P.T. – Silent Hills
È un’immagine difficile da cancellare, che rimarrà per chissà quanti giorni nella mia mente. Talmente scioccante e disturbante che più di una volta sono stato costretto a distogliere lo sguardo dalla TV, oppure a tapparmi le orecchie per non udire il benché minimo suono: sono anni che videogioco, più o meno seriamente, ma mai mi sarei aspettato di assistere ad uno spettacolo così digitalmente grottesco. Ringraziare o meno Sony e la sua conferenza teutonica ancora non so se sia il caso di farlo. Forse l’esperienza è ancora così brutalmente radicata nella mia psiche da non consentirmi di formulare un pensiero vagamente sensato: no, ancora non riesco a cancellare la deriva clochard del povero Snake. Forse è per questo, per dare una scossa ai miei neuroni impazziti, che ho deciso di dare uno sguardo a P.T., il misterioso teaser interattivo che ha seguito la comparsata europea di Kojima-san.
di: Simone CantiniÈ un’immagine difficile da cancellare, che rimarrà per chissà quanti giorni nella mia mente. Talmente scioccante e disturbante che più di una volta sono stato costretto a distogliere lo sguardo dalla TV, oppure a tapparmi le orecchie per non udire il benché minimo suono: sono anni che videogioco, più o meno seriamente, ma mai mi sarei aspettato di assistere ad uno spettacolo così digitalmente grottesco. Ringraziare o meno Sony e la sua conferenza teutonica ancora non so se sia il caso di farlo. Forse l’esperienza è ancora così brutalmente radicata nella mia psiche da non consentirmi di formulare un pensiero vagamente sensato: no, ancora non riesco a cancellare la deriva clochard del povero Snake. Forse è per questo, per dare una scossa ai miei neuroni impazziti, che ho deciso di dare uno sguardo a P.T., il misterioso teaser interattivo che ha seguito la comparsata europea di Kojima-san.
Deja-vu
Gettato in pasto alla platea quasi con nonchalance, più simile ad uno di quegli spot verità che ad un vero e proprio annuncio videoludico, P.T. ed il suo misconosciuto team di programmatori, i 7780 Studio, sono passati quasi inosservati, schiacciati tra l’ennesimo titolo indipendente, la fantascienza di Destiny e i nuovi e mirabolanti (sicuri?) servizi online. Eppure quelle due semplici lettere e le poche immagini diffuse sul maxischermo hanno subito fatto scattare una molla in chi, come me, rimpiange i tempi dei VERI survival horror. Ripresomi dallo choc causatomi dallo scatolone, mi sono fiondato sul PSN solo per mettere in download gli 1.3 GB richiesti da questa sorta di curioso antipasto. Terminata l’installazione e regolato ad un volume consono il mio fedele impianto home theater, mi sono ritrovato a manovrare l’ennesimo avatar senza volto, intrappolato in sorta di loop ambientale denso di eventi sinistri e disturbanti. Mai come in questo caso un piccolo corridoio e la sua unica stanza, visitabile a fasi alterne, sono riusciti a restituire una sensazione di precarietà, vulnerabilità e smarrimento più completo. Certo, P.T. non rifugge dagli stilemi del genere, composti da rumori improvvisi, voci sommesse e macabre trasmissioni radiofoniche a cui si unisce una tremolante gestione delle luci che animano l’unico ambiente di gioco. Però, quando le idee ci sono e sono fuse assieme con sapienza, può risultare dannatamente divertente anche il dover attraversare più e più volte i pochi metri esplorabili, in un folle Uroboro in cui ogni nuovo inizio va ad aggiungere inediti elementi alla nostra inspiegabile prigonia. Finché, quasi per caso, la nostra agonia non ha termine e ciò che accade nei brevi attimi che ci separano dalla conclusione ci colpisce come il più lieto dei pugni: fa un certo effetto vedere messi assieme, l’uno di fianco all’altro, i nomi di Hideo Kojima (primo WTF?!), Guillermo Del Toro (secondo WTF?!) e Norman Reedus (lo avevo già scritto WTF?), sino a giungere al vero colpo di classe, riassunto dalle parole Silent Hills (WTF?!^2). Remake, reboot, nuovo capitolo, oppure la rinascita del lungamente atteso Insane, di cui proprio Del Toro era responsabile? In attesa di scoprire la verità, corro un attimo in bagno a cambiarmi i pantaloni…
Piccoli brividi
Sicuramente è molto presto per sbilanciarci per mezzo di inappellabili giudizi tecnici. In fondo non sappiamo neppure se questo spaventoso antipasto finirà per rispecchiare, anche solo in parte, il prodotto finito. Anzi, viste le menti che si celano dietro questo Silent Hills non è da escludere che si tratti semplicemente di una raffinata manciata di impalpabile fumo, gettato con intelligenza negli occhi degli ignari player. O magri del curioso modo imbastito da Kojima per scusarsi di quella demo a pagamento chiamata Ground Zeroes. Chissà. Per quello che è stato possibile provare, però, l’anima tecnica messa in mostra da P.T. si è mostrata duplice, in linea con la natura di questo esperimento: a livello di semplice modellazione l’ambiente interattivo si è rivelato solido, ricco di dettagli indispensabili per ricreare la giusta atmosfera. Ovviamente, dovendo inquietare senza sovraccaricare lo sguardo, il sonoro non poteva che essere di altissimo livello, forte di un mix di effetti audio sapientemente dosati: passi, lamenti, cigolii sospetti e tutto quanto è lecito aspettarsi da un horror li ritroviamo efficacemente qui. Però, come è facile intuire, non è tutto oro quello che luccica, dato che non mancano alcune imperfezioni tecniche che saltano all’occhio con prepotenza non appena iniziamo a muoverci lungo il corridoio: l’immagine sfuoca e si sdoppia leggermente e, a meno che non si tratti di un effetto voluto, lascia un po’ con l’amaro in bocca, soprattutto alla luce di un ambiente di gioco ed una mole di dettagli interattivi non certo esagerata. Assurdo, poi, continuare a gestire un personaggio incapace di aprire una semplice porta socchiusa, quasi fosse congelata in un limbo senza tempo: capiamo le esigenze di gameplay, ma a tutto c’è un limite. Però, come già detto, si tratta solo di un antipasto utile a veicolare il vero gioco in cantiere, quindi è sicuramente prematuro lanciarsi in assurdi allarmismi. Questo vale anche per la scelta di adottare una visuale in prima persona, scelta quasi inedita per la serie (The Room chi se lo ricorda?), anche se a livello immersivo è innegabile come una simile prospettiva riesca ad amplificare il pathos.
È strano che uno degli annunci più inconsistenti della conferenza Sony abbia finito con il rivelarsi uno dei più chiacchierati e discussi. Merito di una strategia di marketing intelligente e, sicuramente, di un brand che, al di là dei non certo felici trascorsi recenti, gode comunque di una popolarità sotterranea invidiabile. La domanda se Silent Hills sarà realmente un parente più che prossimo di P.T. è ancora presto per dirlo, l’unica cosa certa è che riuscito nel difficile compito di allontanare per qualche ora dalla mia mente l’allucinante immagine di uno Snake costretto a vivere in quel maledetto scatolone variopinto.