The Elder Scrolls V: Skyrim
Tradizione. Una parola che associata alle esperienze multimediali di nuova generazione puo' sembrare abbastanza fuori luogo. Eppure, quando ci si avvicina a saghe che possono vantare un lustro ed oltre d'attivita', parlare del suo passato e' quasi d'obbligo. The Elder Scrolls ne e' un caso lampante. Cinque anni fa, Oblivion si era imposto come l'apice conclusivo di un percorso lungo e tortuoso. Oggi, dopo tre ore passate a vagare nel nord estremo di Skyrim, si incomincia ad intravedere chiaramente perche' The Elder Scrolls doveva assolutamente avere un quinto capitolo.
di: Pasquale "corax" SadaCappa e Spada
Skyrim rimane, comunque, un titolo con una forte impronta action, dove, al di là delle capacità tattiche, è richiesto un certo coraggio e una certa attitudine alla battaglia. Purtroppo questo è uno degli aspetti che si è rinnovato meno, rimanendo fin troppo legato alla tradizione decennale della serie. Ovviamente ci sono state delle introduzioni che, seppur non sostanziali, svecchiano le battaglie, rendendole ora più complesse ed intense. Il nostro protagonista avrà a disposizione due mani, controllate dai due grilletti. Sembra un’affermazione ovvia, ma non lo è affatto. Entrambi gli arti, infatti, potranno essere equipaggiati con armi e magie a nostro piacimento, creando delle devastanti combinazioni. Nulla vieta di utilizzare doppiamente lo stesso incantesimo o la stessa arma per moltiplicarne il potenziale distruttivo. Una buona intuizione di Bethesda che, però, si infrange su barriere strutturali che risalgono ai tempi di Uriel Septim VII. Ogni scontro si trasformerà in una danza tra noi e l’avversario nella quale dovremo difenderci con scudo, se equipaggiato, e colpire con la nostra arma. Purtroppo è difficile schivare i colpi con precisione e l’assenza di un buono scudo si paga cara. Il massimo della frustrazione si raggiunge quando ci troviamo a dare battaglia ad un gruppo di nemici che finiscono quasi sempre per accerchiarci e randellarci. La possibilità di caricare i colpi e l’assenza del lock on non fanno altro che aumentare le probabilità di sprecare stamina, lasciandoci spesso boccheggianti sotto i colpi nemici. Per fortuna la possibilità di affidare al d-pad lo switch dell’equip ci permette di saltare da un assetto all’altro confidando ora sul magicka ora sulla stamina, evitando di rimanere per troppo tempo scoperti ed inermi. Imparare a combattere in Skyrim è un affare serio, uno degli obiettivi principali se non si vuole trasformare il titolo Bethesda in una versione in prima persona dell’incubo firmato From Software. Infatti, Skyrim non è affatto un titolo facile, anzi si è dimostrato abbastanza ostico, soprattutto nelle fasi avanzate. Il nutrito bestiario ci costringerà a portare con noi diversi set di armi per affrontare al meglio la situazione, senza dimenticare di potenziare le giuste magie per sopperire a mancanze del nostro eroe che vorremo tenere quanto più bilanciato possibile. Schiere di banditi e non-morti affollano strade e cripte, costituendo la parte maggiore dei nostri avversari, ma declinandosi in così tante sottoclassi e con così disparati equipaggiamenti da costringerci ogni volta ad adattarci allo scontro, cambiando gear e stile. Le sorti dello scontro e la nostra pellaccia dipendono sempre dalle nostre capacità di pianificare l’attacco e di portarlo a termine con precisione.
Landscape
Gamebryo è stato finalmente mandato in pensione per lasciare spazio al nuovo Creation Engine. Le differenze sono visibili ma non sono così sbalorditive come ci aspettavamo. I fattori sono molteplici e vanno dalla vastità del mondo riprodotto fino all’età delle macchine sulle quali Skyrim è costretto a girare. Il risultato è accettabile, ma non esaltante. Il Creation Engine eccelle nella riproduzione di paesaggi mozzafiato dove la linea di orizzonte, sebbene sfumata e confusa, risulta ricca ed evocativa. Meno bene il dettaglio, soprattutto nei close up dei volti e nella modellazione poligonale dei nemici, che risultano in certi casi solo abbozzati. Quanto alla lunga ne perda l’esperienza generale è difficile da quantificare: ad un primo walkthrough si è così presi dalla complessità di Tamriell, così catturati dal suo sapore fantastico e dalla ricchezza del nuovo artwork, con la sua impostazione celtica, che difficilmente si riesce a soffermarsi sulle specifiche tecniche o su eventuali mancanze di dettaglio. La mitologia scandinava è stata sicuramente la fonte d’ispirazione primaria, ma non mancano elementi classici dell’universo di The Elder Scrolls, che rendono Skyrim una provincia tutto sommato familiare e conosciuta. Composta soprattutto da villaggi modesti e castelli fortificati, la regione settentrionale di Tamriell ha un aspetto da terra selvaggia e indomabile, abitata da creature mastodontiche e pericolose. Buone ma non eccellenti le animazioni che rimangono ancora il tallone d’Achille di tutta la produzione, mentre vanno sottolineati gli effetti particellari e la dinamica dei fluidi che infondono naturalezza e magia a elementi come acqua e neve. Se l’impatto visivo non è nuovo, ne guadagna sicuramente il fattore esplorativo, “il richiamo della foresta” che infonde nel nostro guerriero lo spirito dell’avventuriero.
Great expectation
Tre ore di gioco non sono sufficienti per valutare complessivamente un titolo così vasto come Skyrim. Certo, è possibile cominciare a farsi un’idea di quello che ci aspetta, forse ridimensionando alcune aspettative. Se abbiamo imparato qualcosa da questa generazione è che di rado avvengono i miracoli tecnologici e Skyrim non fa eccezione, costantemente in battaglia tra quello che avrebbe voluto essere e i limiti oggettivi delle piattaforme. Il suo cuore è, però, vivo e sincero e risiede nella bontà del gameplay, la varietà delle quest e soprattutto fa leva sul potere di una storia che si costruisce sotto le nostre mani. Non sarà l’apice della tecnologia, eppure Skyrim è in grado di affascinare e coinvolgere con una potenza inusitata: ogni passo ne chiama un altro, facendoci macinare chilometri tra luoghi affascinanti e dimenticati.