
Recensione to a T
di: Simone CantiniQuando ci si avvicina ad un lavoro realizzato da quel folle di Keita Takahashi, è molto semplice intuire sin dal principio quello che ci aspetterà: grafica coloratissima, personaggi assurdi e storie bislacche ambientate in mondi strampalati sono, da sempre, il marchio di fabbrica del design nipponico. Il tutto condito da un gameplay assai minimale, sia che si parli degli arrotolamenti di Katamary, delle catene umane di Nobi Nobi Boy o del bisogno di manipolare il tempo per arrivare puntuali all’appuntamento amoroso di Crankin’s Time Travel Adventure. Titoli, questi ed i loro fratelli, non certo adatti a tutti i palati, date le loro evidenti peculiarità, ma che sono tutti in grado di sorprendere ed offrire sempre un diverso spaccato del geniale estro di Takahashi. Come nel caso del curioso to a T.

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La perfezione non esiste
Follia ne abbiamo in to a T? Beh, a vedere il contesto narrativo del gioco sviluppato da uvula ne avremo a bizzeffe. A partire dal suo protagonista, un neo tredicenne nato con le braccia costrette in posizione orizzontale, che gli conferiscono per l’appunto l’aspetto delle lettera T. Una vita non semplice la sua, che gli impedisce di compiere con naturalezza ed autonomia anche i gesti più semplici, siano l’andare in bagno o il lavarsi viso e denti, ma che grazie all’aiuto dell’ingegno della mamma, e l’amicizia del suo cagnolino, sono oramai divenuti anche per lui una semplice routine.

Come in ogni storia che si rispetti, però, non tutto è rose e fiori e non mancheranno dei fastidiosi bulli sempre pronti a canzonare il suo bizzarro aspetto, ritenendolo diverso e sbagliato. Le cose cambieranno quando un misterioso oggetto volante causerà la distruzione della scuola, occasione in cui il ragazzo scoprirà di essere in grado di volare. Prende così il via un surreale viaggio in questa assurda quotidianità, fatta di giraffe antropomorfe dedite alla preparazione di panini e gelati, pinguini ninja e ristoranti in riva al mare, che tratteggeranno un racconto tanto semplice quanto profondo. A patto di avere la voglia e la pazienza di arrivare alla sua conclusione, nell’arco di circa 5-6 ore.

to a T in inglese è un termine che indica la precisione e la perfezione di una situazione, e nel caso del lavoro di Keita Takahashi e del suo team siamo proprio invitati ad interrogarci su cosa sia il canonicamente corretto. Per mezzo delle sue assurde situazioni, che possono tranquillamente essere viste come una metafora della nostra società, non mancano riflessioni sul bullismo e l’amicizia, così come piccoli spunti relativi alla tolleranza e alla comprensione reciproca. Ed ancora una volta il design giapponese ricorre alla disarmante arma della semplicità per veicolare il suo pensiero, che scorre veloce secondo una struttura che ricorda le serie TV, in cui i vari raccordi narrativi sono scanditi anche grazie a sigle di apertura e di coda.

Piccoli gesti per piccole storie
Come tutti i lavori di Takahashi, anche to a T sceglie volutamente di puntare su di un gameplay molto esile e sussurrato, lontano dai rocamboleschi e talvolta fracassoni espedienti del mercato tradizionale. Nel gioco, un’avventura di stampo narrativo, saremo chiamati a compiere piccoli gesti, come il riuscire a preparare una colazione a base di latte e cereali, oppure lavarsi il viso ed i denti, per poi scegliere il nostro abbigliamento ed andare a scuola o a zonzo per la città. È fuori dalla nostra casa che la situazione cambia un poco, affiancando ad alcuni minigiochi e a piccole quest opzionali un pizzico di esplorazione in salsa free roaming, utile a scoprire nuove location e, magari, acquistare vestiti per noi ed il nostro cane per mezzo delle monete nascoste per le viuzze.

Tutto qua, to a T non offre niente di più che non sia mostrarci la crescita del protagonista e del mondo che lo circonda, il tutto per mezzo di situazioni a tratti davvero fuori di testa e caratterizzate da consueti dialoghi stralunati al punto giusto. Parliamo di un gioco che non punta assolutamente sulla frenesia e la voglia di stupire con effetti speciali rutilanti, ma che sceglie consapevolmente di offrire un incedere rilassato e alquanto particolare, conscio di non poter essere apprezzato (giustamente) da ogni tipologia di giocatore.

Giraffe nella testa
Come vuole la tradizione, e come detto in apertura, anche to a T propone un comparto tecnico/estetico in linea con quelle che sono le nostre aspettative. Il comparto grafico presenta uno stile molto semplice ed essenziale, che va a smussare le spigolosità viste in origine nella serie di Katamari, di cui ne ammorbidisce e perfezione un poco le forme, non tradendone però lo stile generale. Il colpo d’occhio è comunque molto d’impatto nella sua semplicità, e non mancano delle piccole chicche che potrebbero sfuggire ad un occhio distratto, come la cura profusa in alcuni dettagli secondari in determinate animazioni (la mano che apre il rubinetto ne è un chiaro esempio). Tanta semplicità di base, come logico, almeno su PS5 non ha lasciato spazio a evidenti criticità in quanto a fluidità, con il solo guardaroba del nostro cagnolino che ha messo in evidenza qualche scatto durante la selezione degli accessori. Roba davvero di poco conto.

Non mancano, però, alcuni bug che mi auguro possano essere risolti con una patch, e che mi hanno costretto a riavviare il gioco per poter proseguire: parlo della mancata attivazione di alcuni script indispensabili per avanzare nella storia, ma anche di una location che impediva di uscire perché vi ero arrivato tramite una via non prevista dal gioco. Niente di che, visto che i checkpoint sono comunque generosi. Da applausi come sempre il comparto sonoro che, pur in presenza di una soundtrack assai compressa se rapportata a Katamari, presenta dei brani che è impossibile non amare sin dal primo ascolto: la sigla finale dedicata a Giraffa non ne vuole sapere di uscirmi dalla testa! Una tiratina di orecchie va data alla localizzazione testuale in italiano (il voice over è, al solito, a base di suoni più o meno incomprensibili), che ha evidenziato qualche piccolo errore di battitura.

Keita Takahashi non si smentisce mai, ed anche con to a T è riuscito ad andare avanti per la propria strada, fregandosene altamente di ogni convenzione ludico/commerciale. E lo ha fatto realizzando un gioco sicuramente non adatto a tutte le platee, che pur in presenza di un gameplay alquanto esile e minimale non rinuncia a veicolare un messaggio di tolleranza ed inclusione quanto mai efficace ed attuale. Forte di una personalità artistica e narrativa di assoluto spessore, to a T pecca soltanto in termini di gameplay puro, ma trattandosi di un’avventura il cui focus è raccontare una bella storia, per quanto surreale e stralunata, il risulta non può che andare bene. In definitiva, parliamo di un gioco fortemente autoriale che ha solo bisogno di trovare l’ascoltatore giusto per potersi esprimere al meglio, come da marchio di fabbrica di Keita Takahashi, che in fondo ci piace proprio per questo.