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Recensione Wrath: Aeon of Ruin

di: Simone Cantini

Oramai è innegabile come la parola boomer sia vista quasi sempre nella sua accezione più negativa, visto l’utilizzo spietato che ne viene fatto dalle nuove generazioni, che vedono nel vecchio un qualcosa di sgradevole e disdicevole. Sarà che, per motivi maledettamente anagrafici, mi ritrovo sempre più spesso all’interno di una tale definizione, ma non per questo sono portato a vedere in maniera negativa produzioni che si trovano accostato un simile concetto, come nel caso dei boomer shooter. Negli ultimi tempi me ne sono passati sotto le mani un bel po’, e non nego come il loro fascino puramente retrò sia stato in grado di attecchire felicemente all’interno di quel giocatore attempato che alberga dentro di me. Eppure, purtroppo, non sempre tutte le vetuste ciambelle escono con il buco, come dimostra Wrath: Aeon of Ruin.

Massacro senza fronzoli

Sin da quel lontanissimo Doom datato 1993, nonostante i suoi pur illustri progenitori, i FPS classici non hanno mai brillato per chissà quale arzigogolata narrativa. Che si trattasse di marine spaziali decisi a squartare ogni demone vomitato sulla superfice marziana, oppure nerboruti e sboccati eroi ossigenati parimenti dediti al blastamento selvaggio di aliene creature, di sicuro non siamo mai stati incentivati a premere il grilletto dalla voglia di vedere cosa avevano in serbo per noi coder e compagni. Ed in tal senso, Wrath: Aeon of Ruin si dimostra un perfetto erede della tradizione dei boomer shooter, limitando al minimo indispensabile gli orpelli narrativi e giocandosi tutte le sue carte in ottica di pura esperienza ludica. Nel gioco impersoneremo un Outlander che, chiamato sulle rive di un’isola lontana da una misteriosa figura, sarà impegnato a liberare il mondo di gioco da una corposa serie di creature, il tutto mentre dovrà cercare degli artefatti in grado di scacciare per sempre ogni malevola minaccia. Insomma, un canovaccio tanto esile quanto superfluo, che ha l’unico scopo di fornire al tutto una abbozzata imbastitura narrativa, un mero pretesto buono solo a giustificare l’imminente carneficina. Ed in tal senso, vista la tipologia di gioco di cui stiamo parlando, va dannatamente bene così.

Slippery (even) when (not) wet

La situazione cambia in modo, ahinoi, sin troppo drastico non appena si inizia a prendere il controllo del nostro Outlander, compito decisamente più arduo di come sarebbe stato lecito aspettarsi. Sulla carta l’ossatura ludica non presenta particolari scossoni, e ci propone un gameplay fortemente ancorato alla tradizione, grazie ad un corposo set di strumenti di offesa (tutte dotate di una modalità di attacco secondaria), di nemici da blastare e di artefatti da utilizzare alla bisogna, questi ultimi l’equivalente dei classici power up temporanei che, a differenza di quanto avviene di solito, potremo archiviare nel nostro inventario (in perfetto stile Duke Nukem 3D). Ed al cospetto di un meccanismo così rodato, cosa può mai essere andato storto? Le prime magagne si intravvedono già quando siamo costretti a scendere a patti con la mobilità del nostro personaggio, assai elevata e fiaccata da una sorta di estrema scivolosità, tale da rendere ostica una corretta gestione, pur limitando al massimo la sensibilità del controller. Tale schizofrenia di fondo va ad inficiare anche il gunplay vero e proprio che, complice anche l’assenza di un qualsiasi feedback dei colpi, rende davvero difficile mirare a dovere. Quella che emerge è la natura PC della produzione, che pare tarata per poter essere domata a dovere solo grazie all’accoppiata mouse/tastiera, la cui efficacia non è stata trasposta in modo efficace sul binomio pad/console.

Ci sarebbe poi da obiettare in merito alla brutale efficacia dei nemici, capaci di colpire da distanze siderali, oltre che di infliggere quantità elevatissime di danni, anche in presenza di un’armatura al massimo della sua potenza (4-5 colpi diretti ed è game over, anche a difficoltà standard). Nulla di male se fossero altrettanto arrendevoli rispetto ai nostri assalti, peccato che in fatto a resistenza ci si trovi su ben altri piani. Condite il tutto con una sovrabbondanza di minacce, piazzate spesso in modo bastardo, oltre che dotate di routine di movimento difficilmente prevedibili e di punti di spawn improvvisi e spesso letali, ed il quadretto sarà completo.

A complicare ulteriormente la situazione ci pensa il bizzarro sistema di salvataggio messo in piedi dal team, che si baserà su di alcuni templi sparsi per i giganteschi livelli di gioco, in grado sì di curare all’istante e di fungere da checkpoint, ma che saranno messi a distanza assurda l’uno dall’altro. Per semplificare un poco le cose, pertanto, ecco che giungono in soccorso alcuni oggetti rinvenibili nell’area di gioco che, a patto di consumane uno, ci permetteranno in qualsiasi momento di creare un savepoint presso cui ripartire in caso di sconfitta. Un’idea sicuramente intrigante, capace di fornire un pizzico di tattica al tutto, peccato che si scontri con l’impossibilità di valutare a dovere i momenti in cui è bene intervenire, rendendo spesso inutile il punto di riavvio. Vero è che tra le opzioni di accessibilità c’è anche quella che permette di abilitare l’uso infinito di tale feature, ma visto che odora tanto di cheat è innegabile come in fatto a bilanciamento Wrath: Aeon of Ruin lasci davvero a desiderare. Il che è un peccato alla luce della assoluta bontà del level design, che riesce a mettere sul piatto degli stage davvero giganteschi e labirintici, caratterizzati da una struttura davvero interessante ma che, data l’assenza di una mappa in-game, può rendere davvero ostico orientarsi.

Sul fronte tecnico, visto che parliamo di un boomer shooter, ci troviamo al cospetto di una produzione che richiama in tutto e per tutto l’estetica che fu cara a Quake ed eredi, ed in fondo va benissimo così. Meno bene invece il comparto sonoro, che latita di una soundtrack ignorante al punto giusto, in grado di richiamare alla mente ricordi cari agli anni ’90.

 

Eh no, stavolta l’effetto nostalgia non basta ad elevare Wrath: Aeon of Ruin al livello della sufficienza. I limiti della versione console del titolo, difatti, emergono sin dal modo in cui l’esperienza è stata adattata ai controlli su hardware casalingo, incapaci di gestire a dovere il nostro sventurato protagonista. Uno scoglio che fa il paio con un bilanciamento della difficoltà davvero mal calibrato, che riesce a rendere frustrante anche le fasi preliminari dell’avventura. Il che, vista la bontà del level design proposto, non può che rappresentare un vero peccato, visto che anche il giocatore più incallito potrebbe finire per desistere dopo pochissimi tentativi (ed in tal senso non aiuta neppure il bizzarro sistema di salvataggio impiegato). Per quanto mi riguarda, pertanto, non posso fare alto che consigliarvi di dirottare i vostri risparmi altrove, magari verso quel Quake 2 Remaster che, a svariati anni di distanza dalla release originale, è in grado di spadroneggiare a testa altissima.