Recensione The Witness
di: Simone CantiniUno schermo completamente nero, interrotto unicamente da un piccolo puntatore e dalla presenza, quasi casuale, del tasto X. Vago per alcuni, svariati, troppi minuti in cerca di qualcosa da fare, un pulsante da premere, un flebile indizio in grado di allontanare la frustrazione. Passa mezzora e la rabbia prende il sopravvento: maledico Blow e il suo The Witness e chiudo l’applicazione senza voltarmi indietro. Poi l’istinto del recensore inizia a bussare con insistenza, costringendomi a riavviare il tutto. Solo per accorgermi di essere incappato in un allegro bug: un metallico corridoio fa ora bella mostra di sé, invitandomi ad accettare, sul serio, la sfida.
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No man is an island?
Non posso, o forse non sono in grado di farlo. Limite mio, ma è difficile sbilanciarsi in merito alla trama che fa da collante ai puzzle sparsi per l’isola diThe Witness. Nessun indizio palese, nessuna scritta o segnale: l’avvio dell’avventura, così come il suo dipanarsi, sono prive di una qualsiasi forma narrativa esplicita e a poco, almeno per me, sono serviti gli sparuti audio diari che è possibile reperire esplorando i vari anfratti. Per tanto non mi soffermerò su questo aspetto, lasciando a voi il piacere di sezionare ed analizzare ciò che Blow vuole comunicarci. Va detto, però, che questa sterilità comunicativa avrebbe meritato una maggiore cura, grazie anche al setting isolano senza dubbio affascinante, capace di evocare echi cari (per rimanere in ambito videoludico) a Myst, ma anche a quel Lost capace di tenere incollati al teleschermo milioni di fan. Peccato. Se si elimina questa parte, non certo indispensabile ai fini ludici, quello che ci rimane è un corposo agglomerato di puzzle quasi sempre di ottima fattura, i quali risultano però minati dalla stessa cripticità che permea la narrazione.
Per andare dove devo andare, dove devo andare?
Concettualmente parlando la progressione di The Witness sarà legata al rinvenimento e alla risoluzione di alcuni pannelli, all’interno dei quali sono presenti dei percorsi da completare, simili in tutto e per tutto ai labirinti che è possibile trovare sulle tovagliette dei peggiori fast food di Caracas. Ok, messa così tutto sembra avvolto dalla banalità più marcata, ma è proprio in un simile ed apparentemente spoglio contesto che The Witness mette in luce il malato genio creativo di Blow. Se è vero che nei primi enigmi non dovremo fare altro che unire il punto A al punto B nella maniera più scontata ed infantile possibile, le cose si complicano man mano che esploriamo l’isola e ci imbattiamo nelle varie declinazioni partorite da Blow. Purtroppo, al fine di evitare fastidiosi spoiler e gettare alle ortiche il motore che spinge a proseguire le nostre peregrinazioni, non posso addentrarmi nell’elencazione di tali casistiche. Posso però dirvi che non sempre la soluzione sarà celata direttamente all’interno del pannello, ma potrà essere rinvenuta esaminando l’ambiente, oppure combinando ciò che ci circonda (in maniera visiva, dato che è possibile interagire unicamente con i pannelli) con quanto dobbiamo risolvere. Le possibilità, come detto, sono molteplici e sempre sorprendenti, di modo da rendere tutt’altro che monotona un’esperienza di gioco che, almeno sulla carta, sembra essere non certo variegata. Questo che è senza dubbio il punto di forza di The Witness, però, rappresenta anche la sua più grande debolezza, che va a manifestarsi quando l’interpretazione delle regole che gestiscono alcune tipologie di enigmi sono saldamente ancorate all’ego di Blow. Mi spiego meglio: quasi tutti i gruppi puzzle sono introdotti da alcuni schemi decisamente semplici, utili a comprenderne i meccanismi. Il problema è che alcuni di essi, a dispetto di questa specie di tutorial, non fanno affatto chiarezza in merito al loro effettivo significato, costringendo il giocatore a provare e riprovare nel tentativo di venire a capo dell’enigma. È in simili situazioni che The Witness e Blow si specchiano nel proprio ego, annullando l’esperienza ludica e ricreativa in favore di una manifestazione stilistica non certo entusiasmante. Fortunatamente si tratta di episodi limite che, pur comunque presenti in maniera consistente, non vanno ad intaccare una bontà creativa davvero invidiabile.
Le meraviglie della natura
Superato questo scoglio cosa ci resta a portata di pad? Un’avventura lunga ed impegnativa, ricca di segreti e scorci che, per quanto geometricamente semplici, non possono certo lasciare indifferenti. Seppur nella sua scarsa ampiezza, specie se paragonata anche alla più ridotta delle isole di Just Cause 3, il territorio marcato in The Witness vanta una varietà ed una ispirazione invidiabile, capace di trasmettere in ogni anfratto tutta la cura che Blow ed il suo team hanno riposto nella realizzazione. Grazie ad uno stile che ricorda Wind Waker e quel poco che si è intravisto del prossimo Rime, The Witness coccola lo sguardo del giocatore ad ogni passo, accompagnandolo alla scoperta del suo essere sospeso tra realtà e fantasia. Strano a dirsi, ma l’assenza di un qualunque accompagnamento sonoro, ad esclusione dei vari rumori ambientali, non costituisce certo un punto a sfavore. Anzi.
Non nego di essermi approcciato a The Witness a recensioni già uscite, pertanto già in possesso di un piccolo bagaglio di preconcetti già cucinati da altri colleghi. Fortunatamente, come potrete notare dal voto in basso, ho finito con il crearmi una critica quanto mai personale (come sempre faccio, ma ci tengo più che mai a sottolinearlo in questo particolare caso): dopo aver speso decine di ore ad imprecare su quei maledetti pannelli, non certo senza soddisfazione, non posso però concordare nel ritenere il titolo di Blow il capolavoro che tutti vanno decantando. Non critico certo il suo essere un agglomerato di enigmi, visto che parliamo di un puzzle game, piuttosto non posso fare a meno di criticare il suo essere volutamente criptico in alcuni frangenti, finendo con il fondere il mero esercizio di stile fine a sé stesso con l’essenza ben più stimolante del videogioco. Un titolo non certo per tutti, ma non è un difetto, stimolante ed intrigante, ma privo di quel quid in grado di renderlo un must imprescindibile.