Recensione Void Bastards
di: Simone CantiniSe nel tuo curriculum figuri come co-fondatore di una delle software house più talentuose del globo, responsabile di una saga da niente come quella di Bioshock, è difficile non trovarsi gli occhi della platea videoludica puntati addosso una volta annunciata la nascita di un nuovo studio di sviluppo. Questo, difatti, è stato il destino di Blue Manchu, team capitanato proprio da Jonathan Chey (il tipo di cui sopra), che si è da poco consegnato in pasto ai player con Void Bastards.
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Disposable hero
Spazio, ultima frontiera. L’astronave è immersa in un silenzio irreale, ma non dobbiamo lasciarci distrarre: occorre trovare al più presto quella maledetta stampante. E chi, se non il sottoscritto, potrebbe portare a termine con successo questa missione? Di sicuro è per le mie innate capacità che sono stato nominato eroe del giorno, l’unico responsabile della salvezza dell’intero vascello. Eccola: trovata! Un rapido balzo e sono già lungo il corridoio che conduce al portello pressurizzato, all’uscita, alla libertà. Un rumore di passi? Ma non doveva essere una missione tranquilla? Ancora un passo, solo uno e poi… blam! Morto. Oh beh, poco male, per fortuna che la nostra astronave è letteralmente ricolma di prigionieri liofilizzati: basterà recuperare lo zaino con i materiali, reidratare uno di quegli inutili criminali e poi, con calma, trovare il modo di uscire da questa maledetta nebulosa Sargasso. Sperando che il malcapitato di turno sopravviva un po’ di più del precedente. Ecco, questa è a grandi linee la cornice narrativa di Void Bastards, debutto di Blue Manchu, il team fondato (come detto in apertura) dal co-fondatore di Irrational Games, Jonathan Chey. A dispetto del pedigree del designer, non aspettatevi però chissà quale volo pindarico in fatto di sceneggiatura, che si limiterà a fungere da esile pretesto per dare vita ad un FPS roguelite, impreziosito da una generazione procedurale degli ambienti e ad un pizzico di gestione delle risorse. In soldoni, nei panni di uno dei sacrificabili detenuti polverizzati ospitati a bordo di una gigantesca nave prigione, dovremo cercare di recuperare gli oggetti necessari al proseguimento della nostra missione, viaggiando all’interno della nebulosa Sargasso ed abbordando, in cerca dei materiali richiesti (ma anche di cibo e carburante), i vascelli spaziali come noi alla deriva. Imbastita come una sorta di comic americano, con gli esili snodi narrativi proposti in maniera simile a vignette animate di un fumetto, l’avventura ci terrà impegnati per circa una quindicina di ore, e sarà corroborata da una discreta dose di rigiocabilità, complice la natura randomica della mappa di gioco e dei vari personaggi giocabili, ma anche grazie alla presenza di alcune sfide accessorie che verranno rese disponibili una volta completata per la prima volta la campagna.
Lost in space
In Void Bastards moriremo moltissime volte, ma questo non deve spaventare i giocatori, dato che essendo un roguelite ogni dipartita ci farà conservare gli oggetti recuperati fino a quel momento, compresi quelli missione, costringendoci però a ripartire da uno degli sparuti checkpoint presenti nella nebulosa Sargasso. Peculiarità di ogni sortita sarà la natura del detenuto che andremo a controllare, dato che ognuno dei malcapitati sarà dotato di caratteristiche uniche, che potrebbero rendere più agevole, ma anche ostacolare la nostra missione. Ciascuno, difatti, è caratterizzato da alcuni tratti specifici, come una fastidiosa tosse (in grado di allertare i nemici nelle vicinanze), daltonismo, oppure una statura sin troppo minuta, ma non mancano anche vantaggi, come la possibilità di vedere sulla mappa nemici ed oggetti, una maggiore velocità di ricarica e molto altro. Questi, però, non sono gli unici elementi randomici che caratterizzano Void Bastards che, come detto poco sopra, presenta degli ambienti generati per mezzo di un algoritmo procedurale: sia la mappa della nebulosa, che le navi che andremo ad esplorare, varieranno la propria conformazione ad ogni morte, così da rendere sempre imprevedibile l’avventura. Estremamente utile sarà, quindi, il nostro scanner di bordo, che ci indicherà di volta in volta i materiali ed i nemici presenti su ciascuna nave, così da capire subito se conviene o meno rischiare la pelle. Importante sarà, inoltre, la gestione di cibo e carburante, dato che finire le scorte del primo comporterà ad ogni salto spaziale la perdita di energia vitale, mente restare a secco di propellente prolungherà i vari tragitti, con conseguente consumo extra di vettovaglie. Questo elemento ludico finirà per influire anche sull’esplorazione dei vascelli, dato potremo essere portati ad effettuare una breve ricognizione mordi e fuggi, utile soltanto a recuperare lo stretto necessario per raggiungere il prossimo punto di approdo, invece che setacciare in lungo ed in largo l’ambiente per fare razzia di ogni oggetto. Questi ultimi, oltre che al nostro sostentamento, saranno utilizzati per craftare armi ed equipaggiamenti, in grado di rendere poco alla volta sempre più agevole ogni nuovo restart, dato che manterremo ogni elemento ottenuto in caso di game over. Ludicamente parlando, quindi, il mix imbastito da Void Bastards funziona in maniera egregia, almeno a livello puramente concettuale, dato che presta comunque il fianco a qualche criticità.
Andrà meglio la prossima volta?
Il limite maggiore della produzione Blue Manchu è rappresentato proprio dal suo elemento cardine, ovvero la totale imprevedibilità dell’ambiente di gioco. Il ritmo della progressione, difatti, è alquanto altalenante, oltre che basato in maniera marcata sul caso: durante le ore trascorse assieme al gioco, difatti, è stato davvero difficile non notare come vi siano state sortite decisamente più abbordabili di altre, capaci di farmi raggiungere uno dei checkpoint senza troppi sbattimenti, complice un personaggio dotato di caratteristiche altamente favorevoli, a cui si sono accompagnate navicelle tutto sommato semplici da affrontare. Di conseguenza non sono mancate run in cui, oltre ad avere un detenuto non proprio eccellente, mi sono imbattuto in vascelli ai limiti del proibitivo, letteralmente ricolmi di nemici (il cui respawn è continuo in entrambi i casi) e con pochissime munizioni a disposizione. Ed in questi casi, duole ammetterlo, non c’è strategia od abilità che tenga. Il che è un peccato, dato che pur essendo accompagnato da un gunplay quanto mai essenziale, la natura FPS di Void Bastards funziona, e pur con le dovute distanze riporta alla mente le atmosfere di System Shock. Azzeccatissimo anche lo stile grafico adottato, che come riportato in apertura, conferisce al tutto l’aspetto di un fumetto americano, grazie ad un utilizzo intelligente del cel-shading ed alla scelta di presentare i nemici come sagome bidimensionali. Peccato per la solita assenza della localizzazione in italiano e per la grandezza delle scritte presenti nelle varie schermate davvero ridotta, che rende talvolta difficoltosa la lettura, anche su pannelli dalle dimensioni generose.
Tra molte luci (gameplay e stile) e qualche ombra (difficoltà aleatoria), Void Bastards si presenta all’appello riuscendo comunque a portare a casa il risultato con relativa tranquillità. Il titolo Blue Manchu, difatti, offre un’esperienza FPS roguelite sicuramente interessante e varia, caratterizzata da un comparto estetico accattivante, e da alcune idee di design azzeccate. Godibile e rigiocabile, il debutto di Blue Manchu non può che essere promosso con merito, anche se spiace constatare che sarebbe bastata qualche smussatura in più per renderlo un prodotto ancora più godibile. Buona la prima, comunque, senza dubbio.