Approfondimento

Star Overdrive, la non-recensione della versione Xbox Series X

di: Donato Marchisiello

Breath of the Wild, in un certo qual modo, ha dettato una via precisa su come dovrebbero essere le avventure moderne — ovvero, molto simili a un più classico gioco di ruolo open world. Gli emuli sono tanti, i prodotti al suo livello pochissimi, ma l’idea centrale ribolle continuamente.

Idea che pare essere al centro anche di Star Overdrive, ultima fatica dell’italianissimo studio indipendente Caracal Games, con sede a Roma. Pubblicato per la prima volta su Nintendo Switch ad aprile, questa avventura open world arriva ora su PS5 e Xbox Series X, con degli immancabili miglioramenti di risoluzione e prestazioni.

Un prodotto, sulla carta, interessante, proposto a un prezzo parimenti invitante e che sembra avere dalla sua dei “guizzi” personali di un certo rilievo.

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Di Star Overdrive abbiamo già parlato lo scorso aprile, in occasione della recensione della versione Nintendo Switch, ma facciamo un doveroso recap per i potenziali nuovi giocatori.

Protagonista della vicenda è Bios, un silenzioso girovago spaziale che riceve una chiamata di soccorso da una donna di nome Nous, che si rivelerà essere la sua fiancée. Dopo un breve filmato introduttivo, il gioco ci catapulta su un pianeta desertico, in seguito a uno schianto distruttivo.

La trama scorre con una certa naturalezza ed è alimentata goccia dopo goccia attraverso cassette in stile retrò, contenenti messaggi di varia natura e provenienza, che contribuiscono a costruire il mistero che circonda le vicende narrate in Star Overdrive.

Il gameplay rende, per certi versi, sui generis Star Overdrive, il quale sembra — a tutti gli effetti — uscito dalla mitologia videoludica degli anni ’80. Il gioco poggia il suo loop centrale sull’esplorazione di una mappa aperta piuttosto vasta, con diversi punti di interesse, nemici da abbattere e materiali da raccogliere.

Partiamo dal mondo di gioco: premessa una certa monotematicità estetica generale, la mappa di Star Overdrive è concepita come una grande pista da skating, con alcune aree da esplorare “a piedi” — quasi sempre ben segnalate a schermo. Questa conformazione, per quanto originale e poco convenzionale, potrebbe non essere apprezzata da chi cerca un mondo più rigoglioso, ricco di dettagli e con maggiore sostanza da scoprire.

Al centro dell’esperienza troviamo esplorazione e combattimento, affidati a due strumenti decisamente improbabili: Bios attacca i nemici con una keytar (una tastiera da spalla, indossabile come una chitarra) e si sposta su un agile hoverboard, con il quale può eseguire trick a mezz’aria per ottenere propulsione extra.

La keytar e l’hoverboard rappresentano i due fulcri meccanici del gioco. La keytar è l’arma da combattimento corpo a corpo di Bios, che può sferrare attacchi leggeri, caricati, colpi in aria, eseguire schivate, e utilizzare combo. Man mano che si avanzano i dungeon — ricchi di puzzle fisici in pieno stile Zelda — si sbloccano poteri speciali, che aggiungono varietà all’approccio offensivo: tra questi, raggi telecinetici o abilità che fanno rimbalzare i nemici come palline impazzite.

Tuttavia, per quanto caratterizzata, questa componente soffre di tutti i limiti tipici di una produzione indie: animazioni rigide, colpi privi di peso, combo poco dinamiche e hitbox imprecise. A ciò si aggiunge un livello di difficoltà piuttosto contenuto, dove gli scontri risultano spesso una formalità, e la morte non comporta reali penalità. A risollevare parzialmente la sfida ci pensano le boss fight, strutturate come veri e propri mini-game: divertenti, ben ideati e ideali per spezzare la routine.

Diverso il discorso per l’hoverboard, elemento convincente, fluido e divertente da usare. Il sistema è espanso da un albero di upgrade piuttosto profondo, alimentato dalla raccolta di materiali — alcuni ottenibili da piante e ambienti, altri da nemici abbattuti — utilizzabili per creare componenti sempre più potenti, in grado di aumentare le funzionalità della nostra tavoletta volante.

Nonostante la bontà dell’idea, anche questa sezione presenta qualche limite: tra tutti, una certa astrusità concettuale e una lentezza meccanica nella raccolta delle risorse. L’hoverboard, però, non si limita a essere un mezzo di trasporto: diventa il protagonista di gare di velocità disseminate nel mondo di gioco, che metteranno alla prova le nostre abilità di controllo e riflessi.

Sarà inoltre possibile potenziare anche Bios tramite un (non troppo vasto) albero delle abilità, focalizzato principalmente su attacco, difesa ed energia, necessaria per l’uso dei poteri speciali.

Da un punto di vista più specificamente tecnico, Star Overdrive è un buon esempio di quanto può offrire una produzione indipendente, con tutti i compromessi del caso. Rispetto alla versione Switch, questa edizione si presenta con prestazioni nettamente superiori e una qualità visiva migliorata.

Il mondo di gioco è vasto e particolare da osservare, anche se penalizzato da una certa ripetitività visiva. Lo stile grafico in cel-shading, pur appesantito da alcune texture piuttosto basiche, si rivela una scelta azzeccata, che contribuisce ad alleggerire positivamente l’esperienza.

Il comparto sonoro alterna toni ambient durante l’esplorazione a piedi a brani pseudo-metal nelle fasi di combattimento, ma mostra alcuni cali qualitativi proprio nei momenti più intensi. L’effettistica, seppur limitata, svolge dignitosamente il proprio compito, senza infamia né lode.

Esteticamente, quindi, Star Overdrive si presenta come un indie curato, che riesce a distinguersi per stile e identità visiva. Anche sul piano prestazionale, tolte alcune compenetrazioni poligonali, animazioni rigide, episodi di warping o piccoli bug secondari, l’esperienza è risultata complessivamente fluida, con 60 fotogrammi al secondo piuttosto stabili.

L’esperienza di gioco offerta da Star Overdrive è senza dubbio divertente e interessante con il suo miscuglio di generi che lo rende originale e variegato, sebbene ogni singolo segmento evidenzi limiti tecnici e concettuali, come tra l’altro già evidenziato all’epoca su Nintendo Switch.

L’esplorazione, resa dinamica e piacevole grazie all’hoverboard, è sicuramente divertente, ma il mondo di gioco risulta alla lunga poco denso e scarno di contenuti realmente memorabili. Il combattimento, arricchito dai poteri sbloccabili e da un discreto ventaglio di mosse, finisce per essere troppo semplice e, in alcuni momenti, appare quasi come un “male necessario” più che un reale punto di forza.

La presenza di materiali da raccogliere e di un sistema di potenziamento è un’aggiunta senza dubbio interessante, ma limitata da una certa macchinosità e da meccaniche poco profonde, che ne riducono il potenziale sul lungo periodo.