Recensioni

Recensione Moss

di: Simone Cantini

Nella vita di un videogiocatore non è certo raroi incrociare il pad con produzioni dalla caratura più disparata, rimbalzando come forsennati tra titoli mediocri ed altri decisamente più esaltanti. Capita, però, che arrivi il magico momento in cui le nostre mani finiscono per posarsi su di un qualcosa in grado di andare oltre questo assunto, capace di renderci orgogliosi del poter dedicare una sempre più misera manciata di tempo ad un hobby così sorprendente. Mi era successo, solo qualche anno fa, con quella piccola perla che risponde al nome di The Unfinished Swan, a cui oggi si è andata orgogliosamente ad affiancare la delicata avventura della topolina Quill, la deliziosa protagonista di Moss.

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C’era una volta…

Una fiaba, così può essere sommariamente descritta la narrazione che ci accompagnerà nel corso del gioco, una storia dai toni delicati, in cui gli elementi tipici di questo modus narrandi troveranno tutti il loro posto. Ecco, quindi, che avremo un regno sognante abitato da piccoli animali antropomorfi, su cui incombe un’antica minaccia che spetterà alla più improbabile delle eroine debellare, ovviamente non senza il nostro fondamentale aiuto. Moss si apre così, quasi come una sorta di omaggio a La Storia Infinita, con noi giocatori/lettori intenti a sfogliare il magico libro che da il nome alla produzione. E sarà proprio scorrendo le pagine che conosceremo la topolina Quill, con cui stabiliremo immediatamente un contatto diretto, quasi come fossimo una sorta di benevola divinità (dalle fattezze simili al protagonista di Journey), dotata di magici poteri che si riveleranno fondamentali per portare a termine l’avventura. Un rapporto speciale quello che stabiliremo con la piccola roditrice che sembra uscita da un romanzo di Brian Jacques, che per certi aspetti pare modellarsi attorno a quello vissuto nel delizioso Tearaway, capace di superare in più di un’occasione la quarta parete, sia grazie all’immersività garantita dal PlayStation VR, sia per il modo diretto con cui Quill si ritroverà a festeggiare con noi i nostri successi. Semplice nella sua impostazione ludica, il principale motivo attorno al quale Moss riesce a plasmare la propria forza, risiede nel riuscire a costruire in maniera estremamente efficace questo legame tra giocatore ed avatar, scegliendo inoltre di non sfruttare la classica visuale in prima persona che da sempre si lega alle avventure virtuali. Per vedendo il tutto attraverso i nostri occhi, difatti, la gestione di Quill avverrà in terza persona, all’interno di stage chiusi che si dipaneranno sotto i nostri occhi quasi come se fossero delicate costruzioni pop up. Può sembrare strano, ma nonostante la scelta di regia alquanto particolare, il senso di immersione garantito da Moss è uno dei più mastodontici mai visti su PlayStation VR, complice una messa in scena semplicemente perfetta, in cui la maestosità degli ambienti è resa in modo magistrale e, nonostante il nostro essere un deus ex machina a grandezza umana, non saranno rari i momenti in cui finiremo per sentirci minuscoli quanto l’esile Quill. Come non saranno rari i minuti spesi semplicemente a guardarci attorno, rapiti nell’estasiata contemplazione di un mondo modellato con una sapienza superiore a moltissime produzioni tripla A.

Prendersi per mano

Superato lo stupore, però, è anche più giusto dare un senso all’essere gioco che si agita sotto la superficie di Moss e, nonostante la già citata semplicità di fondo, ci sono davvero pochi motivi capaci di farci bollare la produzione Polyarch come l’ennesima ed evanescente tech demo. Seppur non certo originali, le meccaniche puzzle/platform che regolano la progressione sono solide e ottimamente implementate, così come i basilari combattimenti contro le varie creature ostili che popolano gli stage. Sarà, però, la nostra completa sinergia con Quill a garantire quel quid all’azione, al punto che quando la topolina ci inviterà a “battere il cinque” dopo che le avremo fatto superare con successo l’ennesimo baratro, modificando grazie ai nostri poteri la conformazione del livello, il tutto apparirà estremamente naturale e dovuto. Tra enigmi ambientali da risolvere, un pizzico di immancabile trial and error e folli corse contro il tempo, condite dagli immancabili salti millimetrici, le circa 4-5 ore necessarie ad arrivare ai titoli di coda scorreranno via sin troppo leste, come sempre accade quando ci ritroviamo a divorare un qualcosa di estremamente avvincente. Al punto che l’attesa per il sequel preannunciato nelle battute finali dell’avventura inizierà a tormentarvi non appena esauriti i titoli di coda. Sì, perché la voglia di tornare a viaggiare in compagnia di Quill, realizzata ed animata in maniera incredibilmente realistica, anche solo per scoprire nuovi scorci del suo mondo meraviglioso, sarà davvero difficile da sopire.

Può sembrare assurdo chiudere una recensione con un sonoro “grazie”, ma la magia che permea ogni singolo pixel di Moss è capace anche di questo. La produzione Polyarch, difatti, è il classico esempio di lavoro in grado di andare oltre la semplice definizione di gioco, capace come è di accompagnare una sostanza ludica (per quanto non certo rivoluzionaria) ad un coinvolgimento emotivo di assoluto spessore, calzato alla perfezione all’interno della tecnologia VR. Forse si può fare un appunto alla totale assenza della nostra lingua, al giorno d’oggi una pecca (quasi) imperdonabile per una produzione esclusiva, ma confinare su di uno scaffale l’avventura di Quill solo per questo motivo rappresenterebbe un’onta difficile da lavare per un qualsiasi videogiocatore degno di tale nome.