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Recensione West of Loathing

di: Simone Cantini

Ci sono titoli che è inutile tentare di capire, sforzarsi di comprenderne il significato, oppure anche solo illudersi di riuscire a giustificare ciò che stiamo giocando. A questo punto le possibilità che si spalancano davanti alle nostre mani sono soltanto due, decisamente in contrapposizione da loro: quell’ammasso di codice non è altro che banale immondizia digitale, indegna anche solo di un fuggevole sguardo, oppure siamo semplicemente al cospetto di una produzione felicemente divertente, che basa la sua ragione di essere proprio sull’indubbia capacità di intrattenere. Per fortuna West of Loathing appartiene a questa seconda razza.

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Che mi venga un colpo se quello non è il vecchio Tom

Ah il selvaggio West, il miraggio di un luogo quasi magico, dove avventure e fortuna si perdono sul fondo di un bicchiere di whisky scadente, sorseggiato nella più squallida bettola della polverosa frontiera. Un posto dove chiunque può ambire ad essere quello che vuole, sia un oliatore di serpenti che uno spara fagioli, ma anche un brutale pesta mucche. Ecco, già qua si dovrebbe intuire come il nonsense la faccia da padrone in West of Loathing, il cui universo surreale ha solo i contorni dell’ovest visto in centinaia di film. Sì, perché qua ambientazioni e topos narrativi che, bene o male, tutti conosciamo, hanno il solo scopo di fungere da mero sfondo ad un susseguirsi di situazioni ai limiti del paradossale, con la nostra decisione di scortare un treno come esile pretesto utile soltanto ad inanellare una sequela di dialoghi deliranti e vicende ai limiti dell’assurdo. Il tutto condito con una discreta dose di combattimenti ed elementi ruolistici di estremo spessore. Ed il peso di statistiche e decisioni è avvertibile sin dal principio, a partire dal corposo tutorial che incanalerà verso determinati binari il nostro playthrough, in cui ogni decisione ed azione che compiremo servirà sia a tratteggiare il nostro avatar che parte del mondo di gioco che esploreremo in seguito. Quindi non lasciatevi ingannare dalla volutamente risibile personalizzazione estetica del nostro alter ego, del quale in soldoni potremo solo decidere la classe di appartenenza (tra le tre che ho citato sopra), visto che le ramificazioni che si presenteranno nel corso delle circa 10 ore di gioco necessarie ad arrivare alla fine dell’avventura hanno ben poco da invidiare a produzioni ben più corpose, ma che soprattutto negli ultimi tempi hanno finito per rivelarsi assai più monocorde ed ingessate.

Il peso delle scelte

Giocare a West of Loathing, in definitiva, si tradurrà in un continuo sblocco di incarichi e location da esplorare, in cui il nostro bagaglio di perk sarà indispensabile per determinare l’esito di numerose situazioni, laddove non sempre sarà la brutale lotta l’unica risposta possibile (Fallout, coff coff, 4, coff coff). La cosa interessante, e che sposa in pieno l’atmosfera sui generis di West of Loathing, è che i progressi avvengono sempre nei modi più disparati, anche compiendo l’azione più assurda di questo mondo, il tutto seguendo uno schema che per certi versi ricorda le vecchie avventure grafiche. Sperimentare senza preconcetti è essenziale per calarsi pienamente nella delirante comicità del titolo. Poi, comunque, se menare le mani è tutto quello che vogliamo, ecco che il titolo Asymmetric si trasforma in un RPG a turni, dove noi ed il nostro partner potremo combattere gli avversari del caso secondo i canoni del genere. Invero, per quanto molto standard, è questa la parte più debole del gioco, forse troppo canonica da risultare quasi fuori luogo. Fortuna, comunque, che il tutto funzioni senza particolari intoppi, anche se sul versante creativo stona un po’ questo appiattimento. Come è difficile da digerire, vista la mole importante di testi e l’inglese non proprio elementare utilizzato (soprattutto nei frequentissimi giochi di parole), la totale assenza di una localizzazione in italiano, una mancanza che ai non anglofoni potrebbe pregiudicare l’esperienza in compagnia di West of Loathing. Così come ad un occhio più superficiale potrebbe apparire alquanto sgraziata la particolare ed estremamente minimal scelta artistica operata dal team. Scelta che, personalmente, mi sento invece di applaudire, vista anche la sovrabbondanza di produzioni che hanno oramai fatto abuso della pixel art (spesso con esiti non certo lodevoli). E allora ben venga lo stile estremamente stilizzato che fa tanto bambino, ma che riesce ad accompagnarsi in maniera egregia allo spirito scanzonato di cui West of Loathing è pregno.

Per molti, ma non per tutti, recitava il claim di una vecchia pubblicità, e che oggi pare calzare a pennello West of Loathing. La produzione Asymmetric, difatti, grazie (o a causa?) di uno stile ludico, narrativo e stilistico decisamente particolare, necessita di essere approcciato a dovere per poter essere apprezzato nel migliore dei modi. Così come una buona conoscenza dell’inglese diventa indispensabile se si desidera cogliere tutte le sfaccettature del suo surreale umorismo. Una volta fatto ciò, quello che ci resta tra le mani è un RPG ibrido dalla struttura alquanto solida, in cui il peso delle azioni compiute torna ad occupare un ruolo di primo piano nell’economia generale del gioco. Peccato per quei combattimenti un po’ troppo tradizionali, ma sui quali si finisce per chiudere volentieri un occhio.