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Recensione Un viaggio fatto di emozioni…

Talvolta la cosa importante in un viaggio non è la meta, bensì il viaggio stesso. Quello che si vede, quello che si apprende, quello con cui si viene a contatto. E poco importa quale sia la destinazione, quanto tempo ci si impieghi per raggiungerla o come la si raggiunga. Perché in fin dei conti avere una meta potrebbe essere una perfetta scusa per poter visitare posti nuovi, incontrare nuova gente, fare nuove esperienze. Tutto questo è Journey.

di: Giorgio "Nadim" Catania

Talvolta la cosa importante in un viaggio non è la meta, bensì il viaggio stesso.
Quello che si vede, quello che si apprende, quello con cui si viene a contatto. E poco importa quale sia la destinazione, quanto tempo ci si impieghi per raggiungerla o come la si raggiunga. Perché in fin dei conti avere una meta potrebbe essere una perfetta scusa per poter visitare posti nuovi, incontrare nuova gente, fare nuove esperienze.
I ragazzi di thatgamecompany sembrano aver capito questa importante lezione e, al contrario di molte altre software house, hanno confezionato un prodotto che fa sue queste nozioni. E dopo alcuni anni di sviluppo hanno dato luce al loro ultimo titolo distribuito in digital delivery sul PlayStation Store.
Nemmeno a dirlo, questo originalissimo gioco si intitola Journey

Partenza

Seguito spirituale di flOw e Flower, Journey è un ambizioso videogioco che guarda al passato per proporre un’esperienza videoludica innovativa. Pone le sue basi sempre sul concetto del viaggio, come i suoi due predecessori, ma lo fa in maniera differente.Immagine di gioco
Il protagonista? Uno strano essere, simile ad un umano, dal viso coperto, avvolto in un manto rosso, con una lunga sciarpa sollevata dal vento. Il luogo? Un deserto immenso, apparentemente infinito, disseminato dalle rovine di una gloriosa e perduta civiltà, popolato da creature tanto misteriose quanto affascinanti. La meta? Una montagna lontana, molto lontana. Anzi, lontanissima. Alta così tanto che sembra voglia sfiorare il cielo. Sulla vetta cela un segreto che il protagonista vuole, deve svelare.
Al giocatore viene chiesto di muovere i primi, esitanti passi verso il suo obiettivo. Si apprende così come camminare. Poi gli si chiede di sollevarsi delicatamente dal terreno e di rompere con dolcezza il silenzio. Ecco che si imparano le altre due azioni del gioco: saltare e cantare. E questo è quanto. Basta infatti così poco per poter avanzare in questa landa desolata.
Camminare, saltare e cantare… tre azioni che chiunque di noi è in grado di fare. Eppure in Journey questi tre semplici gesti assumono un’importanza nuova, da scoprire sempre più mano a mano che si prosegue nell’avventura.
Comincia così l’odissea.

Viaggio

Un deserto assolato circonda il piccolo avventuriero. Bisogna superare decine e decine di dune, imbattersi in edifici ormai erosi dalla sabbia e continuare a guardarsi attorno per capire cosa fare. In Journey nulla viene spiegato al giocatore, che è libero così di scoprire da solo come continuare il suo viaggio. Solo due informazioni gli vengono però accennate, giusto per non farlo sentire totalmente spaesato e fargli intuire come proseguire.
La prima riguarda la melodia silenziosa: cantando di fronte a certi oggetti, succedono alcune cose. Se si è nelle vicinanze di drappi sospesi nell’aria si carica la sciarpa di energia, e si può così saltare fino a che non la si consuma del tutto. Se invece si è al fianco di alcuni speciali dispositivi li si può attivare, per scoprire di volta in volta la loro utilità.Immagine di gioco
La seconda invece è legata alla sciarpa stessa: ci sono alcuni simboli luminosi, presenti un po’ ovunque, che una volta raggiunti e sfiorati allungano permanentemente la sciarpa. Questo permette, una volta che la si carica di sufficiente energia, di fare salti più alti e lunghi, fino quasi a danzare sospesi nell’etere.
Una volta apprese queste basilari nozioni, sta al giocatore imparare a muoversi al meglio nel deserto. Scoprire cosa vi è dietro ogni duna, tra i palazzi diroccati, e cosa è nascosto dentro gli enormi macchinari in cui ci si imbatte, che funzionano da chissà quanti secoli. Il tutto saltando, cantando e muovendosi sulla sabbia. Non importa se camminando agilmente, arrancando o scivolando su di essa, l’importante è proseguire il viaggio, ad ogni costo. Perché bisogna scoprire qual è il segreto in cima alla montagna, e questo lo si può fare solo continuando ad avanzare. Magari esplorando un po’ più a fondo le immense distese che circondano il protagonista, giusto per scoprire qualche dettaglio in più sul mondo in cui ci si trova o per il semplice gusto di farlo. Magari proseguendo verso la vetta senza alcuna deviazione. Questa decisione spetta esclusivamente al giocatore, che può sentirsi libero di affrontare il cammino che gli si para di fronte come meglio crede.

Arrivo

Durante il tragitto numerose sono le meraviglie che attendono il viaggiatore: luminosi mari gialli in cui navigare sospinti dal vento, resti di città un tempo grandiose e splendenti, compagni di viaggio tanto inattesi quanto ben accetti e, infine, insidie capaci di rallentare il passo o bloccare la via. Perché come in ogni viaggio che meriti tale nome, non ci sono solo cose belle da ammirare, ma anche altre più brutte con cui dover fare i conti. Ecco quindi che, nel corso del pellegrinaggio, ci si vede costretti a superare vari ostacoli: che siano essi enigmi da risolvere o inconvenienti climatici fastidiosi poco cambia, perché alla fine bisogna sempre trovare il modo di superarli per poter proseguire.Immagine di gioco Nulla deve impedire allo straniero di raggiungere la meta prefissata.
Il viaggio prosegue così velocemente ma, allo stesso tempo, lentamente. Perché se è vero che il difetto di Journey, inteso come videogioco, è quello della longevità, questo si rivela contemporaneamente un pregio. Le emozioni che il gioco riesce a trasmettere, sia che lo si giochi da soli che in compagnia, sono infatti uniche nel loro genere. Vedere il protagonista accerchiato da infinite colline sabbiose, immerso in un silenzio oggigiorno raro, alle prese con un viaggio che sembra impossibile, è un’esperienza che difficilmente si vive in un videogioco. Diluire il tutto in un titolo più lungo poteva rivelarsi una lama a doppio taglio. Quindi, alla fin fine, non ci si può lamentare della brevità di Journey. Ciò permette infatti al giocatore di vivere un concentrato di esperienze che non concedono pause fino alla fine, facendo sembrare quasi il tempo rallentare di fronte alla magnificenza di alcuni panorami. Panorami rappresentati a meraviglia, non solo da un punto di vista artistico, ma anche da uno prettamente estetico: la grafica di cui si veste Journey è ricca, colorata, piena di effetti visivi magnifici, che fanno splendere alcune schermate tanto da lasciare a bocca aperta. Il deserto, seppur spesso vuoto, sembra così più vivo che mai. Specialmente quando le gioiose melodie colmano l’altrimenti troppo opprimente silenzio, rendendo il cammino ancora più spensierato, o ancor più melanconico, o ancor più arduo.

Ricordo

Una volta concluso il cammino, ciò che rimane impresso nella memoria non è il raggiungimento della meta e la conseguente soddisfazione di aver conseguito l’obiettivo. Ciò che il giocatore, o meglio il pellegrino, ricorderà con affetto sarà appunto il viaggio. Lo stupore di spiccare un salto e fluttuare nell’aria, la bellezza nel dar vita con un semplice canto a qualcosa altrimenti privo di un’anima, la paura di non riuscire a superare le tante avversità una volta arrivato ad un passo dal traguardo. Ed è questo che differenzia Journey da qualsiasi altro videogioco. Perché Journey, in fondo, non è solo un videogioco. E non è solo arte. Ma è un’esperienza.
Perché in fondo, una volta terminato, quello che vi ricorderete con maggior felicità di Journey sarà l’emozione che avete provato camminando per la prima volta in quel vasto deserto, sapendo che il viaggio era solo all’inizio.