Recensione The Hunter: Call of the Wild
di: Simone CantiniAh, la cara e vecchia continuità editoriale. Quello strano meccanismo secondo il quale si ritiene giusto far seguire un determinato filone dalla stessa persona, di modo da poter fornire un parere quanto più omogeneo possibile in merito alle varie declinazioni di una data tipologia di prodotto. Un po’ come il notaio figlio di notaio, simbolo di quella casta che da anni si cerca invano di smantellare, l’esperto di produzioni sportive tenderà ad accentrare attorno alla propria persona ogni espressione digitale del genere, lo stesso capita al ruolista incallito e, quando dice proprio male, un discorso analogo si può applicare alle simulazioni venatorie. Ed ecco spiegato perché oggi vi parlerò di The Hunter: Call of the Wild.
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Bambi, dove sei?
Solo pochi mesi fa mi ero avventurato, fucile ben saldo in spalla, per i boschi di Hunting Simulator, finendo con l’uscirne tutto sporco, infangato e con il tascapane desolatamente vuoto. Sia di carni prelibate che di un più impalpabile entusiasmo. Oltre ai limiti tecnici e ludici della produzione Neopica, già evidenziati a sufficienza in sede di recensione, a lasciarmi interdetto era stato prevalentemente il gameplay, dannatamente lento e compassato come vuole la tradizione venatoria reale, ma di sicuro non proprio entusiasmante se traslato all’interno di un plasticoso pad. È bene, dunque, evidenziare come anche il cuore pulsante di The Hunter: Call of the Wild batta a ritmi decisamente blandi, tratteggiando una produzione di sicuro non adatta agli amanti del grilletto facile, ma che sicuramente farà la gioia di coloro che non disdegnano passare anche decine e decine di minuti a braccare uno scattante cervo. Messa così il voto che campeggia in fondo al pezzo potrebbe stridere assai con quanto appena scritto, ma pur condividendo un’impostazione assai vicina al citato Hunting Simulator, The Hunter: Call of the Wild riesce a beneficiare di una cura assai maggiore, unita ad alcuni aspetti meno realistici e più giocosi, in grado di mediare con efficacia rigore e divertimento. Il meccanismo alla base del tutto sarà sempre il medesimo, pertanto passeremo gran parte del tempo ad esaminare le tracce lasciate dagli animali, a seguirne le piste, stando attenti a rimanere sottovento per non farci scorgere anzitempo dalle prede, senza lasciarci prendere dalla smania di lanciarci in folli corse, tanto rumorose quanto utili soltanto a spaventare la fauna. All’interno delle due enormi riserve in cui è possibile cacciare (la cui superficie totale è di circa 130 kilometri), non mancheranno punti di osservazione da scoprire e che, in perfetto stile Assassin’s Creed, serviranno a fornirci una panoramica completa dell’ambiente circostante. In alcuni spot sarà, inoltre, possibile costruire zone di appostamento, utilissime per attirare, magari per mezzo di qualche esca, l’animale prescelto. Potremo, inoltre, accedere a rifugi presso i quali riposare, oppure investire il denaro guadagnato per incrementare il nostro personalissimo arsenale, capace di annoverare i fucili più disparati, magnum e l’immancabile arco. Il sistema di reward di The Hunter: Call of the Wild è basato sulla precisione dei colpi, in maniera analoga a quanto visto in Hunting Simulator: colpire la preda in un punto vitale, oltre ad ucciderla sul colpo e a risparmiarci la fatica di doverne tracciare la fuga, ci permetterà di ottenere un punteggio più elevato, con conseguente incremento del denaro e dei punti esperienza guadagnati. Oltre a fare i conti con l’intelligenza artificiale della fauna, invero ben realizzata e priva di comportamenti marcatamente discutibili, sarà necessario tenere presente la balistica delle varie armi che, pur non essendo simulativa in maniera intransigente, richiede un approccio ben più ponderato rispetto ai più canonici FPS.
Natura meravigliosa
Va da sé che se parliamo di esperienza viene immediatamente automatico pensare ad una spruzzata di elementi ruolistici, e sotto questo punto di vista The Hunter: Call of the Wild propone una gradevole, per quanto non profondissima, serie di meccaniche. Aumentare di livello, difatti, ci consentirà di ottenere alcuni punti, spendibili per sbloccare skill e perk specifici, tramite i quali accrescere le abilità del nostro alter ego, oppure migliorarne le prestazioni fisiche. Si tratta di una piacevole aggiunta che, unita ad un set di missioni (suddivise tra principali e secondarie) che ci verranno assegnate dalla nostra personalissima guida, contribuisce a variare il ritmo ludico, anche se è comunque doveroso rimarcare come il focus dell’intera produzione ruoti prevalentemente attorno alla volontà di esplorare liberamente le gigantesche mappe in cerca della preda perfetta. E fortunatamente il piacere di girovagare per gli ambienti viene coccolato da una cura grafica notevole, che può beneficiare dell’Apex Engine, lo stesso utilizzato in Just Cause 3 e Mad Max. Il motore Avalanche, difatti, si è dimostrato capace di proporre una colpo d’occhio davvero convincente, che va a braccetto con una serie di campionamenti ambientali ottimamente realizzati ed in grado rendere ancora più immersive le nostre avventure venatorie. Qualora, poi, preferissimo andare a caccia di bisonti o volpi in allegra compagnia, ecco giungere in soccorso un basilare multiplayer cooperativo, tramite il quale potremo unirci ad altri giocatori in battute collettive.
The Hunter: Call of the Wild, pur con tutti I limiti del genere di appartenenza, rappresenta un valido e per certi versi divertente simulatore di caccia. Anche non rinunciando alla dovuta dose di realismo, causa del ritmo ludico non certo frenetico, l’aggiunta di alcuni elementi di stampo ruolistico e di un set di missioni che esulano dal semplice abbattimento di un determinato animale, riesce a conferire alla produzione uno spessore in grado accontentare gli amanti del genere. E se aggiungiamo che non è neppure brutto da vedere non vedo perché non dovrei consigliarlo ai cacciatori virtuali.