” da alcune caratteristiche di stampo ruolistico e da tematiche pesanti che, ben presto, virano verso lidi macabri e horror. Anche in questo frangente, così come accadeva in passato, i protagonisti delle peripezie targate Asobo sono Amicia e Hugo, due fratelli di nobili origini e con già alle spalle una “funesta” vicenda (al centro, naturalmente, del primo capitolo della saga). Ed è bene sottolineare quest’importante dettaglio, ancor più cruciale in un titolo che fa della narrativa il suo centro assoluto o quasi: A Plague Tale: Requiem è riccamente e nettamente collegato con quanto occorso durante il primo capitolo della saga. Nonostante sia, tecnicamente, possibile addentrarsi in questo chapter senza aver necessariamente completato Innocence, in Requiem saranno tanti i rimandi e i “mezzi spoiler” relativi alla vicenda narrata precedente. Diviene, dunque, quasi “urgente” approcciare a Requiem avendo di già masticato e metabolizzato Innocence, pena anche la non totalmente perfetta comprensione delle vicende narrate in questo sequel (seppur, in modo spurio, esse possano tranquillamente esser affrontate). Dunque, riassumendo: se si ha giocato ad Innocence meglio, ma Requiem può esser comunque goduto “ignorando il passato”.

Le vicende narrate in A Plague Tale: Requiem cominciano con una certa e “assolata” tranquillità dei due fratelli, a poche settimane da quanto occorso in Innocence. Una tranquillità sconvolta dall’arrivo del più classico marasma di ratti infetti connessi alla malattia di Hugo. Ancora una volta, il duo dovrà rimettersi in viaggio alla ricerca di una cura, attraverso una Francia del 14esimo secolo, sconvolta dalla peste e dalla guerra. Così come accadeva per il primo capitolo, le vicende narrate nel gioco porteranno Amicia e Hugo a confrontarsi con diversi personaggi e difficoltà, andando comunque sia a toccare temi sostanzialmente simili a quanto di già visto in Innocence. In primis, torna prepotentemente il tema (in stile, per certi versi, supereroistico) del “grande potere/grande responsabilità”, oltre quelli costanti legati al valore della vita e della morte e, più sullo sfondo seppur probabilmente concreto motore dominante, quello dell’amore uber alles. In generale, la narrazione di Requiem propone un qualcosa di sostanzialmente invariato, a livello qualitativo e quantitativo, rispetto al primo capitolo della saga, elevando però il grado di “maturità” e di “potenza” degli eventi e del loro “tangersi”. Detto ciò, A Plague Tale: Requiem perde probabilmente un po’ di quel fascino, dettato innanzitutto dalla novità, che Innocence al contrario emanava a 360°: il risultato è che, per certi versi, si fa un po’ più fatica a spingersi innanzi nello sviluppo dell’intreccio, data la fortissima sensazione di déjà vù.

Probabilmente, il più concreto passo in avanti compiuto da Asobo, è da rintracciare da un mero punto di vista meccanico. In generale, se Innocence risultò, nella sua bellezza, piuttosto rigido a livello più squisitamente ludico, Requiem tenta appunto di divincolarsi dalle citate catene offrendo una maggiore libertà. In questo senso, sono diverse le novità, inerenti al gameplay, che i vecchi giocatori di Innocence scoveranno in Requiem seppur, sostanzialmente, l’impianto meccanico-ludico del gioco venga riproposto concettualmente immutato. Il gameplay, al solito, vedrà il giocatore muoversi entro percorsi prestabiliti seppur, rispetto al capitolo precedente, è stato concentrata un po’ più d’attenzione sull’esplorazione (che, è bene sottolinearlo, resterà un “grazioso accessorio”). Così come nel precedente capitolo, il cuore pulsante del gioco vedrà i due fratelli districarsi tra enigmi e puzzle di vario tipo, alternati a “rush phases” oppure a sezioni in stile “guardia e ladri”. Gran parte delle situazioni inanellate dalle vicende narrate dal gioco, ci vedranno impegnati nell’utilizzo di vari arnesi, come ad esempio una fionda e una balestra, fondamentali, così come accadeva in passato, in praticamente tutte le fasi salienti di gioco. La prima novità, rispetto ad Innocence, riguarderà le munizioni: i sassi, ad esempio, saranno infiniti mentre sarà possibile creare nuove munizioni di vario tipo, addirittura combinandole fra loro, in ogni istante.

Di qui, come anticipato, diverrà fondamentale esplorare ogni angolino dei piuttosto vasti scenari, ricolmi non solo di collezionabili ma anche di preziosi materiali (non in grandissime quantità) che potremo adoperare per potenziare gli strumenti a disposizione di Amicia. Ebbene, Asobo in questo frangente, più che in passato, ha spinto l’acceleratore sull’intelligente gestione delle risorse, diretta conseguenza di come decideremo di affrontare il gioco e, soprattutto, approcciare le insidie “ricamate” per noi dagli sviluppatore. Avremo, in questo senso e in misura maggiore rispetto al passato, piena libertà di pensiero: gli stage saranno più ampi e colmi di passaggi nell’ombra, ma anche di aree dove poter orchestrare violente imboscate ai nemici. Starà a noi decidere come utilizzare le non esattamente vaste risorse a nostra disposizione. Amicia, al contempo, avrà accesso anche ad alcune nuove abilità, nuovi oggetti creabili e persino la possibilità di contrattaccare una volta scoperti da una guardia. Naturalmente, all’olio di gomito di Amicia, si alterneranno i poteri sovrannaturali di Hugo: anche in questo frangente, Requiem porta alcune novità. Il più piccolo del duo, infatti, avrà la capacità di controllare centinaia e centinaia di ratti, la qual cosa tornerà particolarmente utile per eliminare guardie o risolvere in modo “brutale” alcuni puzzle di stampo fisico. Altre novità, di rilievo seppur non “sconvolgenti”, risiederanno nell’aggiunta di enigmi e puzzle totalmente nuove. Anche i segmenti stealth, molto guidati e “stretti” in Innocence, qui saranno invece un po’ più aperti e caratterizzati da più vie di risoluzione.

Quanto sin qui detto, però, copre solo una metà ideale del complessivo gameplay del gioco che, al suo interno e così come era già stato concretizzato in passato, consta anche di tantissimi momenti di “stacco”, consistenti sostanzialmente in “passeggiate” incorniciate da dialoghi vividi e più o meno cupi. Una giostra che parte veloce, poi si ferma, poi riparte per poi immobilizzarsi ancora: un andazzo altalenante, sicuramente, ma non per questo incoerente e che renderanno fluide le circa venti ore di gioco necessarie per completare la campagna. Forse, in misura migliore rispetto al passato, Asobo è riuscita a “farci tirare il fiato” quando era giusto che così fosse: in questo senso, l’alternarsi dei vari segmenti ludici del gioco non risulta mai forzato o freddamente inatteso, né tanto meno va ad inficiare l’alta qualità della narrazione, coadiuvata splendidamente anche da un sonoro di elevata qualità. Dunque, per riassumere: Requiem non va a sconvolgere la formula di Innocence, ma compie un passo “ordinario” in avanti per espandere e modificare l’essenza ludica del primo capitolo senza sconvolgerla.

A Plague Tale Requiem1

Una qualità altissima che emerge ancor di più rispetto al passato, da un lato principalmente tecnico: Requiem compie un (difficile, per certi versi) passo in avanti per quanto concerne l’aspetto estetico. Tutto, dai paesaggi alla cura dei dettagli degli edifici e dei personaggi, sprizza qualità e pregevolezza da ogni poro: un plauso va davvero fato ad Asobo per la cura, quasi maniacale, con cui è stato dettagliato il gioco (eccezion fatto, probabilmente, solo per alcuni personaggi secondari realizzati in modo un po’ più dozzinale). Esteticamente un piccolo gioiello, seppur con qualche limite: il gioco, come ben sappiamo, è su console bloccato a 1440p con 30 fotogrammi al secondo che, in aggiunta, non sono nemmeno particolarmente stabili. Una scelta che ha inarcato qualche sopracciglio e che, unitamente agli “indugi” tecnici, va un po’ a farsi sentire soprattutto nelle sequenze d’azione più concitate. Detto ciò, va comunque sottolineato il buon lavoro di ottimizzazione di Requiem con Ps5, in modo specifico con il Dualsense: nei momenti in cui, ad esempio, saremo piuttosto vicini ad un “mare” di topi, le vibrazioni del controller Sony si “muoveranno” quasi a simulare un vero e proprio movimento turbinoso della “mandria”. Il feedback aptico ci verrà in soccorso anche nelle sequenze che più di tutte spingono sull’acceleratore action, andando coerentemente a supplire quanto apparirà a schermo, specialmente nelle sequenze di combattimento.

A Plague Tale Requiem1

Un passo avanti, piccolo, ma rispettando la direzione “antica”: così potremmo descrivere A Plague Tale: Requiem, scandagliato doverosamente con gli “occhi” di Innocence puntati al futuro. Asobo, ancora una volta, presenta un mondo intenso e cupo, una storia più matura (anche se, forse, meno “accattivante”) ed una serie di personaggi ben azzeccati, a partire naturalmente dai due protagonisti principali. Gli sviluppatori, in sostanza, sono intervenuti limando alcuni spigoli della passata esperienza nel tentativo di “liberarla” dai rigidi vincoli meccanico-ludici del passato: il tentativo è, sicuramente, riuscito, seppur chi si attendeva una più decisa accelerata per quanto riguarda l’innovazione probabilmente resterà deluso. Requiem, tuttavia, conferma l’abilità totale di Asobo nel design artistico ed estetico: un plus tecnico sicuro, storpiato parzialmente dai limiti a livello di fluidità imposti a monte.