Anteprima

Hunted: Demon’s Forge & Brink

Quest'anno Bethesda promette faville: a condurre il carrozzone delle meraviglie c'e' sicuramente il quinto capitolo di una delle saghe RPG piu' amate in assoluto, The Elder Scrolls, che con Skyrim, promette di migliorare, potenziare e ripulire l'esperienza di gioco offerta dal predecessore Oblivion. A seguire vengono Brink e Hunted: The Demon's Forge, che sicuramente non godono della stessa fama ma promettono ugualmente di regalare interessanti ore di gioco ai videogiocatori. Invitati da Bethesda all'Hotel Hussler di Londra, abbiamo potuto mettere le mani sui due "neonati" della software house americana, e quanto abbiamo visto ci ha positivamente sorpreso.

di: Pasquale "corax" Sada

In un panorama che sembra essere ormai saturo per il mercato first person shooter, è lecito aspettarsi qualcosa di diverso da Brink, che si è presentato sin da subito come un titolo dalla natura estremamente particolare ed interessante. Sicuramente i riflettori sono puntati sul sistema SMART (Smooth Movement Across Random Terrain) che dovrebbe introdurre in un classico scenario FPS, come “elemento di disturbo”, la possibilità di interagire completamente con gli ambienti circostanti. Ovviamente questa non è l’unica freccia nell’arco di Splash Damage, che si era già fatta notare per il lavoro svolto con Quake e Wolfenstein, pietre miliari del genere. La software house inglese ha ampiamente dimostrato di saperci fare con i fondamentali, ora rimane solo da vedere come se la cava con le innovazioni.

The Floating City

Nonostante il portmanteauseasteading” non sia familiare alla maggior parte delle persone, ne abbiamo avuto quasi tutti una minima esperienza. Per Seasteads si intendono tutte le abitazioni, o in senso generico stabilimenti umani, che giacciono permanentemente sulla superficie del mare. È facile a questo punto richiamare alla memoria Waterworld, film campione d’incassi con Kevin Costner che presentava un futuro apocalittico dove le acque avevano completamente sommerso l’intero mondo per lasciare come unico spazio vitale agli uomini alcune palafitte galleggianti. Su queste enormi zattere l’umanità cercava a stento di trascinare una misera e difficile vita.

Su questo impianto Spash Damage ha fatto crescere la propria storia e il proprio universo, personalizzandolo e riadattandolo alle vicende sicuramente più movimentate e guerresche di quelle presentate dal film (che ad onor del vero è stato comunque un piacevole action movie, ndr). Protagonista indiscussa del titolo è The Ark (l’Arca, con chiaro riferimento biblico), la città galleggiante che inizialmente doveva porsi a simbolo dell’estremo progresso umano. Costruita come nucleo autosufficiente, la zona urbana era in grado di autoalimentarsi e sostenersi in modo autonomo grazie allo sfruttamento intensivo di energie rinnovabili e ultimi ritrovati della tecnologia. Le strutture erano state progettate per sopperire al fabbisogno di circa 5000 persone, costruendo un ambiente confortevole e idilliaco. Con l’innalzamento delle acque terrestri, però, la situazione si è complicata drasticamente. The Ark è stata l’unica costruzione umana a sopravvivere al disastro, grazie alle sue strutture in grado di galleggiare sulle acque. Molto rifugiati si sono precipitati nella città affollandone strutture e strade e portando la popolazione a 50.000 unità, numero insostenibile anche per un progetto così ben congegnato. Tra la gente ha iniziato a correre un malcontento che le misure di sicurezza e il pugno di ferro della Sicurezza (nome non originalissimo per la fazione di Stato) hanno finito per inasprire. Di fatto il tessuto sociale di The Ark si è spaccato in due, creando due gruppi che combattono per far prevalere le proprie ragioni. Da una parte c’è la suddetta Sicurezza che, oltre a tentare di mantenere l’ordine, è tenuta anche a limitare le fuoriuscite dalle mura della città; mentre dall’altro abbiamo la Resistenza, che ovviamente è alla ricerca della libertà, rappresentata anche da una fuga dal contesto urbano per cercare luoghi più vivibili anche al di là del perimetro cittadino. Insomma, una sorta di Berlino Est futuristica nella quale si danno battaglia due ipotetiche fazioni che la Storia stessa ci ha detto possibili.

Carica-tura

Brink è un titolo che ha stile, indubbiamente. Può piacere o meno, ma Splash Damage è riuscita con qualche mossa azzardata a dare un tocco particolare all’appeal grafico della sua creatura. Sembra quasi di guardare indietro a quando si presentarono le prime immagini di Borderlands. Era palese che la scelta del cel-shading fosse dettata da esigenze di sviluppo, eppure funzionava dannatamente bene. Con Brink siamo più o meno sullo stesso binario, anche se qui le esigenze sono evidentemente diverse. Maneggiare, affrontare ed uccidere uomini con corpi allungati all’inverosimile, braccia pompate da comics cartoon e facce simili a caricature, donano all’atmosfera di guerriglia un sapore tutto particolare. Lo stile netto, pulito e preciso della Sicurezza si controbilancia con quello pazzo, sporco e pieno di dettagli della Resistenza, dandoci l’idea di essere precipitati nel bel mezzo del caos, dove anche le forme umane si confondono e si deformano. Tutto ciò è tanto più evidente nelle splendide cut-scene pre-renderizzate che scandiscono i beat della storia. Affascinanti, coinvolgenti e profonde, riescono a tirare il giocatore dentro la storia senza mai eccedere in esagerazioni gratuite. Un plauso ulteriore va fatto agli sviluppatori che sono riusciti a tenere in piedi tutto l’impianto di story-telling nonostante le scelte particolari, conferendo comunque credibilità a quanto accade sullo schermo. Non era facile se si pensa che discorsi di una certa serietà vengono pronunciati con gravità da enormi labbroni, così gonfi da balzare quasi fuori dai visi. È una spia dell’ottimo lavoro fatto soprattutto a livello di artwork e concept generale che ricrea un mondo concreto e compatto, attingendo a piene mani dal cinema (abbiamo già citato Waterwold) e da altri videogame. Merita una menzione Mirror’s Edge, che sicuramente ha fatto da predecessore almeno concettualmente non solo per il sistema di parkour ma anche per un certo appeal particolare che conferisce alla città futuristica The Ark un certo sapore molto simile a quello delle strade ove scorrazzava Faith (protagonista di M.E.). È sicuramente un elemento che aggiunge una carica ulteriore ad un titolo che già voleva presentarsi come estremamente innovativo.