Destiny 2 – La Maledizione di Osiride
di: Simone CantiniRipetersi con successo e, magari, migliorarsi è sempre un’ardua impresa, soprattutto se l’asticella è già posta estremamente in alto alla prima sortita. Ed è difatti innegabile come Destiny 2 si sia rivelato un portatore sano di speranze non certo dozzinali, atteso come il messia in grado di superare ed innovare quanto tracciato negli ultimi anni dai ragazzi di Bungie. E nonostante le buonissima proposta iniziale fatta dal team statunitense, è innegabile come questa rivoluzione non si sia verificata, facendo percepire quasi come un oltraggioso tradimento le scelte fatte dai creatori di Halo. Ed è proprio per questo motivo che La Maledizione di Origine è stata, sin dal suo annuncio, quasi una sorta di sorvegliato speciale, come se fosse chiamata ad invertire in maniera decisa la rotta tracciata dal team: ma le speranze, ora che abbiamo testato questa espansione, sono state davvero ben riposte?
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Simulare il futuro
La Maledizione di Osiride si porta, come era prevedibile, in dote una nuova main quest, tramite la quale potremo approfondire la figura (ma guarda un po’) di Osiride, uno dei più potenti guardiani di sempre, nonché mentore adesso in esilio della nostra Ikora. Durante uno dei suoi viaggi, lo stregone si incappa in una simulazione di guerra Vex, il tutto all’interno della Foresta Infinita di Mercurio, e porta alla luce una verità in grado di mettere a repentaglio la sicurezza della galassia: le robotiche creature sono difatti riuscite a trovare il modo per debellare una volta per tutte le forme di vita del Sistema Solare. Deciso ad impedire che questa catastrofica eventualità diventi reale, Osiride si separa da Sagira (il suo fidato Spettro), con la speranza che riesca a contattare gli altri Guardiani ed organizzare una task force in grado di fermare i Vex. A dispetto di alcune premesse interessanti, utili anche a giustificare la presenza di un nuovo pianeta visitabile (era ora Mercurio!), le circa tre ore che trascorreremo in compagnia di Sagira scorreranno via senza troppi scossoni, prevalentemente a causa di una struttura delle missioni priva di reali guizzi. Nonostante le nuove location siano caratterizzate da uno dei migliori stili mai visti in Destiny, il ritmo si mantiene su livelli alquanto blandi, oltre che condito da un livello di difficoltà davvero ridotto al minimo. Certo, lo scontro finale è stuzzicante ed il boss molto ben caratterizzato, ma resta forte il sospetto di compitino svolto senza infamia e senza lode. E questo impegno minimal traspare anche dalla nuova mappa che potremo visitare liberamente una volta completata la main quest, dato che il da me tanto atteso Mercurio si è rivelato estremamente contenuto come dimensioni, al punto che per mascherare i suoi limiti Bungie ha visto bene di disabilitare l’utilizzo dell’Astore. Un trucchetto davvero di bassa lega. Va comunque detto che la parte del leone avrebbe dovuto farla la Foresta Infinita, una sorta di labirinto procedurale tramite il quale è possibile accedere a versioni presenti, passate e future del pianeta. Peccato che la ripetitività della geografia, così come l’esigua estensione delle tre linee temporali che fungono da obiettivi finali, lascino davvero l’amaro in bocca. Sì, perché il Mercurio che fu, simile come stile e palette cromatica ai filmati fighi di No Man’s Sky, avrebbe meritato un trattamento differente.
Tutto il resto è noia
Sarebbe comunque errato concludere il giudizio de La Maledizione di Osiride limitandosi alla nuova main quest, vista anche la natura della creatura Bungie. Il problema è che anche andando a sviscerare le attività collaterali che il DLC si porta inevitabilmente dietro, il quadro generale non ne esce particolarmente confortato. Il riciclo di idee ed elementi, sia che si parli di Assalti che di Raid, è difatti estremamente palpabile, ancor più nei primi (due in totale), che ripercorrono in maniera quasi fedele alcuni estratti della breve campagna. Le stesse attività su Mercurio, anche a causa della sua ridotta estensione, finiscono per cadere presto vittima della ripetitività e non basta un nuovo evento pubblico ben congeniato per risollevare le sorti del primo pianeta del Sistema Solare. Prova dire la sua il Raid, presentando una struttura tutto sommato originale rispetto alle precedenti esperienze, ma la longevità ridotta rispetto al passato a cui Bungie ci ha abituato finisce per penalizzare anche questa ulteriore opzione ludica. Non ci siamo proprio anche per quanto riguarda gli equipaggiamenti ottenibili ne La Maledizione di Osiride, dato che si tratta prevalentemente di revisioni di quanto visto in passato, mentre sono estremamente tediose da craftare, a causa di un grinding selvaggio e fondamentalmente scellerato, le nuove bocche da fuoco di provenienza Vex. A chiudere il cerchio ci pensano le nuove mappe per il Crogiolo, sicuramente ben progettate, ma si tratta veramente di una piccola goccia in un mare di turbinane disappunto.
La Maledizione di Osiride è l’esempio lampante di come Bungie stia decisamente attraversando un periodo di forte crisi creativa, anche se resta il dubbio se questa sia consapevole o meno. Il DLC poteva essere l’occasione giusta per ribadire la volontà di mettere una sostanziosa toppa alle criticità mosse dalla fanbase di Destiny, ma invece si è limitato a replicare, tra l’altro in maniera neppure troppo convincente e strutturata, i passi falsi mossi in concomitanza con il lancio di questo discusso secondo capitolo. Mercurio è senza dubbio una location affasciante, che avrebbe meritato una sorte ben migliore, e non basta uno stile al solito ispiratissimo e convincente ad evitare a La Maledizione di Osiride il fastidioso appellativo di costosamente superfluo.