TV Recensione

Dark – Come quella storia che ci sta l’uovo e ci sta la gallina

di: Zamvele

Netflix, da bravo conquistatore, dopo essersi imposto come leader nello streaming a livello mondiale, ha iniziato una sua produzione specifica per ogni Stato. Quindi, ecco, tra le altre, Suburra per l’Italia post-Gomorra, la brasiliana 3%, con le sue favelas distopiche, e la Francia con Marseille – ma qui il briciolo d’amor proprio rimasto m’ha impedito di guardarla. Ora è stato il turno della Germania con Dark, serie sci-fi, dai toni cupissimi e disperati.

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Sfortuna (o Netflix stesso) ha voluto che, vuoi per la vicinanza proprio nell’uscita, vuoi per una possibile comunanza di ambientazione, Dark sia passato come lo Stranger Things tedesco. Il che, bastano due secondi di puntata, o anche solo la sigla, per rendersene conto, è quanto meno pretestuoso (o puro marketing becero). Non ci sta nulla della spensieratezza e del gioco post-moderno di Stranger Things in Dark. Se proprio vogliamo cercare una qualche serie vicina a Dark, forse, la scelta migliore potrebbe essere Les Revenants (quello bello della prima stagione, sia chiaro). Torna la piccola comunità isolata, i suoi segreti e le sue perversioni, la gestione del mistero, il senso di catastrofe imminente. Anche il ritmo, compassato ma implacabile, è a tratti comune, così come la messa in scena, sempre precisa e pulita.

Il Dark del titolo è una vera e propria dichiarazione d’intenti: lo spettatore si immerge fin dai primi minuti in un’oscurità completa e asfissiante, che è veramente difficile da reggere per quanto è pesante. Quella di Dark è, infatti, un’oscurità di narrazione, d’etica e di messa in scena.

L’oscurità della narrazione non è dovuta soltanto a una trama molto frammentaria, ma anche al fatto che Dark non fa nulla, o quasi, per rendercela più comprensibile. Non che si crogioli nella propria imperscrutabilità, ma mette comunque in scena decine di personaggi e i rapporti fra di loro, su tre linee temporali intersecate. Che sia un po’ difficile da seguire è il minimo. A questo si aggiunge il mistero della scomparsa dei bambini nei boschi intorno la città, che è un abisso che, puntata dopo puntata, non smette mai di allargarsi, sia in grandezza che in profondità.

Quando parlo di oscurità d’etica mi riferisco alla ventina di personaggi di Dark. Non ci sta uno che sia uno che non sia per lo meno uno stronzo. Sono persone egoiste, perverse, incapaci di comportarsi in modo civile l’uno con l’altro. Ipocrite quando va bene. Non se ne salva uno, né fra gli adulti, né fra i ragazzini. Il terreno su cui si muovono e agiscono è sempre grigio, se non proprio nero. Un famoso dilemma etico chiede se si sarebbe disposti a uccidere Hitler da bambino per evitare la Shoah. Sono abbastanza sicuro della risposta dei personaggi di Dark: sì e pure il fratello per sicurezza.

Quello che cattura in Dark, o per lo meno ha catturato me, non è tanto lo svelamento del Mistero (che, in fondo, sotto la sua superficie di complessità è piuttosto prevedibile) o i suoi personaggi (che, ripeto, sono degli stronzi per cui è abbastanza impossibile provare empatia), quanto più le sue atmosfere. Tornando a Les Revenants, le atmosfere rarefatte della serie sembravano fiorire attorno e con la colonna sonora dei Mogwai, ecco, in Dark è lo stesso, grazie alla soundtrack elettronica e dissonante di Ben Frost. Sullo stesso piano si muovono fotografia e regia, perfette nell’ipnotizzare lo spettatore, gettandolo in un incubo angosciante e asfissiante lungo dieci ore.

Dark è una serie che finge di basarsi sul Mistero e invece deve tutto alla sua atmosfera. Cioè – qui vado un attimo di spoiler – Dark stessa lo sa che il suo cuore non è scoprire chi diventa chi o il funzionamento del viaggio del tempo, che comunque sono cose che risultano intuitivamente chiare fin dall’inizio, quanto più mostrare ‘sto gruppo di stronzi che si dibattono in un loop infinito, dove non hanno mai veramente scelta o libertà. Anche l’uso che fa dello split screen e del montaggio simultaneo delle diverse linee temporali, più che a un discorso narrativo, serve a incatenare i personaggi (e lo spettatore) in quest’inferno di Sisifo. Dark riesce a coinvolgere veramente lo spettatore, non negli spiegoni finto-filosofici sull’eterno ritorno di Nietzsche o con la sua mitologia raffarzonata, ma quando cala lo spettatore in questo labirinto privo d’uscita. Insomma, Dark è sì come quella storia sui viaggi nel tempo che c’è l’uovo e la gallina, ma è soprattutto quella in cui ci sta la rana e lo scorpione.