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The Elder Scrolls V: Skyrim

Tradizione. Una parola che associata alle esperienze multimediali di nuova generazione puo' sembrare abbastanza fuori luogo. Eppure, quando ci si avvicina a saghe che possono vantare un lustro ed oltre d'attivita', parlare del suo passato e' quasi d'obbligo. The Elder Scrolls ne e' un caso lampante. Cinque anni fa, Oblivion si era imposto come l'apice conclusivo di un percorso lungo e tortuoso. Oggi, dopo tre ore passate a vagare nel nord estremo di Skyrim, si incomincia ad intravedere chiaramente perche' The Elder Scrolls doveva assolutamente avere un quinto capitolo.

di: Pasquale "corax" Sada

Tradizione. Una parola che associata alle esperienze multimediali di nuova generazione può sembrare abbastanza fuori luogo. Eppure, quando ci si avvicina a saghe che possono vantare un lustro ed oltre d’attività, parlare del suo passato, rispettare i suoi anni è quasi d’obbligo. The Elder Scrolls ne è un caso lampante. Bethesda nel 1994 lanciò una struttura di gioco che coniugava una visuale in prima persona con elementi RPG e una fortissima vocazione all’esplorazione. Una struttura che a tutt’oggi è il pilastro fondante del gameplay. Su questo scheletro, però, gli anni hanno fatto crescere diverse “sembianze”, volti nuovi che si sono sempre aggiornati per mantenere la pressione dei tempi e non distruggere il potere evocativo delle terre di Tamriell. Cinque anni fa, Oblivion, il quarto capitolo, si era imposto come l’apice conclusivo di un percorso lungo e tortuoso. Nonostante alcune immancabili sbavature, l’esperienza ruolistica in soggettiva sembrava essere giunta al capolinea. La provincia di Cyrodill, posta non a caso nel cuore di Tamriell, era una regione ricca e viva, nella quale l’elemento fantastico si abbelliva con la presenza di storie umane coinvolgenti e profonde. Tradizione e innovazione si fondevano per un’esperienza di gioco completa, impressionante per quantità e qualità. L’eredità che un siffatto prodotto ha generato non poteva essere trascurata, soprattutto se si tiene conto che da una sua costola sparata nel futuro cyberpunk è nata la rivitalizzazione di un’altra serie enorme, Fallout. Se da una parte le possibilità di sviluppo sembravano essersi assottigliate, dall’altra l’universo creato da Bethesda nascondeva numerosi segreti, lasciando inesplorate terre lontane, protette dal gelo dei venti e dai freddi sentieri coperti di neve. Dopo tre ore passate a vagare nel nord estremo di Skyrim, si incomincia ad intravedere chiaramente perché The Elder Scrolls doveva assolutamente avere un quinto capitolo.

Ai confini del Cielo

È risaputo che Bethesda ha un modo molto personale di affrontare la “costruzione” del proprio titolo. I suoi prodotti sono inquadrabili nel filone RPG ma vi si inseriscono con uno spirito tutto personale. La leggenda narra che addirittura il modello di storytelling sia direttamente ispirato al concetto di pagina bianca come limite all’interno del quale è l’eroe a scrivere la propria storia. Al di là del mito, proprio l’elemento narrativo è stato oggetto di non poche controversie, croce e delizia di una produzione che non vuole inquadrare il percorso dell’eroe in uno schema specifico. Cosa dobbiamo aspettarci da questo quinto capitolo? Matt Carofano, storico lead artist della serie, ha tenuto a precisare che Skyrim è stato costruito per aderire al percorso narrativo senza mutilare la libertà d’azione del giocatore. Gli espedienti usati sono diversi ma probabilmente il più efficace è anche il più semplice: questa volta avremo a che fare con potenze evocative e misteriose, capaci di ronzare nel cervello degli avventurieri anche durante le sessioni di semplice caccia o raccolta risorse. Insomma, la main quest sarà tale perché vi si pianterà in fronte come un chiodo fisso e martellante, una presenza ossessiva e allucinante. Non crediamo di svelare nulla affermando che i draghi saranno protagonisti in tutti i sensi di questo quinto capitolo. E proprio per abituarvi alla tecnica narrativa utilizzata da Bethesda, vi lasciamo con questo brandello d’informazione e invitandovi da soli a ricostruire, con spade e logica, il quadro completo.

Il destino di un cavaliere…

…dicono sia scritto nelle stelle. Skyrim non è figlio di una rivoluzione, quanto di un progressivo miglioramento che ha portato l’intera macchina a funzionare con più precisione di un orologio svizzero. Il nuovo sistema di progressione personaggio approda finalmente ad un equilibrio naturale, svincolandosi da elementi che rallentavano l’evoluzione del nostro protagonista. Le abilità vengono sempre potenziate dall’uso, adattandosi perfettamente al nostro stile di gioco, ma l’assenza di vere e proprie classi permette una maggiore libertà d’evoluzione, una maggiore aderenza alle nostre tecniche di combattimento. Lo sviluppo delle skill dinamiche si affianca invece alla progressione “statica” del personaggio che procederà al level-up grazie ai punti esperienza. Ad ogni nuovo livello avremo la possibilità di scegliere di “upgradare” una tra le barre di magicka (il mana di Skyrim), stamina e salute. Inoltre riceveremo un pool di punti perks da utilizzare sulle costellazioni, altra novità nel processo di crescita del nostro personaggio. Ogni abilità, infatti, è regolata da una sua costellazione con un suo pattern specifico: potremo investire i punti su una stella che conduce in linea diretta ad un’altra stella e così via; alcune stelle funzionano da snodo per sbloccare diverse linee, aprendo la scelta a più abilità. Dovremo, quindi, avere un minimo di lungimiranza nello spendere i punti perks, se non vogliamo ritrovarci con abilità poco utili al nostro stile di gioco. Imparare a gestire la crescita del proprio alter-ego è fondamentale sin da subito, perché Skyrim ha una progressione molto veloce e ben presto ci metterà di fronte a sfide impegnative.