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Recensione Kona

di: Simone Cantini

Bisogna sempre diffidare dell’apparente normalità, soprattutto quando siamo composti unicamente da una manciata virtuale di poligoni. È in questi casi che anche dietro alla più banale delle azioni si può nascondere l’imponderabile, capace di trasformare la banalità di una grigia routine in una avventura dai toni ben più straordinari. E Kona è qua a ricordarci l’assurda veridicità di un simile concetto.

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Orme sulla neve

Il nostro Carl Faubert è un reduce della guerra di Corea che, per sbarcare il lunario, ha scelto di mettere il suo acume al servizio degli altri riciclandosi come investigatore privato. Difficile, quindi, resistere al lusinghiero fruscio di un bel mucchio di banconote, soprattutto se provengono dal pingue borsello di un ricco imprenditore canadese che, spaventato in seguito ad alcuni atti vandalici subiti, decide di assoldare il nostro improvvisato eroe per fare luce sull’accaduto. Ovviamente, come era lecito aspettarsi, quella che doveva essere una semplice indagine di routine, finisce per il trasformarsi ben presto in qualcosa di assai più misterioso ed intricato. Fitto come l’incessante bufera di neve che prende a sferzare improvvisamente sulla cittadina di Atamipek Lake. Pur essendo un titolo fortemente story driven, Kona presenta una struttura di gioco tutto sommato peculiare che, pur ricalcando in maniera molto marcata l’ottimo Firewatch, non manca di proporre alcune soluzioni interessanti. Divisa in due tronconi distinti, la vicenda scritta dai ragazzi di Parable ci vedrà inizialmente impegnati nella ricerca degli indizi utili alla risoluzione del caso, lasciandoci la più completa libertà esplorativa. Il territorio di Atamipek Lake, ad eccezione delle location finali, sarà difatti esplorabile a nostro piacimento sin dal principio, seppur i nostri spostamenti vengano decisamente limitati dalle avverse condizioni atmosferiche. È in simili situazioni che una spruzzata di elementi survival inizia a bussare alla porta di Kona: trascorrere troppo tempo all’aperto, difatti, vedrà diminuire drasticamente la nostra temperatura corporea, con conseguente peggioramento delle condizioni fisiche. Dovremo quindi recuperare il materiale necessario ad allestire improvvisati punti di sosta riscaldati che, oltre a fungere da checkpoint, ci permetteranno di recuperare le energie necessarie al nostro incedere. Un’idea sulla carta interessante, ma che finisce purtroppo per cozzare con una difficoltà complessiva praticamente inesistente: il game over, difatti, sarà una rarità, dato che il nostro Carl è un tipo estremamente coriaceo e davvero duro a morire. Durante le 5 ore necessarie ad arrivare ai titoli di coda, difatti, mi è capitato di morire solo una volta, a due metri dal finale, ma più per la pessima gestione di questa sezione che a causa dell’intrinseca osticità della stessa. I pochi combattimenti presenti, difatti, oltre ad essere decisamente bruttini e poco rifiniti, possono essere tranquillamente evitati, rendendo di fatto Kona un titolo prevalentemente esplorativo, in cui non dovremo fare altro che raccogliere indizi ed oggetti utili a superare i vari puzzle presenti nell’area di gioco. Fortunatamente tutta questa sezione di ricerca è ben orchestrata, grazie anche ad una narrativa che si arricchisce ad ogni passo e che, grazie al diario di Carl, riesce ad accompagnarci in maniera efficace fino alla seconda parte dell’avventura. È a questo punto, ahinoi, che quanto di buono fatto da Kona viene brutalmente vanificato da un twist dell’incedere davvero mal calibrato, capace di mandare a rotoli le interessanti premesse messe sul piatto e finendo per accompagnarci verso un finale quanto mai maldestro e che va a toccare tematiche troppo abusate.

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Escursione termica

Pur essendo un team ad organico decisamente ridotto, i ragazzi di Parable sono riusciti a presentare un comparto tecnico piacevole e ben realizzato, che ha nella resa della tempesta di neve il suo punto di spicco. È comunque il quadro grafico in generale a lasciare soddisfatti gli occhi del giocatore, grazie ad ambienti ben realizzati, ottimamente caratterizzati ed in grado di trasmettere tutta la tensione ed il mistero che pervade Atamipek Lake. Intrigante il comparto audio, capace di ricordare in parte le sonorità che hanno reso grande Silent Hill (di cui è impossibile non notare una citazione nelle prime battute del gioco). Discreto il doppiaggio, disponibile soltanto in inglese e francese, coadiuvato però da un esaustivo set di sottotitoli. Peccato solo per il font scelto per le annotazioni sul diario, davvero poco leggibile e che potrebbe essere difficile da decifrare su pannelli di polliciaggio troppo basso.

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Kona rappresenta il debutto dolceamaro di una già annunciata quadrilogia, un titolo caratterizzato da un potenziale intrigante espresso però soltanto a metà. Se è vero che la prima porzione dell’avventura risulta ben strutturata e calibrata, le cose precipitano in maniera brusca nella parte finale di questa breve vicenda, a causa di un incedere decisamente troppo forzato e caratterizzato da una scrittura non in linea con quanto mostrato in precedenza. Non tutto è da buttare, ma resta il rammarico per questa occasione sprecata che, mi auguro, possa godere di una maggiore cura già a partire dal prossimo capitolo.