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Recensione The Town of Light

di: Simone Cantini

La pazzia è stata raccontata più e più volte nel mondo dei videogiochi, così come i manicomi sono sempre più spesso le cornici ideali in cui ambientare gli incubi che tormentano la mente degli sventurati protagonisti delle nostre avventure. Eppure, a dispetto di temi e setting così abusati, c’è ancora posto per una narrativa profondamente differente, in grado di offrire uno spaccato inedito e stavolta crudelmente reale di un mondo che sin troppo spesso si tende ad escludere dalla quotidianità. Una condizione mentale per cui non c’era posto all’interno dell’universo dei cosiddetti normali, uno straziante scenario costituito da storie andate quasi tutte perdute e che oggi tornano a gridare con prepotenza in The Town of Light.

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Quando sei pazzo non esisti più

Frutto di meticolose ricostruzioni storiche effettuate dal nostrano team LKA, la storia di The Town of Light ci narra la dolorosa esistenza di Renée, una ragazza nata all’inizio del secolo scorso e che in seguito ad alcune circostanze, che scopriremo nel corso dell’avventura, si ritroverà confinata tra le cupe mura del manicomio di Volterra. Una volta chiusa la struttura, in seguito alla promulgazione della Legge Basaglia datata 1978, la donna venne brutalmente riconsegnata al mondo da cui era stata strappata anni or sono: una vita spezzata che cercherà di ricostruire, oramai invecchiata, nel nostro presente, finendo con il ritornare a varcare la porta di quell’inferno terrestre. Emotivamente devastante, l’esperienza vissuta in compagnia di The Town of Light metterà in piedi una vicenda straziante, basata su di una rielaborazione di fatti (purtroppo) realmente accaduti, in cui non ci sarà mai spazio per la redenzione o la speranza. La vita di Renée, come quella degli altri “ammalati”, verrà scandita da violenze, abusi, privazioni, all’interno di un mondo in cui l’umanità sembra una semplice e futile utopia. Vittime e carnefici finiscono per scambiarsi costantemente i ruoli tra le mura del manicomio, un luogo cupo in cui ogni azione non è mai dettata da una innata crudeltà degli individui, quanto figlia naturale di quel non luogo capace di annullare l’umanità di dottori e pazienti. La morale, il decoro, la volontà di fare il bene della società, obiettivi senza dubbio mossi da lodevoli principi, finiscono con il soffocare anche il più piccolo germoglio di speranza, trasformando anche il gesto più amorevole in un’azione violenta e crudele. In fondo erano queste, piaccia o no, le strutture di cura in cui gli individuo ritenuti scomodi venivano segregate, celate agli occhi del perbenismo imperante, quasi come rifiuti spazzati e nascosti superficialmente sotto un tappeto logoro. Nelle due ore abbondanti di durata, praticamente una longevità in linea con i walking simulator tradizionali, non faremo altro che accompagnare per mano Renée all’interno dei luoghi che custodiscono il suo passato, risolvendo elementari enigmi e raccogliendo documenti ed oggetti in grado di ricomporre il desolante quadro della sua esistenza. In determinati punti, inoltre, ad inframmezzare l’azione accorreranno anche alcune scelte che, pur non mutando l’epilogo generale, serviranno a sbloccare snodi narrativi in grado di mostrare gli avvenimenti da differenti punti di vista: un incentivo utile a rigiocare con piacere il titolo.

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Schizofrenie tecniche

È quanto mai palese come la forza di The Town of Light non risieda nel suo gameplay, invero alquanto blando e lineare (qualora rimaneste bloccati basta premere un tasto per avere un chiaro indizio di dove andare), quanto nella sua devastante potenza narrativa. Documenti reali trasposti in game, una maniacale ricostruzione degli ambienti frutto di un certosino lavoro di sopralluogo, uniti ad una scrittura ottimamente realizzata basterebbero da soli a giustificare il prezzo del biglietto. Anche perché se dovessimo soffermarci sugli aspetti puramente tecnici ci sarebbe da muovere più di una critica ai ragazzi di LKA. Il lavoro di conversione da PC, difatti, non è certo esente da difetti, a partire da un comparto grafico sin troppo sottotono, caratterizzato da pop up di elementi assai evidente, vistosi scatti ed una fluidità dei controlli non sempre ottimale. Permangono anche alcuni bug relativi alla scomparsa dell’audio durante la lettura dei diari, oltre alla presenza inspiegabile di alcuni frammenti scritti tratti dalla versione inglese. Niente che comprometta la fruibilità generale, visto anche il tipo di gioco, ma mi è sembrato doveroso evidenziare tali lacune. Laddove, fortunatamente, The Town of Light rasenta l’eccellenza è relativamente al comparto audio, forte di una recitazione (ovviamente in italiano) semplicemente ineccepibile, in grado di aumentare il pathos ed il coinvolgimento emotivo. Ottima anche l’effettistica generale, così come la pregevolissima colonna sonora: un binomio in grado di sottolineare in modo magistrale i momenti più importanti della triste storia di Renée.

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Non sconvolge il panorama dei walking simulator, né ritengo fosse questa la volontà dei ragazzi di LKA. E allora cosa è che rende The Town of Ligh un’esperienza degna del vostro tempo e del vostro denaro? È innegabile come la narrativa abbia più che mai il sopravvento su tutto nell’opera del team fiorentino, ma più che per l’originalità dei temi trattari il vero scossone proviene dal modo in cui il tutto viene esposto. La pazzia, vissuta da chi di quel mondo ha fatto realmente parte, non è mai stata così vicina a noi, così palpabile e così opprimente in tutta la sua spietatezza. La storia di Renée, di tutte le persone la cui esistenza gettata ha finito per confluire in quella della nostra sventurata protagonista, ha il potere di colpire allo stomaco il giocatore con una violenza devastante, aiutata dalla consapevolezza di essere solo un piccolo, brutalmente reale, spaccato di un mondo dimenticato.