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Recensione The Long Journey Home

di: stefano.pet

La prima volta che ho sentito parlare di The long journey home mi sono affiorati brutti ricordi, vista la somiglianza della sua descrizione con No man’s sky, un gioco che mi ha profondamente deluso. Per fortuna le somiglianze si fermano alla descrizione e all’ambientazione. Il titolo di Daedalic Entertainment è un survival Rpg rogue-like con livelli generati proceduralmente, ma ha un gameplay completamente differente rispetto al titolo di Hello Games. 

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Lost in space

L’incipit del gioco è un classico delle storie di fantascienza spaziale: partiamo in missione dalla Terra, facciamo una sosta per un rifornimento su Marte e infine ci dirigiamo su Alpha Centauri. Durante la prima parte il gioco ne approfitta per farci un breve tutorial che ci introduce alle tecniche di approccio ai pianeti e all’utilizzo del lander, argomenti di cui parlerò tra breve. La seconda parte del viaggio è protagonista del colpo di scena: un’anomalia ci porta fuori rotta di anni luce. Scopo del gioco è, quindi, far ritornare l’equipaggio sulla Terra, ritrovando la strada di casa passando da una galassia all’altra, mentre si cercano risorse per riparare e potenziare la propria nave o da commerciare con specie aliene.

Survival, ma anche gestionale

Il gameplay di The long journey home si divide in tre fasi: una sulla nave, una sul lander e la parte gestionale nei menù di navigazione.

All’inizio il gioco ci farà scegliere quattro membri dell’equipaggio, ognuno con una sua caratteristica peculiare, che influenzeranno il nostro approccio alle situazioni che ci si presenteranno giocando. Nelle prime partite sarà difficile fare una scelta oculata perchè il gioco ci dice solo il necessario a iniziare, quindi solo dopo qualche ora di gioco ci renderemo conto di quale tipologia di equipaggio abbiamo realmente bisogno per giocare secondo il nostro stile. Scelta la crew si passa alla nave e al lander: qui la scelta è tra tre modelli di cui uno è più resistente, con più capacità di cargo e carburante, ma con meno manovrabilità, un secondo è molto manovrabile, ma snello e il terzo è una via di mezzo tra i due. La scelta dipende dalle proprie capacità di pilotare i mezzi. A questo punto il gioco ci darà un codice, che rappresenta la mappa galattica generata proceduralmente, che servirà o a rigiocare una partita futura sulla stessa mappa o a farci giocare altre persone. In alternativa possiamo inserire un codice già noto o inventarne uno noi.

Una volta scelto tutto ci ritroviamo nella prima fase di gameplay: quella a bordo della nave. Qui potremo viaggiare da una galassia all’altra, a patto di avere i materiali necessari, e tra i pianeti, finché c’è carburante. Purtroppo durante questa fase non vedremo la nave, ma semplicemente una freccia su una mappa galattica. Quando avremo individuato il pianeta su cui atterrare bisognerà portare la nave nella sua orbita scegliendo accuratamente velocità e traiettoria. All’inizio sembra macchinoso, ma ci si prende la mano in poco tempo.

Una volta in orbita potremo atterrare e inizia la seconda fase di gameplay: quella a bordo del lander. La scelta del pianeta deve essere fatta con oculatezza, considerando le risorse presenti su esso, ma anche la sua gravità e gli elementi pericolosi quali fuoco, vento forte o altro. Questa è, a mio avviso, la fase meno riuscita del gioco. Ci troveremo in una mappa bidimensionale a scorrimento laterale e dovremo portare il nostro lander nei siti in cui sono presenti le risorse. Se si tratta di minerali dovremmo atterrare e scavare, se si tratta di gas dovremo aspirarli stando sospesi sopra la fonte di essi. Il problema sta nel fatto che i comandi del lander sono molto difficili da padroneggiare. Troppo spesso mi sono ritrovato a schizzare in orbita per non aver saputo dosare l’acceleratore, ad atterrare bruscamente danneggiando il mezzo o, peggio, ad essere completamente capovolto, soprattutto nelle prime ore di gioco. Se, col tempo e la pratica, le fasi di atterraggio si riescono a padroneggiare agevolmente, le fasi di raccolta del gas risultano frustranti e inutilmente complesse, dovendo restare sospesi senza spostarsi lateralmente e a una certa quota. Il risultato è un enorme spreco di carburante che rende vana in molti casi la raccolta, in quanto poco efficiente.

Infine c’è la terza fase: quella gestionale. Premendo il tasto – entreremo in un menù a schede in cui dovremo gestire la nave e l’equipaggio. La nave deve essere regolarmente rifornita di carburante e riparata, così come il lander. Inoltre potremo installare nuova tecnologia o rimuoverne una vecchia. Per quanto concerne l’equipaggio dovremo scegliere il pilota del lander, assegnare loro nuovi oggetti scoperti, sulla base delle loro capacità, e curarli da eventuali traumi o infezioni per evitarne la morte.

Si verificano frequenti incontri con razze aliene, che potranno essere pacifiche o aggressive. Gli incontri avvengono o tramite comunicazione tra le navi o nei punti di commercio. Sarà tramite questi incontri che avremo accesso a varie missioni secondarie, utilissime per reperire più velocemente risorse e tecnologia per i nostri mezzi. Si potranno trovare anche rottami sui pianeti dai quali estrarre pezzi per la nave, a patto che uno dei membri dell’equipaggio ne sia capace.

All’improvviso tutto finisce

Non dovete meravigliarvi se un avvenimento improvviso vi porterà al game over: in The long journey home è così che funziona. La partita finsice se tutti e quattro i membri della crew muoiono e questo può avvenire in molteplici modi, molti dei quali la prima volta spiazzano e rendono vani i nostri tentativi di reazione. Si può finire a corto di carburante, con conseguente blocco del sistema vitale della nave e morte per soffocamento dell’equipaggio. Si può sbagliare una manovra e far schiantare nave o lander, portando a zero i loro scudi e distruggendoli. Si può essere attaccati da una nave aliena o contrarre un virus durante l’esplorazione di un pianeta. I modi per morire non mancano di certo, anche ai livelli di difficoltà più bassi. A questo si unisce la mancanza di un tutorial dettagliato, che ci porta ad andare ad intuito nella maggior parte delle situazioni nuove, e la totale assenza della lingua italiana. Anche conoscendo bene l’inglese ho trovato tediosi e poco efficaci i tutorial presenti e, nella modalità portatile della console, le scritte appaiono a malapena leggibili a causa del colore e delle dimensioni dei caratteri. Non dovremo meravigliarci se una partita durerà solo poche ore, soprattutto nei primi tentativi. Sarà la pratica e la pazienza ad allungare i gameplay, cosa che, però, scoraggerà una grossa fetta di giocatori.

La pazienza è la virtù dei forti

The long journey home non è un gioco che piacerà alla massa. Si rivolge a un pubblico di nicchia, ma può essere goduto anche da chi non è un amante del genere, a patto che si armi di pazienza e che si renda conto che le meccaniche di gioco prevedono l’insuccesso a prescindere dalle capacità del giocatore. È un titolo a cui un appassionato darebbe un voto altissimo, ma che un giocatore poco avvezzo alla pianificazione e alla pazienza nelle manovre stroncherebbe in un battito di ciglia. Io non sono né l’uno né l’altro e il mio consiglio è di dargli una possibilità, informandosi bene prima dell’acquisto per capire se la tipologia di gioco rientra nei propri gusti. The long journey home è un titolo che merita, seppur con i propri difetti, grazie a un gameplay particolare che, superate le difficoltà iniziali, diventa sempre più appagante man mano che ci si prende la mano. Da non perdere per gli appassionati del genere, ma da non escludere a priori anche per gli altri.