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Recensione The Last Case of Benedict Fox

di: Salvatore Agostino

L’universo immaginario creato dalla penna dello scrittore Lovecraft è sempre stato molto apprezzato per il suo fascino ed il suo alone di mistero, ed infatti è stato spesso fonte di ispirazione per molte opere d’intrattenimento come film, giochi da tavolo e ovviamente videogiochi.

Anche per questo motivo The Last Case of Benedict Fox, quando è stato annunciato alla Gamescom dell’anno scorso, ha suscitato non poco interesse nella maggior parte dei videogiocatori, grazie ad un video di presentazione che mostrava un ambiente di gioco molto suggestivo e che faceva ben sperare per la sua atmosfera e per il suo mistero.

Ma adesso che è arrivato ci troviamo davvero davanti all’esclusiva indie di casa Microsoft definitiva?

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Una trama come tante

The Last Case of Benedict Fox è un metroidvania che segue le vicende di Benedict Fox, un autoproclamato detective privato che viaggia tra la sua realtà e il Limbo, una sottospecie di realtà alternativa creata dai ricordi umani, per risolvere la misteriosa morte di due persone a lui molto vicine.

Durante questo viaggio misterioso, il protagonista è accompagnato dal Compagno, un demone che alberga nel suo corpo e nella sua anima e che gli dona numerose abilità speciali e poteri sovrumani, con i quali Benedict può affrontare le numerose entità che abitano la già citata dimensione parallela, scavando sempre più in profondità alla ricerca di risposte che lo porteranno ad avere a che fare con il suo inevitabile destino.

Sulla carta le premesse di trama non sono male, ma quest’ultima risulta per lo più sommaria, lasciando sul finale anche un bel po’ di insoddisfazione ai giocatori a cui non basteranno i pochi colpi di scena offerti per ricredersi.

Tra sogno e realtà

Il mondo di gioco in cui Benedict ed il suo fido “ospite” saranno costretti a vagare è tanto bello visivamente quanto intricato e pericoloso.

Essendo frutto della mente malata e sofferente di esseri umani, il Limbo è infatti pieno di insidie e mostruosità: il nostro eroe dovrà affrontare numerosi demoni (non particolarmente originali di aspetto per la verità) e dovrà muoversi tra ambientazioni diverse e intricate, risolvendo numerosi enigmi atti a svelare sempre porzioni nuove di gioco, in cui recuperare oggetti collezionabili oltre che utili per sciogliere altri enigmi.

Per essere un titolo non particolarmente longevo (impiegherete circa 7 ore a terminarlo se siete avvezzi al genere), la mappa è piuttosto ampia e visto che ci ritroveremo molto spesso a fare avanti e indietro tra le varie porzioni di gioco, ci torneranno particolarmente utili gli ancoraggi: si tratta di portali che una volta sbloccati uccidendo i nemici che li presiedono, si apriranno e, oltre a permettere a Benedict di fissare l’inchiostro ottenuto dai nemici sconfitti per evitare di perderlo con la morte e a rifornire la sua scorta di oggetti consumabili, fungeranno da teletrasporto tra tutti quelli scoperti e ci permetteranno anche di tornare alla Villa, una zona tranquilla e “reale” in cui il giocatore può rifiatare ed organizzarsi dopo ogni discesa nella dimensione onirica del Limbo.

Ma dove devo andare? Ma cosa devo fare?

Queste sono due domande che ci faremo molto spesso e sono anche un ottimo modo per aumentare la già citata longevità del titolo di almeno il doppio.

Intendiamoci, un giocatore abituato ai metroidvania di vecchio stampo, potrebbe non riscontrare alcun problema nell’esplorazione e nella risoluzione degli enigmi ma, per tutti gli altri, le cose non saranno così immediate. In The Last Case of Benedict Fox infatti, non si è accompagnati e agevolati in nessun modo nella risoluzione della trama. Questo non è assolutamente un difetto, anzi, però potrebbe scoraggiare ad andare avanti, soprattutto nelle prime fasi del gioco in cui il nostro alter ego non è munito di molti strumenti utili a proseguire e in cui bisogna quindi affidarsi totalmente al proprio intuito.

A tal proposito gli sviluppatori del gioco vengono in nostro soccorso: dal menù delle opzioni, infatti, sarà possibile diminuire e aumentare la difficoltà di combattimento, esplorazione ed enigmi in qualsiasi momento e senza alcun tipo di conseguenza o malus. Addirittura diminuendo la difficoltà degli enigmi, quest’ultimi si risolveranno in automatico agevolando non poco i giocatori ma anche snaturando molto lo spirito del gioco, che, se preso nella giusta maniera e con un po’ di pazienza, riesce ad appagare e a dare belle soddisfazioni.

Questo me lo porto, non si sa mai

Durante le numerose scorribande investigative, Benedict può usufruire di alcuni strumenti molto importanti per la sua sopravvivenza. Sarà munito infatti, fin da inizio avventura di una pistola a razzi, che gli permetterà di eliminare i nemici dalla distanza, e una baionetta, che oltre a consentirgli di attaccare a distanza ravvicinata, gli darà la possibilità di ricaricare la sua arma da fuoco grazie proprio agli attacchi corpo a corpo andati a buon fine.

Oltre a queste due armi a sua disposizione, con l’esplorazione della vasta mappa di gioco entrerà in possesso di altri oggetti, alcuni dei quali propedeutici al proseguimento dell’avventura, come per esempio una torcia elettrica che gli permetterà di entrare in zone buie, oscure e decisamente poco ospitali altrimenti inaccessibili.

Questi e altri strumenti sono potenziabili nella Villa, parlando con determinati NPC. Tra loro ci sono Harry, un uomo ambiguo che svolgerà il ruolo di negoziante vendendoci apparecchiature nuove e upgradando appunto quelle già in nostro possesso, e il Fabbro, che invece migliorerà le nostre armi. Entrambi ci concederanno i loro servigi in cambio di alcuni frammenti ottenibili scovando oggetti nascosti in tutta la mappa di gioco.

Oltre a loro molto importante è anche la Tatuatrice, un donna misteriosa che, in cambio di inchiostro ottenibile dai nemici uccisi nel Limbo, tatuerà dei simboli sulle braccia del protagonista, aumentandone l’affinità con il Compagno e facendogli di conseguenza apprendere nuove abilità essenziali per il prosieguo dell’avventura. Riguardo a quest’aspetto non viene data alcuna libertà al giocatore che dovrà sbloccare le abilità una dietro l’altra senza possibilità di scelta o personalizzazione alcuna.

Chi trova un amico non sempre trova un tesoro!

Il Compagno sarà il mezzo più efficace per difendersi e per esplorare con efficacia i cunicoli intricati che il titolo ci propone: grazie alle sue capacità infatti, il protagonista sarà in grado di creare barriere demoniache in grado di parare gli attacchi nemici e di respingerli se eseguita con il giusto tempismo; afferrare i nemici e sbatterli a terra; eseguire scivolate e soprattutto afferrarsi a sporgenze ed eseguire doppi e successivamente anche tripli salti.

Quanto appena descritto dovrebbe contribuire a rendere il gioco molto dinamico e avvincente almeno sotto il profilo dell’interazione con i nemici, ma non a caso ho usato il condizionale. Se infatti, come detto in precedenza, dal punto di vista della risoluzione degli enigmi, a chiunque sia disposto a dedicargli del tempo, il gioco riesce a regalare qualche bella soddisfazione, non si può purtroppo dire lo stesso del combattimento e in parte dell’esplorazione.

Le abilità del Compagno sono per lo più imprecise e i movimenti del protagonista risultano goffi e impacciati: capiterà molto spesso di vedere un doppio o triplo salto andare male e portare in alcuni casi, alla morte involontaria di Benedict, oppure di attaccare un nemico con il giusto tempismo ma di non avvertire la giusta reattività dei comandi. Insomma si avvertirà per tutta la campagna una certa legnosità, dovuta all’imprecisione dei comandi, a un ritardo degli input e alla mancata rifinitura delle hitbox, portando la tanto acclamata dinamicità ad essere soltanto valida sulla carta, con mosse e movenze anche belle da vedere, ma per niente soddisfacenti a livello di gameplay.

Anche il lato tecnico, purtroppo, mostra il fianco a più riprese. Ogni volta che si passerà da una zona a un’altra, infatti, ci saranno dei fastidiosissimi attimi di lag e le cose non andranno meglio quando saremo circondati da più di tre nemici a schermo. Ci sono poi sezioni di gioco afflitte da bug e, almeno su console, può capitare qualche crash durante le cutscene.

Commento finale

The Last Case of Benedict Fox avrebbe potuto utilizzare molto meglio il suo grande potenziale, coadiuvato anche da un’atmosfera lovecraftiana, che non è stata però sfruttata a dovere, regalandoci sì un bella ambientazione (anche se fine a se stessa) e alcuni buoni enigmi, ma anche un prodotto finale poco rifinito e abbozzato, che avrebbe necessitato sicuramente di un collaudo e forse anche di più tempo.