Recensione Zarvot
di: Simone CantiniQuella maledetta zampogna non voleva saperne di accendersi, nonostante stessi avvitando con tutte le mie forze la forchetta all’interno dello sfigmomanometro ellissoidale. Eppure le istruzioni scritte nella ricotta erano, almeno in apparenza, estremamente chiare, proprio come mi aveva abilmente suggerito il mio caro amico Mustard. Qualcosa, però, sembrava proprio non voler andare per il verso giusto, lasciandomi in bocca un amaro retrogusto di sconfitta, che soltanto un sorso della mia vernice alla frutta preferita avrebbe potuto lenire. Sconsolato, mi affacciai alla finestra, solo per vedere la solita damigiana delle 13 innalzarsi rapida nel cielo, puntuale come una puntura di pietra pomice. Come dite, siamo ai limiti dell’assurdo? Beh, forse la colpa è solo di quel folle guazzabuglio di situazioni che risponde al nome di Zarvot.
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Incubo al cubo
Charcoal e Mustard sono due simpatici cubi colorati, disposti a tutto pur di mettere assieme il miglior regalo possibile per l’amico Red. E cosa c’è di meglio di un mochi al mango, una scintillante banana, una paperella di gomma ed altri oggetti vari? Peccato che le loro amorevoli premure finiscano ben presto per risolversi in una fragorosa catastrofe, la quale causerà la distruzione del dono tanto sognato e darà il reale via alle squinternate vicende protagoniste di Zarvot. Proprio questo suo essere surreale, a tratti smaccatamente e simpaticamente assurdo, rende la produzione Snowhydra Games un titolo interessante sin dalle prime battute, spinti come saremo dall’incomprensibile voglia di scoprire quale altra bizzarra trovata abbia escogitato il team per portare avanti questa peculiare narrativa. Una storia nonsense che ci vedrà impegnati a controllare Charcoal, un cubo azzurro in grado di saltare e sparare, che dovrà farsi strada lungo 12 livelli, balzellando e blastando avversari alla bisogna. La struttura di gioco è estremamente elementare, con stage strutturati in corridoi, all’interno dei quali si materializzeranno, man mano che andremo avanti, ondate di avversari di cui dovremo sbarazzarci, ovviamente sfruttando le abilità in nostro possesso. Queste ci consentiranno, almeno inizialmente, di sparare un basilare raggio che potremo anche caricare per eliminare più nemici contemporaneamente, ma procedendo nell’avventura entreremo in possesso di nuove skill in grado di ampliare il nostro spettro di possibilità. I meccanismi che regolano il tutto sono estremamente essenziali, a metà strada tra un platform ed un twin stick shooter, con un gameplay che pur divertendo e funzionando non mette mai sul piatto chissà quali scossoni particolari: sia la costruzione dei livelli che la natura delle creature ostili, difatti, si è rivelata alquanto basilare, ai limiti del derivativo, ma è comunque innegabile come l’amalgama riesca comunque a funzionare a dovere. A spiccare su tutto sono, dunque, le assurde boss battle, che ci vedranno impegnati ad affrontare letali mochi al mango, paperelle di gomma, cartoni del latte assassini e molto altro ancora. Giusto il finale presenta qualche lieve variazione sul tema, amplificando gli elementi platform ed introducendo qualche esile puzzle, ma niente che sia davvero in grado di rivoluzionare in maniera marcata l’ossatura di Zarvot. Terminata la campagna, comunque, il titolo non esaurisce tutto il proprio potenziale, dato che potremo cimentarci nella modalità Arcade (la classica orda con caccia all’high score), oppure in una spassosa modalità competitiva multigiocatore.
Realismo minimale
Se è vero che Zarvot rappresenti una piccola e particolare perla sul fronte della mera scrittura, è innegabile come anche il versante estetico incarni uno dei punti di forza più macroscopici dell’intera produzione: la scelta di mescolare elementi giocabili low poly ad ambienti fotorealistici e ricchi di dettagli, in un modo che mi ha ricordato in maniera assai marcata Unravel, si rivela vincente sin dalle prime battute. Ad impreziosire ulteriormente la scena ci pensa anche un’effettistica generale estremamente curata, a tratti impensabile se consideriamo la natura indipendente del titolo, a cui si affianca un accompagnamento sonoro degno anche esso di lode. Insomma, non di sola sostanza è costituto il pacchetto che risponde al nome di Zarvot, vista l’estrema cura con cui tutto è presentato e confezionato.
Zarvot avrebbe potuto tranquillamente essere bollato come un titolo ampiamente evitabile, visto il gameplay non certo innovativo che accompagna la creatura , ma è la maniera in cui questo è stato calato all’interno di un’estetica veramente sui generis a rendere il tutto degno della nostra attenzione. Se è vero che il gioco nudo e crudo scorre oggettivamente via senza particolari sussulti (boss battle escluse), l’alone di surrealismo che ammanta il tutto riesce ugualmente a catturare la nostra attenzione, spingendoci a vedere cosa il team abbia in serbo per noi dopo l’ennesima ondata di nemici. Zarvot è questo, un titolo non certo originale ed epocale, ma realizzato in una maniera decisamente convincente ed azzeccata che, qualora decideste di concedergli una chance, difficilmente riuscirà a lasciarvi insoddisfatti.