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Recensione X-Out: Resurfaced
di: Simone CantiniSono un gamer semplice: vedo comparire il logo di Rainbow Arts sullo schermo e subito mi sciolgo in un mare di lacrime. Ai tre omini colorati di teutonica provenienza, difatti, sono legati alcuni dei più belli e felici ricordi videoludici della mia adolescenza, quando anche solo intravedere quel familiare terzetto non poteva che far presagire un gioco con i fiocchi. Ed è successo ancora una volta solo poche ore fa, quando ad introdurre X-Out: Resurfaced ci pensato proprio l’artwork in questione che, come fossi un novello Proust, mi ha travolto con un’onda a base di dolceamara rimembranza a 16-bit. Ma il roseo passato sarà tale solo perché offuscato dal velo della malinconia, oppure ha ancora oggi motivo di essere protagonista? Leggete, leggete…
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In fondo al mar…
Bei tempi quando ad un videogame bastava una semplice premessa per avere catalizzate addosso tutte le attenzioni della platea giocante. Poco importava che fossero due righe stringate di testo, spiaccicate all’interno dei manuali dell’epoca (ah, quanto mancano), o anche solo due didascalie in croce infilate sotto sobillanti screenshot posti sul retro delle confezioni. Tempi duri e puri quelli, laddove bastava la fantasia del gamer a creare un avvincente substrato a quei mondi che ci attendevano una volta completato il caricamento. Che poi è quello che è successo con l’originale oggetto di X-Out: Resurfaced, shoot ’em up decisamente convenzionale che ancora oggi sceglie di giocarsi le sue carte in chiave setting: fate ciao con la manina ai soliti alieni venuti dallo spazio, ed abbracciate un’ambientazione sottomarina, capace già dalla pregevolissima cinematica di introduzione (con tanto di voce digitalizzata), di far drizzare le antenne dei giocatori.
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Un’idea sulla carta davvero semplice, ma che unita ad altre intuizioni tutto sommato intriganti, sempre per il periodo in cui uscì il titolo (1990, in pratica un’eternità fa), non poterono che rendere la creatura di Heiko Schroder uno dei must del periodo. E ricordo ancora quando lo vidi per la prima volta in azione sull’Amiga 500 del cugino, al punto che rimasi semplicemente a bocca aperta e desideroso di blastare a più non posso quegli sprite così affascinanti per me gamer del tempo. 8 livelli frenetici e ricolmi di oggetti da spazzare via, in un tripudio di proiettili e parallasse, mentre la soundtrack del buon Chris Hülsbeck pompava attraverso le casse del glorioso 1084s di casa Commodore. Tutto torna oggi nel suo splendore squisitamente retrò, pertanto non ci saranno sorprese eclatanti ad attendervi in X-Out: Resurfaced, ma in fondo va benissimo così.
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Garage subacqueo
L’impostazione resta quella del 1990, con tutti i suoi pro e contro. Il gioco in sé non è certo un inno all’originalità, dato che propone uno stile che ricorda in maniera smaccata R-Type, che proprio a Rainbow Arts provocò non pochi grattacapi (un giorno ne parleremo a dovere, forse). Ad accoglierci troveremo i citati 8 stage a scorrimento orizzontale, al termine dei quali sarà in agguato il classico boss dalle dimensioni decisamente importanti, perfettamente in linea con quanto giocato nel coin-op Irem. La peculiarità principale ereditata anche da X-Out: Resurfaced, pertanto risiedeva tutta nella possibilità di assemblare liberamente il nostro velivolo, per mezzo di uno shop in cui investire i crediti di partenza e, in seguito, quelli racimolati completando i vari livelli.
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Anche in questo caso non ci si trovava dinanzi ad una feature inedita, visto che una soluzione simile si era già vista in Forgotten Worlds o Xenon II: Megablast (tanto per rimanere sul genere), ma il team non si era limitato ad una semplice operazione di copia. Ad inizio partita dovremo scegliere una delle 4 navicelle disponibili, dal costo variabile e dotate di maggiori possibilità personalizzazione all’aumentare del prezzo, che potremo customizzare scegliendo sparo base, armi secondarie e pod automatici, per poi scendere sul campo di battaglia. L’astronave sarà caratterizzata da una barra energetica che, una volta esaurita in seguito a collisioni con fondale o proiettili nemici, segnerà il fatidico game over. A meno di non aver investito i crediti nell’acquisto di velivoli supplementari, che se in nostro possesso andranno a costituire vite aggiuntive.
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Al termine di ogni stage, pertanto, sarà nostro dovere decidere se optare per il potenziamento della nave principale, oppure approntare un backup in grado di garantire un’ulteriore possibilità in caso di fallimento. A tal proposito le possibilità offerte da X-Out: Resurfaced sono davvero numerose, e permettono di sbizzarrirsi nei modi più disparati. Va comunque messa in luce un certo sbilanciamento di fondo, dato che il gioco tenderà a presentare una curva di difficoltà non proprio ottimale in presenza di potenziamenti esagerati per il nostro mezzo: personalmente, dopo i primi tre stage passati ad accumulare denaro e ad implementare il loadout del mio unico mezzo, mi sono trovato a falciare via senza pietà ogni nemico, boss inclusi, senza avvertire il bisogno di ampliare ulteriormente il mio arsenale. Un difetto del tempo che torna ancora oggi…
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Cari, vecchi anni ‘90
Se sul fronte puramente creativo, pertanto, X-Out: Resurfaced non presenta in alcun modo modifiche strutturali, un pizzico di inventiva va riconosciuta ad aspetti decisamente secondari, ma comunque benvenuti. Se il lavoro di restyling grafico è praticamente impercettibile, con la scena che è stato solo scalata per adattarsi alle dimensioni e alle maggiori risoluzioni attuali (mantenendo intatta la pixel art originale), il fronte sonoro presenta qualche piccola chicca: si parte con il remix della OST originale, curata sempre dal buon Chris, a cui si va ad aggiungere la presenza di quelle originali Amiga e C64. Farà anche piacere la presenza dell’opzione per 2 giocatori, così da rendere ancora più caotiche e frenetiche le nostre scorribande.
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Simpaticissima anche la schermata di pre-presentazione che scimmiotta i trainer pirata dell’epoca (con tanto di disclaimer che invita i giocatori a non spaventarsi in merito alla liceità del codice), e che in caso di ripetuti fallimenti andrà progressivamente ad arricchirsi di cheat dedicati (che se attivati disabiliteranno lo sblocco di trofei/achievement). A chiudere il cerchio, una volta completato con successo il gioco, abbiamo la possibilità di attivare il mirror mode, che ribalterà letteralmente il flow dell’azione. Si poteva fare di più? Beh, siccome sono un maledetto incontentabile, non sarebbe stato male un pacchetto comprensivo anche di Z-Out…
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X-Out: Resurfaced è un interessante tuffo all’interno di un glorioso passato che, ahinoi, mai ritornerà. Il gioco firmato Rainbow Arts torna oggi sulla cresta dell’onda grazie ad una riedizione tutto sommato anche troppo fedele all’originale, con tutti pro e contro annessi. Per quanto decisamente spettacolare per l’epoca, anche se decisamente derivativo, lo shoot ’em up della casa tedesca non può fare a meno di mettere in mostra tutti i suoi scricchiolii, sui quali era più facile chiudere un occhio all’inizio degli anni ’90. Non proprio lunghissima e in parte sbilanciata, questa serratissima corsa sottomarina gode comunque ancora oggi di un fascino particolare, grazie ad una realizzazione tecnica sempre valida e ad alcune intuizioni tutto sommato non trascurabili. Certo, il mercato degli sparatutto, nel mentre, ha compiuto passi da gigante, ma se siete ansiosi di toccare con mano una delle vecchie glorie del periodo (anche se non la migliore in assoluto) un giro vi consiglio di farlo. Ma tenete basse le aspettative…