Recensione Until Dawn Remake
di: Simone CantiniVa bene che la line up first party 2024 di Sony è ridotta al lumicino, e con metà della roba uscita fino ad oggi già sparita dai radar (anzi, sparita e basta), ma c’è davvero un limite a tutto. Passi quella figata assoluta di Astro Bot, piccola e forse troppo sottovalutata gemma di un modo di fare gaming che, in quel del colosso nipponico sembra svanita, ma per il resto si può davvero stendere un velo pietoso. Si, perché Until Dawn Remake è davvero una delle prese in giro più colossali che mi sia mai capitato di vedere, a tratti anche peggiore di quel The Last of Us (il primo) riproposto proprio su PS5 qualche tempo fa. E con cui non fui affatto morbido. E la storia si ripete, anche se confesso che mi spiace molto per i ragazzi di Ballistic Moon, che tutto sommato il loro sporco lavoro lo hanno portato a casa, ma hanno finito per essere triturati dalle scellerate scelte aziendali dell’casa giapponese.
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Quella casa nel bosco
Avete presente quegli slasher movie adolescenziali che tanto ci piacevano sul finire degli anni ’90? Dai, quelle pellicole in cui gruppi di ragazzini perennemente in calore finivano per cadere come mosche sotto i colpi di efferati e spietati assassini, spesso celati dalle più improbabili delle maschere. Produzioni leggere e senza troppe pretese, che avevano solo il compito di tenere alta la tensione ed inondare lo schermo di un po’ di sana violenza. Per quanto non sempre memorabili, ma ci sono comunque le brave eccezioni, si trattava di film funzionali e scaccia pensieri, ottimi se si cercava un po’ di spaventi senza troppe elucubrazioni. Un processo che ha funzionato a dovere nel 2015, quando l’originale Until Dawn (non ancora Remake) vide la luce su PS4, segnando l’ingresso di Supermassive Games nel mondo dei grandi. Il gioco in questione, un’avventura narrativa a bivi di stampo horror, raccontava in modo efficace e convincente la notte degli orrori vissuta da un gruppo di amici, ritrovatisi nella più classica delle baite sperduta nelle montagne canadesi.
Il plot firmato Fessenden–Reznik finì per funzionare nella sua prevediblità, grazie soprattutto ad un gameplay dannatamente efficace, capace di far avvertire a dovere il peso che le scelte del giocatore avrebbero avuto nello svolgimento generale. Una storia che, anche oggi, scorre in modo egregio, a dispetto di un cast alquanto stereotipato, ma che soprattutto nella prima metà dell’avventura riesce a mettere in piedi un interessante quadretto. Sotto il profilo puramente scrittorio, pertanto, Until Dawn Remake mantiene intatto tutto il suo fascino volutamente dozzinale, coinvolgendo il giocatore in un gioco al massacro dai risvolti spesso imprevedibili, ma sempre spassosamente divertenti. E non c’è nulla di male, visto che trattandosi di un remake sono altri gli aspetti su cui sarebbe lecito aspettarsi massicci interventi. Peccato che non sia questo il caso (ah Silent Hill 2, quanto avresti da insegnare!), ma non per demeriti di Ballistic Moon, quanto per l’ancora oggi buonissima resa del materiale di partenza.
Tutto qua?
Lo so, 9 anni sono tanti nel panorama videoludico, ma quando si parte già da solidissime basi, il salto non può che essere alquanto indolore. Ed Until Dawn Remake sintetizza alla perfezione questo assunto, visto che al netto della completa riscrittura del tutto tramite l’Unreal Engine, che è andato a sostituire il motore di Killzone utilizzato in origine, le differenze tra vecchio e nuovo sono davvero impercettibili. O meglio, non sono tali da giustificare i 70 Euro richiesti per acquistarlo. Non ci girerò troppo intorno: il prezzo di vendita è assolutamente fuori di testa e fuori mercato, considerando come l’installazione originale sia ancora oggi godibilissima, oltre che disponibile per una manciata scarsa di spicci (e disponibile per anni nella raccolta di PlayStation Plus). Insomma, si può giocare alla grande spendendo un infinitesimo di quanto richiesto oggi.
Certo, la nuova installazione ha comunque del lavoro dietro, a partire dall’abbandono della camera fissa di stampo cinematografico, in favore di un movimento gestito liberamente dallo stick del pad, ma almeno in questo caso la resa generale è risultata molto più piatta che in origine, per quanto più comoda da giocare. Visto, comunque, l’esile gameplay del titolo, basato prevalentemente su QTE e scelte multiple, il ridimensionamento dell’atmosfera non è proprio un grande boost. L’impatto grafico è migliorato e più definito, ma si è smorzato anche l’effetto più sporco che caratterizzava determinate porzioni dell’originale: bastone e carota, che spetterà al giocatore mettere nell’ordine che più preferisce, ma senza timore di essere smentito non credo valgano il prezzo del biglietto.
Il cambio di hardware ha portato anche a qualche piccola variazione dell’esperienza, che ha perso il supporto opzionale alla PlayStation Camera, che in originale riprendeva le reazioni del giocatore in peculiari frammenti, oltre all’abbandono del rilevamento della luce del controller PS4 nei momenti in cui era necessario mantenere il sangue freddo, rimpiazzata dai sensori di movimento del DualSense. Piccolezze, sia chiaro, che fanno il paio con il supporto marginale ai trigger adattivi. Ci sarebbe anche la questione sonora da considerare, data la presenza di tracce audio rimasterizzate (ma chi se ne accorgerà mai, mica parliamo di registrazioni anni 60?), una nuova soundtrack ed altre piccolezze, benvenute in caso di upgrade a pagamento contenuto come sarà per Horizon Zero Dawn, ma che per 70 cartelle sembrano davvero gocce in un mare di avidità.
No, non ci siamo davvero con Until Dawn Remake, che dimostra ancora una volta come Sony non abbia davvero capito come ci si comporta con le riedizioni di giochi del recente passato, soprattutto quando PS5 è stata presentata con un’enfasi sulla retrocompatibilità con i titoli PS4. Ballistic Moon ha dimostrato di saper lavorare, cavando il sangue dalle rape e riuscendo a proporre qualche miglioria ad un titolo che ancora oggi regge tranquillamente il peso dei suoi 9 anni di vita. A non averci capito davvero nulla è il colosso giapponese, che se lato collaborazioni third party si sta muovendo benissimo, pare davvero aver smarrito la bussola in merito alle sue produzioni interne, come dimostra anche il prossimo remake in arrivo a fine mese (che ancora mi chiedo quale target abbia). Prendete, pertanto, il voto in basso come un giudizio all’operazione nella sua interezza, e non al mero lavoro di svecchiamento tecnico che, per quanto superficiale, non è certo da bocciare. I problemi, in questo caso, sono davvero a monte. Molto a monte.