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Recensione Ufo Robot Goldrake: Il Banchetto dei Lupi

di: Simone Cantini

Io c’ero quel 4 aprile del 1978, anche se avevo solo poco più di un anno, ma stando a quanto mi hanno sempre raccontato i miei genitori, quei 20 minuti serali trascorsi su Rai2 mi videro attento come non mai, rapito da quelle immagini che mai si erano viste prima sui nostri schermi. Ecco perché recensire Ufo Robot Goldrake: Il Banchetto dei Lupi ha rappresentato per il sottoscritto tanto una gioia quanto un enorme patimento. Un mix di euforia, scaturita dal mio amore viscerale per il nagaiano robot (di cui possiedo svariati e costosissimi gadget in casa), e rassegnazione, a causa dei nomi non certo altisonanti che si celano dietro alla produzione in questione. Come riuscire a far convivere l’eccitazione del poter controllare per la prima volta in un videogioco a lui dedicato (i Super Robot Wars non valgono!) il caro Goldrake, con il disappunto nato da quanto si muove effettivamente sullo schermo? Ecco, un compito ostico, quasi impossibile, i cui esiti proverò a descriverli in questa travagliata recensione.

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Cartoni animati giapponesi (cit.)

Fedele all’opera del maestro Go Nagai, come ci ricorda anche l’avvio del gioco, Ufo Robot Goldrake: Il Banchetto dei Lupi prende il via proprio all’inizio delle vicende originali, catapultandoci sul pianeta Fleed durante l’invasione delle truppe di Vega. Pochi minuti, utili unicamente a prendere confidenza con il gigantesco robot, e finiremo per fare dolorosamente rotta verso la Terra, luogo in cui Duke Fleed/Daisuke Umon/Actarus troverà rifugio e serenità solo per un paio di anni, prima che il suo tragico passato torni a bussare alla sua porta e a quella di tutti i terrestri. Seguendo abbastanza fedelmente lo sviluppo originale, almeno in queste prime battute, la produzione firmata Endroad ci farà rapidamente conoscere Koji Kabuto/Alcor ed il suo agile TFO (non capirò mai perché il Mazinga Z rimase ostinatamente sul fondo della sua iconica piscina), il professor Umon/Procton, il perfido Blakki/Hydargos e tutti gli altri abitanti della fattoria Shirakaba. Mettendo in piedi una serie di missioni che ricalcano in parte episodi dell’anime, la storia narrata in Ufo Robot Goldrake: Il Banchetto dei Lupi si interrompe bruscamente dopo circa 5-6 ore di gioco, lasciando in sospeso molte vicende, magari in vista di un prossimo sequel (che mi auguro possa godere di un trattamento tecnico migliore). Pur non sconvolgendo per qualità, il feeling che si respira è molto affine a quello che caratterizza la serie animata, con quel suo smaccato alone ecologista e la malinconica e tormentata figura di Actarus al centro della scena. Lontano dai drammi e le complessità di Evangelion, la sceneggiatura scorre semplice e a tratti assai ingenua, tra missioni principali e secondarie che, qualunque sia l’obiettivo, ci chiederanno di distruggere le macchine di Vega, poco importa se a bordo di Goldrake o del minuscolo TFO. Un piccolo racconto che i fan di vecchia data, ma anche i nuovi appassionati, non potranno che trovare coerente con il materiale di partenza, con cui condivide però anche tutti i fisiologici limiti figli dell’animazione di metà anni ’70.

Ha la barba spaziata (cit.)

Inutile negarlo, da bambino mi interessava ben poco dell’intreccio dei vari episodi, che vedevo solo come un pretesto buono unicamente a ritardare l’arrivo sugli schermi del metallico robot. E anche con Ufo Robot Goldrake: Il Banchetto dei Lupi si è verificata la medesima situazione, con l’esaltazione che ha raggiunto le sue vette massime non appena ho potuto prendere fisicamente il controllo dell’eroe nato dalla fantasia di Go Nagai (tra l’altro omaggiato direttamente in una delle missioni di gioco). E una volta giunti virtualmente in cabina di pilotaggio, quello che mi sono trovato davanti è stato un basilare action, dal moveset molto semplice, ma comunque in grado di portare su schermo tutte le iconiche armi viste in tv: Alabarda Spaziale, Lame Rotanti, Raggio Antigravità, Tuono Spaziale e tutte le altre sono riprodotte in modo fedele all’interno del flow di gameplay, e riescono a mettere in piedi scontri non certo troppo impegnativi, ma sicuramente soddisfacenti in quanto a fedeltà. Quasi tutti i tasti del controller sono legati ad un particolare attacco, ognuno dotato di una propria peculiare efficacia, e sarà necessario combinarli a dovere per avere la meglio sulle varie minacce, soprattutto quando ci troveremo davanti a robot vulnerabili unicamente a specifiche sequenze di colpi. Tutto quanto sarà potenziabile tramite un esilissimo skill tree, al cui interno sarà possibile investire le risorse recuperate sul campo, sia per migliorare quanto in nostro possesso, sia per accedere a nuovi armamenti. Peculiare è risultato essere il sistema di cura, legato ad un indicatore energetico che si caricherà sferrando colpi, e che richiederà la pressione del d-pad per ripristinare la salute, previo un piccolo momento di pausa in cui saremo esposti agli attacchi nemici. Tale barra, inoltre, gestirà l’utilizzo degli attacchi più potenti, situazione che impedisce di spammare i colpi migliori come se non ci fosse un domani. Pur nella sua oggettiva semplicità, Ufo Robot Goldrake: Il Banchetto dei Lupi non lesina piacevoli digressioni ludiche, capaci di alternare momenti più rilassati in cui dovremo semplicemente chiacchierare con gli altri personaggi, a sezioni in stile shoot ’em up a bordo dello Spacer o del TFO. Anche in questo caso è tutto molto basico, ma nell’economia generale della produzione non risultano essere mai fuori luogo. A completare il novero di attività di gioco, ci penseranno vari collezionabili e obiettivi segreti (invero assai ostici da scovare), che saranno disseminati all’interno delle 6 macroaree aperte in cui è suddiviso il mondo di gioco.

I cartoni animati volgari (cit.)

A leggere fino a questo punto, sembrerebbe di trovarsi al cospetto della perfetta declinazione videoludica della serie animata, il sogno proibito di ogni fan, e se per certi aspetti posso concordare, viene difficile passare sopra agli evidenti limiti del lavoro Endroad. Superato il sollucchero iniziale, e spolverato l’abito dell’inflessibile recensore, è impossibile non notare l’estrema basilarità del gameplay, funzionale ma privo di quella pulizia in grado di fare davvero la differenza. Gli scontri, per quanto efficaci, mancano di pathos e profondità (va un pochino meglio con i boss), così come privi di guizzi sono i momenti shoot ’em up, assai scolastici e lineari. La stessa realizzazione tecnica tradisce la modestia del budget a disposizione del team, a causa di una messa in scena assai scialba, per quanto fedele a livello stilistico: pop up di elementi, frame rate ballerino (tranne nelle aree di fine livello) e qualche compenetrazione sono sintomo di un lavoro che non è riuscito a beneficiare del giusto processo di cura e pulizia. Ingenuità si riscontrano anche nei vari tutorial, mai esaustivi a dovere, situazione che mi ha portato a scoprire varie funzioni quasi casualmente. Un appunto in negativo lo devo rivolgere anche in ottica di puro fanservice, data l’assenza di collezionabili degni di nota, salvo una sparuta manciata di skin dall’estetica discutibile. Sogno ancora, in caso di simili lavori, un trattamento analogo a quanto riservato da Atari al suo glorioso Transformers per PS2, a mio giudizio il miglior esempio possibile in quanto a coccole e qualità. Laddove Ufo Robot Goldrake: Il Banchetto dei Lupi spicca senza ombra di dubbio è nell’accorato doppiaggio in lingua italiana che, pur in assenza delle voci storiche, riesce a trasmettere tutto il pathos dei tempi che furono: sentir gridare i nomi delle armi, pur in assenza del leggendario Romano Malaspina, non nego mi abbia fatto correre un brivido lungo la schiena. E poco importa per qualche voce secondaria un po’ fuori luogo e qualche sottotitolo non sempre puntale, c’è solo da togliersi il cappello al cospetto di un trattamento così puntuale e sentito. Roba che altri studi più blasonati e remunerati dovrebbero prendere ad esempio.

Purtroppo i timori nati al comparire dei primi trailer di Ufo Robot Goldrake: Il Banchetto dei Lupi hanno finito per concretizzarsi, dato che il lavoro firmato Endroad non è certo il capolavoro che tutti i fan dell’opera di Nagai si meriterebbero. Mai come in questo caso, però, la bellezza risiede negli occhi di chi guarda, che potrebbe tranquillamente passare oltre gli evidenti limiti e le ingenuità della produzione. Semplicissimo e scolastico nella sua messa in scena, Ufo Robot Goldrake: Il Banchetto dei Lupi è un titolo che riesce comunque a raggiungere la sufficienza, ma vista l’importanza del nome che porta, avrebbe dovuto volare decisamente più alto. Poi se siete fan sfegatati di Actarus e soci (presente!) potete anche alzare ad libitum il voto che trovate più in basso: io l’ho fatto, almeno a livello personale, e non me ne vergogno affatto!