
Quattro chiacchiere con… Tommaso Bonanni di Caracal Games
di: Simone CantiniLa recente prova sul campo della demo del promettente Star Overdrive mi ha fornito la ghiotta occasione di scambiare due chiacchiere con Tommaso Bonanni, CEO e fondatore di Caracal Studio, nonché creative director del titolo in questione. In realtà, quella che avrebbe dovuto essere una semplice intervista, si è tramutata in un lampo in una piacevolissima ed interessante cascata di aneddoti e pensieri sparsi, che è stato davvero difficile riuscire a ridurre in maniera esaustiva nella manciata di caratteri che trovate qua di seguito.

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Quattro chiacchiere con… Tommaso Bonanni di Caracal Games
Nelle due ore trascorse in compagnia del disponibilissimo Tommaso, ad emergere in primis, oltre ai dettagli e alle risposte che trovate qua sotto, a trasparire con forza sono state la passione e l’entusiasmo che animano il modus operandi del suo team di lavoro, elementi già emersi nella demo di cui sopra, ma che hanno trovato la loro felicissima conferma nel tempo che ci ha gentilmente concesso.
Console Tribe: Come nasce Caracal Studio e quali sono gli obiettivi a cui puntate con i vostri lavori?
Tommaso Bonanni: Caracal nasce nel 2015 per sviluppare il nostro primo lavoro, Downward, che fortunatamente si è rivelato un discreto successo e ci ha fatto capire che quella dei videogiochi era la strada che volevamo seguire. Dietro, però, si nascondeva anche un bisogno puramente personale, dato che da fondatore dello studio covavo il desiderio di esprimermi proprio attraverso il gaming digitale. Poco alla volta ci siamo ampliati in maniera organica, inserendo gradualmente nuove figure professionali, e ad oggi possiamo contare sui 10 sviluppatori più altre ruoli relativi al business marketing e altri ruoli prettamente burocratici. La nostra forza è data dal mix tra veterani e nuove leve di assoluto talento. La nostra filosofia di fondo è proprio questa: poca gente ma molto competente nel proprio ruolo. Questo ci permette di lavorare più serenamente ed abbassare le fisiologiche incognite di produzione, mantenendo un ecosistema di sviluppo sano.

CT: Nel gaming stanno aumentando chiusure e licenziamenti, soprattutto per quanto riguarda i grandi nomi: quali ritenete che siano i passi che un piccolo studio debba seguire per poter sopravvivere agli scossoni del settore?
TB: Indubbiamente penso che la chiave sia aumentare l’efficienza del team, processo che si può attuare in moltissimi modi. Occorre incrementare la produttività, prediligendo la qualità alla quantità: la prima resta a distanza di anni, mentre la seconda tende a sparire molto rapidamente.
Va comunque sottolineato come, negli ultimi tempi, i meccanismi di crescita e le assunzioni sregolate da parte di numerosi sviluppatori siano state portate avanti in maniera sicuramente sregolata, con le fisiologiche conseguenze che stiamo vedendo oggigiorno. La situazione attuale, in definitiva, non è altro che un logico processo di ritorno alla normalità.
CT: Quali sono state le principali fonti di ispirazione di Star Overdrive?
TB: Beh, in tal senso le cose da dire sono davvero tante, ma principalmente l’idea di base si è sviluppata attorno al nostro desiderio di creare un gioco con l’hoverboard. Diciamo che tutto nasce grazie alla serie robotica Eureka Seven, che ha fatto scattare questa ideale scintilla. Con il tempo, durante i due anni che ci siamo presi per la preproduzione, abbiamo capito che il gameplay stava procedendo verso una direzione molto nintendosa. Questo ci ha portato ad ispirarci e a tornare su soluzioni già sperimentate nella serie di Zelda e sostanzialmente ci siamo resi conto che l’identità di Star Overdrive avrebbe dovuto spingersi in tale direzione.
Anche perché abbiamo adorato e studiato a fondo Breath of the Wild, soprattutto da un punto di vista puramente tecnico, ma principalmente ciò che abbiamo “rubato” è la sua filosofia di gioco open-air, ovvero la possibilità di riuscire a fare la cosa giusta ma nel modo sbagliato. Sostanzialmente, al giocatore vengono forniti numerosi tool ludici, e starà a lui scegliere come fare le cose. Questo ci ha portato a creare un numero corposo di possibilità, che andranno a ampliarsi anche in funzione dei vari biomi (ogniuno caratterizzato da meccaniche peculiari) e dei nemici che si troveranno nel gioco. (e qua ho stoppato il buon Tommaso per evitare pericolosi spoiler. N.d.R.)

CT: Quali sono stati gli ostacoli maggiori che avete dovuto superare durante la fase di sviluppo?
TB: Senza dubbio uno dei momenti più complicati è stata la fase di prototipazione del gioco, quando ci siamo messi a studiare quello che avrebbe dovuto essere Star Overdrive. Il focus era quello di creare un qualcosa che avesse una propria identità, ispirandoci ma senza essere derivativi. Ed inserire l’hoverboard è stata la chiave di volta del processo.
Inoltre è stato molto sfidante anche il processo di ottimizzazione su Nintendo Switch, visto che il nostro è l’unico gioco open world disponibile sulla console ad essere stato realizzato con Unreal Engine 5. E questo si è portato dietro un sacco di problematiche che hanno richiesto un lavoro di pulizia massiccio, dato che stavamo esplorando situazioni mai testate prima, dei quali gli stessi ingegneri di Epic non erano a conoscenza.
CT: Quali sono le meccaniche di cui andate maggiormente fieri e ritenete rendano il vostro gioco unico? E su quali aspetti, invece, avreste voluto prendervi del tempo ulteriore per lo sviluppo?
TB: Sicuramente l’hoverboard è una delle nostre punte di diamante, dato che rappresenta un sistema unico nel panorama e di cui siamo davvero molto orgogliosi. Siamo anche soddisfatti del suo design generale, visto che pur essendo un sistema nuovo è davvero molto facile da padroneggiare e che riesce a dare tanta soddisfazione al giocatore. L’altro aspetto che ci rende orgogliosi è il combat system, che riesce a mescolare tra di loro tutti i poteri e gli aspetti fisici che abbiamo messo a disposizione del player. Questo permette di dare vita a combinazioni davvero assurde ed imprevedibili, tali da rendere gli scontri sempre freschi e divertenti, grazie proprio a questo suo riuscire a fondere in modo costante le possibilità che vengono man mano rese disponibili. (e anche qua Tommaso mi ha indicato una serie di situazioni che evito di riportare per non rovinarvi la sorpresa! N.d.R.)
L’altra cosa per noi molto bella, è che non si avverte mai realmente la necessità dei vari poteri, dato che è possibile finire il gioco anche in maniera più snella e lineare, ma è anche vero che man mano che si sbloccano, questi andranno a cambiare la prospettiva del mondo di gioco, aprendo la strada a possibilità sempre nuove e differenti. In definitiva la creatività non sarà un dovere ma un semplice piacere ludico.
Per quanto riguarda elementi che avremmo voluto rivedere, a costo di sembrare antipatico, confesso di non trovarne, dato che siamo riusciti ad inserire in Star Overdrive tutti gli elementi che avevamo in mente. Ed onestamente più di così non saremmo riusciti a fare. A voler essere proprio pignolo, mi sarebbe piaciuto inserire qualche quest secondaria in più, ma ritengo che questo avrebbe portato la durata complessiva ad essere inutilmente dilatata. (Tommaso indica in 15 ore la longevità dell’avventura, mentre per sviscerare il tutto sostiene serva circa il doppio del tempo. N.d.R.)

CT: Le tre grandi compagnie del settore (Microsoft, Sony e Nintendo) stanno attuando 3 differenti politiche commerciali: quali ritenete sia la migliore sul medio/lungo periodo?
TB: Rischio di essere impopolare (Tommaso mi chi ha chiesto espressamente di riportare queste parole. N.d.R.), ma la mia analisi è molto semplice: Microsoft ha scelto la strada degli abbonamenti, situazione che a mio modo di vedere non è stata priva di qualche problema di troppo, al punto che la sua console sembra oramai in procinto di essere tagliata fuori dai giochi. Sony, con il suo voler stare con il piede in due scarpe la vedo un po’ traballante. Nintendo invece continua a dimostrarsi molto forte, avendo scelto di continuare a puntare sui tre aspetti che l’hanno resa leader: qualità, IP e formato fisico.
Si tratta di tre elementi in grado di generare un forte fenomeno di affezione nei confronti di un prodotto, che porterà sempre il consumatore ad essere un cliente fedele ed affezionato. E da amante in prima persona del possesso fisico di giochi, non posso che ritenere questa strategia come la migliore. Reputo che il sistema alla Netflix non sia adatto al mondo del gaming, proprio perché viene a mancare tutta la fase emotiva in grado di creare un rapporto forte e “romantico” tra proprietà intellettuale e giocatore.
CT: Il gaming in Italia si sta rapidamente affermando su scala globale ma restano ancora passi da compiere: come vedete il futuro del settore nostrano e quali ritenete che siano i passi da compiere per poter competere ad armi pari con i paesi leader?
TB: In Italia abbiamo tutte le competenze tecniche e le eccellenze necessarie a competere a testa alta con gli altri paesi. Ci sono però due aspetti che hanno maggiormente bisogno di essere formati, ovvero la dirigenza ed il lato business del settore. Ci manca soltanto la capacità di aggregare a dovere i nostri punti di forza, ma questo è anche un po’ un limite intrinseco al nostro modo di essere, tipicamente italiano, che ci porta molto spesso ad essere scioccamente in competizione tra di noi, senza riuscire a valorizzare a dovere i nostri punti di forza.
Si tende a guardare troppo il proprio orticello, spinti principalmente dal desiderio di ottenere tutto nell’immediato, di sistemarsi a livello personale, senza puntare a costruire un qualcosa di più duraturo e lungimirante. Bisogna creare una classe imprenditoriale maggiormente consapevole, ma da questo punto di vista mi sento di essere ottimista, visto che chi è competente si sta dimostrando in grado di andare avanti con successo. Ci sono molte compagnie che, pur non facendo molto rumore, stanno portando avanti dei bei progetti con criterio.
CT: Quali sono i passi da compiere per avere un buon publishing in Italia?
TB: Nel nostro paese manca proprio il terreno fertile per i videogiochi, che continuano a non essere ben visti e proposti. Bisogna creare una cultura del medium, che permetta di rendere il tutto presentabile alle istituzioni. Il settore, purtroppo, è ancora visto come un passatempo piuttosto che un lavoro: AESVI e IIDEA nel corso degli anni hanno provato in moltissimi modi a trasmettere un tale pensiero, ma la strada è ancora lunga. Paradossalmente sono i publisher esteri ad investire maggiormente nel nostro paese. Noi abbiamo, tra l’altro, il costo del lavoro molto basso nel nostro paese, elemento che sul mercato ci rende alquanto competitivi ed appetibili, ma manca la capacità di saper sfruttare a dovere questo vantaggio. Anche in questo caso sono abbastanza positivo, visto che qualcosa si sta muovendo, ma la strada è ancora molto lunga. Rispetto a quando ho iniziato la mia avventura nel settore nel 2015 parte dello scenario è cambiato in meglio, e ci sono aziende in grado di fare business con i videogiochi: un trend che penso riuscirà a migliorare nel tempo.

Con questo si è conclusa la nostra chiacchierata con Tommaso Bonanni, un vero fiume in piena quando si tratta di parlare di quella che è la sua più grande passione (perché ridurre il tutto al concetto di lavoro sarebbe davvero troppo sminuente). Speriamo che l’intervista sia riuscita ad accendere un briciolo di interesse nei confronti di Star Overdrive, nel caso non ci avesse già pensato la demo disponibile su eShop. Indubbiamente, anche alla luce di quello che vi abbiamo raccontato, non possiamo che attendere con ansia il debutto di questa nuova e promettente produzione orgogliosamente made in Italy.