Recensione Waking
di: Marco LicandroWaking, sviluppato da Jason Oda e rilasciato da tinyBuild, parte come gioco psicologico ed introspettivo, atto a fornire al giocatore un’esperienza personale e significativa, esplorando temi delicati decisamente non per tutti. Gli sviluppatori hanno pensato bene di avvisare il giocatore di giocarlo cautamente in caso abbiano vissuto traumi o si trovino in una situazione di forte stress o ansia, per evitare di caricarlo emozionalmente. I presupposti sono quindi ottimi, e sulla carta il gioco si discosta in forma e stile dal panorama videoludico attuale, ma come si comporterà nel gameplay vero e proprio?
accettare i cookie con finalità di marketing.
Riposa in Pace. Più facile a dirsi…
Il titolo affronta il tema delicato della morte, ma più che dalla parte dei vivi quanto da chi ormai se n’è andato, aiutandoli ad entrare in pace con sé stessi. Per il giocatore significherà viaggiare in questa specie di limbo d’altro mondo, rispondendo a domande personali (ovviamente solo se si vuole) come possono essere il nome reale, l’animale più amato che abbiamo avuto nella nostra infanzia, ostacoli psicologici ed ambizioni che abbiamo avuto (tutt’ora) nella nostra vita, così che il titolo possa proporci un’esperienza forgiata appositamente per parlare con noi ed investirci emozionalmente. Le figure oniriche che incontreremo nel titolo ci chiameranno quindi per nome, toccheranno i temi a noi più sensibili, e nella ricerca di noi stessi per passare quindi “oltre” verremo accompagnati dal nostro animale guida lungo il difficile percorso del post-mortem.
Oh, no.
I difficili temi trattati portano già il titolo verso una nuova vetta, destinata ad un pubblico maturo che cerca qualcosa di diverso ma anche psicologicamente interessante. Tuttavia gli sviluppatori hanno deciso di strutturarlo sotto forma di action game, anziché… beh, qualsiasi altra forma più adatta al genere come poteva essere una avventura testuale o un puzzle game, perciò ecco che vediamo quasi immediatamente, e con nostro orrore, un gameplay che neanche si può definire tale, con grosse falle nel design e la struttura dello stesso. Ambientato in una sorta di percorso montagnoso che levita sul vuoto, il gioco spinge il giocatore verso diversi cancelli, tenendone chiusi altri, così da dirigerlo verso la meta e le sfide che la accompagnano. La resa grafica bassa caratterizzata da poligoni abbozzati e textures mediocri non aiutano l’esperienza di gioco, che già di suo non eccelle sotto nessun fronte. Le parti testuali e le domande poste sono effettivamente interessanti e profonde, come prima accennato, ma la maniera in cui queste si allacciano con il gameplay pone un netto contrasto tra idea e sviluppo, a dimostrazione di come non vi sia un accordo su come porre la storia in termini di gioco.
Come in Skyrim ma senza cavallo
Nonostante il level design sia strutturato in corridoi così da garantire un certo controllo sul personaggio, alcune basse rocce vi spingeranno automaticamente a chiedervi se potete scalarle, e la risposta è sì, potete scalare qualsiasi cosa, anche fuori dai confini del gioco, anche sulla sommità delle montagne e oltre la mappa, semplicemente pressionando ripetutamente il pulsante del salto. Con incredulità ed un po’ di tristezza, arriviamo molto semplicemente sopra la cima più alta, che ci regala una vista perfetta sul design del livello, con anteprima di tutta la mappa ed accesso ad essa senza effettivamente esservi arrivati così come il gioco avrebbe voluto. La triste esperienza di gameplay non è purtroppo un semplice bug, ma è il segno distintivo della qualità del titolo, calibrata paurosamente verso il basso, e permeata da controlli scadenti e sfide fuori luogo che vengono fallite proprio per la difficoltà nell’eseguire le azioni base. Vi saranno nemici da abbattere, tra sfere e triangoli luminosi, a demoni dalla IA praticamente nulla, da mirare e colpire con strane mosse da supereroe completamente stranianti dal mood settato dal titolo, tutto in maniera arcade sbilanciato e difficoltoso come alcuni titoli PS1 ormai dimenticati. Gli sviluppatori sono riusciti a sbagliare tutto, persino la modalità di scelta delle risposte, gettando sul suolo alcuni cerchi con dei testi fluttuanti, costringendoci a muoverci e girare la visuale così da leggerli tutti, per poi tornare sul cerchio corrispondente e selezionarlo. Le sfide a tempo mettono in mostra i comandi frustranti del gioco, mentre le boss battle sembrano un pretesto per dare una giocabilità fuori luogo ad un titolo che sembra lottare contro il giocatore ma soprattutto contro sé stesso.
In conclusione
Nonostante le ottime premesse di gioco ed i profondi temi trattati, Waking è la rappresentazione di una collisione tra idea e sviluppo, fornendo un gameplay scialbo e sfide fuori luogo ad un giocatore che sin da subito sente che c’è qualcosa che non va. Proseguire per i corridoi è quasi una forzatura, mancando una narrazione che spinga il giocatore a proseguire, ma specialmente un nesso tra la trama e gli scontri casuali che sembrano creati per il puro scopo di essere “giocabile”. L’idea dietro Waking poteva probabilmente essere qualcosa di memorabile, se non fosse per la terribile esecuzione. Inutile dire che, a nostro malgrado, non lo raccomandiamo.