
Recensione WWE 2K25
di: Luca SaatiLo scorso anno, WWE 2K24 ha rappresentato un importante passo in avanti per la serie sviluppata da Visual Concepts e pubblicata da 2K Games, offrendo un prodotto completo sotto ogni punto di vista e capace di saziare la fame di pro wrestling per mesi. Io stesso ci ho giocato fino a poco tempo fa, prima che in redazione arrivasse WWE 2K25, nuovo capitolo che ho accolto con una sola domanda in mente: vale davvero la pena fare il salto?

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Intergender Match e non solo
Sul fronte del gameplay, WWE 2K25 si appoggia alla solida base costruita dal predecessore, introducendo alcune novità che, pur interessanti, non rivoluzionano l’esperienza. Una delle prime aggiunte è in realtà un ritorno dal passato: le Chain Wrestling, quelle sequenze di mosse concatenate che spesso aprono i match più tecnici. Il sistema, tutto giocato sulla rotazione dell’analogico, è semplice ma efficace.
Tra le modifiche più concrete troviamo una maggiore interazione ambientale, con la possibilità di tuffarsi dalle barricate verso il pubblico e utilizzare un maggior numero di oggetti sparsi per l’arena. Inoltre, i wrestler di stazza maggiore ora godono di una barra di salute extra, che va svuotata prima di poter eseguire su di loro le mosse più impattanti: una piccola ma interessante modifica al bilanciamento.
Grande novità è l’introduzione degli Intergender Match, finalmente disponibili anche su console senza bisogno di mod. Questo apre la porta a incontri inediti e scenari più creativi. Due nuove stipulazioni si aggiungono poi al roster di match disponibili: i Bloodline Rules, che rispecchiano l’estetica narrativa dell’omonima stable, e gli Underground Matches, che eliminano le corde dal ring e propongono un combattimento più grezzo, in stile “KO o niente”, sulla falsariga dei backstage brawl.
Tutto il resto del gameplay resta pressoché invariato, offrendo quella stessa formula ormai ben rodata, per il bene (fluidità e solidità) e per il male (assenza di vere sorprese). Lo stesso discorso vale per il comparto tecnico: alti e bassi visivi, come da tradizione della serie.
Da una parte abbiamo il nuovo sistema di danni visivi, con lividi, sudore e sangue che marcano i corpi degli atleti dopo una battaglia intensa – un tocco di realismo che impreziosisce il tutto. Le arene sono aggiornate alla Netflix Era (iniziata lo scorso gennaio), ma la resa dei wrestler è una continua alternanza di alti e bassi: alcuni modelli sono di buona fattura, altri fanno storcere il naso. E meglio non aprire il capitolo su capelli ed espressioni facciali, ancora lontani da uno standard moderno.
In generale, aleggia un certo senso di pigrizia da parte del team di sviluppo. Alcune entrate non sono state neppure aggiornate, altre – come quella di Jey Uso – sistemate in extremis solo dopo le lamentele della community. È stata introdotta una nuova telecamera libera per le entrate, attivabile con un semplice tasto, ma la sensazione è che si tratti di un’aggiunta più di facciata che sostanziale.

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Bloodline Showcase
Ogni anno, la modalità Showcase racconta la carriera di un lottatore: è toccato a Rey Mysterio in 2K22, a John Cena in 2K23, mentre 2K24 ha abbracciato una visione più ampia ripercorrendo i momenti iconici dei 40 anni di WrestleMania. WWE 2K25 sceglie una via di mezzo, concentrandosi non tanto su un singolo atleta, quanto sull’intera e leggendaria dinastia della Bloodline.
In totale ci sono 17 incontri che coinvolgono i membri delle famiglie Anoa’i, Fatu e Maivia, con protagonisti del calibro di Yokozuna, The Rock, Nia Jax, Rikishi, Umaga, gli Usos, i Wild Samoans e Roman Reigns. Showcase ripropone questi match in modo piuttosto fedele, ma introduce anche alcuni scenari “What if”, giocando con la storia per creare scontri alternativi. A guidare l’esperienza c’è Paul Heyman, il Wise Man per eccellenza, che introduce ogni incontro con il suo inconfondibile carisma… anche se a volte si dilunga un po’ troppo, spezzando il ritmo e rallentando il flusso tra un match e l’altro.
Le meccaniche restano quelle classiche della modalità Showcase: ogni incontro è scandito da obiettivi da completare per proseguire nella narrazione. La novità (purtroppo negativa) è rappresentata dall’aggiunta di obiettivi a tempo, da completare nel giro di un minuto. Un’aggiunta frustrante che mi ha costretto più volte a riavviare un match a metà per via di un mancato tempismo, spezzando il divertimento.
Un punto a favore è invece l’abbandono della tecnologia Slingshot, che negli anni scorsi alternava sequenze in-game a filmati di repertorio: ora l’esperienza è interamente in-game, senza stacchi video. Eppure, Bloodline Showcase mi ha lasciato piuttosto freddo, complice anche il mio scarso interesse per la storia dei samoani. Chi invece ama questa dinastia potrà godersi un racconto tutto sommato piacevole, a patto di chiudere un occhio (o due) sui problemi strutturali della modalità.
MyRise
MyRise (o La Mia Ascesa) cambia approccio rispetto allo scorso anno, fondendo in un’unica storyline le avventure della superstar maschile e femminile, laddove in WWE 2K24 erano presenti due racconti distinti. Senza entrare troppo nel dettaglio per evitare spoiler, la trama ruota attorno a un ammutinamento interno a NXT, dove tocca a due nuovi arrivi ristabilire l’ordine e riportare equilibrio al sistema.
Nel corso della modalità si affrontano scelte morali che modificano l’andamento della storia e incentivano (almeno sulla carta) la rigiocabilità. Il problema è che, vista la qualità piuttosto debole della narrativa, personalmente non ho sentito alcun bisogno di tornare indietro: una volta conclusa, ho archiviato la modalità senza rimpianti.
La sensazione è che il team di sviluppo abbia fatto il minimo indispensabile, e la scelta di fondere le due linee narrative ha dimezzato immediatamente la longevità di MyRise. Più che un’avventura appassionante, quest’anno sembra una vetrina per mostrare gli Intergender Match, e poco più. Una modalità sacrificabile, che lascia ben poco dietro di sé.

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The Island
The Island è, in sostanza, l’ennesimo tentativo di 2K Games di espandere il proprio sistema di microtransazioni, mascherandolo da novità strutturale. La modalità si presenta come una sorta di open world/social hub, chiaramente ispirato alla Città di NBA 2K — e non è un caso, considerando le critiche feroci ricevute da quest’ultima negli ultimi anni, proprio per il suo sistema di monetizzazione aggressivo.
Qui si crea la propria superstar (anche se non è possibile importarla da MyRise, cosa già di per sé discutibile) con l’obiettivo di impressionare Roman Reigns e ottenere un contratto in WWE, tra missioni e sfide che spesso sfociano nell’assurdo o nel surreale. L’Isola è suddivisa in quartieri, ognuno dei quali ospita missioni secondarie e negozi dove acquistare elementi estetici per personalizzare il proprio personaggio.
Peccato che tutto sia pensato per spingere il giocatore a spendere VC (la valuta virtuale del gioco), trasformando in breve tempo la modalità in un classico pay-to-win che snatura completamente l’esperienza. A peggiorare il quadro ci pensano numerosi problemi tecnici durante l’esplorazione della mappa: caricamenti lenti, glitch visivi e una generale sensazione di scarsa rifinitura che accompagna ogni passo del giocatore.
In definitiva, The Island più che una nuova modalità avvincente, sembra un tentativo fin troppo palese di monetizzare sull’entusiasmo dei fan.
MyGM, MyFACTION e Universe
Tra le modalità storiche torna ovviamente anche MyGM, che ormai si è ritagliata una fetta di pubblico affezionata. Anche in WWE 2K25 la struttura rimane invariata: si sceglie un General Manager, si costruisce un roster e si gestiscono show settimanali per cercare di battere la concorrenza. Ci sono alcuni miglioramenti interessanti come la possibilità di modificare rivalità già attive, nuovi tipi di match da inserire nella programmazione e una gestione del budget leggermente più bilanciata. C’è anche una leggera revisione dell’intelligenza artificiale, che però continua a offrire poca sfida reale, specie ai livelli più bassi di difficoltà. Il tutto rende MyGM più rifinito, ma ancora lontano dall’essere profondo o imprevedibile come potrebbe.
MyFACTION invece continua a essere la modalità più controversa dell’intero pacchetto. L’idea di fondo resta quella di costruire una fazione di superstar WWE tramite carte collezionabili, affrontando sfide settimanali e eventi temporanei. Quest’anno sono state aggiunte le carte “Momento”, dedicate a versioni storiche o alternative dei wrestler, e per la prima volta è possibile affrontare altri utenti in tempo reale, non più solo l’IA. Il problema? È sempre lo stesso: una progressione lentissima e un sistema che spinge in modo quasi sfacciato all’acquisto di pacchetti tramite valuta virtuale. In breve, se non hai voglia di grindare o aprire il portafogli, ti conviene passare oltre.
Infine, Universe Mode continua a essere quella sandbox creativa che i fan più appassionati usano per scrivere le proprie storie WWE personalizzate. L’editor di rivalità è stato leggermente ampliato, sono state aggiunte più cutscene e azioni narrative, e c’è un miglior bilanciamento nella logica di gestione degli show. Tuttavia, la modalità resta ancorata alle sue solite criticità: interfaccia poco moderna, eventi che tendono a ripetersi e una certa rigidità generale che frena la libertà creativa promessa sulla carta. Rimane una buona opzione per chi ama simulare show e costruire rivalità su misura, ma non aspettarti una rivoluzione.
Scelte di booking sbagliate
WWE 2K25 è un capitolo che vive all’ombra del suo predecessore. Dopo il grande passo avanti fatto con 2K24, Visual Concepts ha scelto di giocare sul sicuro, limitandosi a piccole rifiniture e qualche novità di contorno che difficilmente riescono a giustificare il passaggio al nuovo episodio, soprattutto per chi ha ancora tra le mani il titolo dello scorso anno. Il gameplay è solido ma quasi immutato, le nuove modalità faticano a trovare un’identità chiara e, dove si cerca di innovare — vedi The Island — lo si fa in modo invadente e poco elegante, con un sistema di microtransazioni sempre più aggressivo, mentre Showcase e MyRise fanno un grande passo indietro. Il risultato è un titolo che sa intrattenere, ma che non riesce a entusiasmare. Un more of the same che farà la felicità dei fan più sfegatati… ma che potrebbe deludere chi si aspettava qualcosa di più coraggioso e incisivo.