Recensione The Flame in the Flood: Complete Edition
di: Marco LicandroThe Flame in the Flood è un survival game procedurale dalle dinamiche rogue-like, sulla falsa riga di Don’t Starve, nato dall’impegno comune di finanziare il progetto tramite Kickstarter messo in piedi da The Molasses Flood, un team di sviluppatori AAA provenienti da Irrational, Harmonix e Bungie. Il titolo ci vedrà impersonare i panni di una ragazza che per qualche motivo si troverà sola in mezzo al nulla, munita solo del suo bastone e della compagnia di un cane.
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Perché?
Se la domanda non vi si pone immediatamente iniziando al titolo, evidentemente siete così avvezzi al genere rogue-like, o avete speso così tante ore su Don’t Starve, che palesemente non ve ne importa nulla. Ecco quindi che prenderete in mano il destino di questa sconosciuta ragazza, nota con il solo nome di Scout, e del suo cane Aesop, portandola in giro a procacciare cibo, mantenere alta la temperatura stando accanto al fuoco, cucinare e costruirvi attrezzi per la sopravvivenza, il tutto stando attenti al fattore fame, sonno, freddo, e salute. Per farla breve, non morite. O ancora meglio… sopravvivete. Se dai vari trailer rilasciati su Kickstarter si era fatto intendere un certo plot narrativo, possiamo tranquillamente smentirlo in quanto non vi è trama di alcun genere, ma semplicemente un’ambientazione di una possibile terra post-apocalittica, quasi priva di persone ma colma di acqua.
Le regole nascoste
Da una parte il gioco, che spiega giusto il minimo indispensabile e non aiuta assolutamente il giocatore nell’impresa, dall’altra un sistema di gameplay procedurale che ci porta di isolotto in isolotto, ripetutamente, in questa ardua impresa di risalita del fiume, così da raggiungere la terra promessa che ci porterà in salvo. Questo almeno nella modalità campagna, che permette al gioco di concludersi, in quanto per i più masochisti vi sarà una modalità never-ending che vedrà invece aspirare al punteggio migliore prima di soccombere. Il gioco è basato ampiamente sul crafting, che sia esso di cibo, di utensili e attrezzi, o trappole contro gli animali più feroci. Il giocatore deve stare incredibilmente attento a valutare cosa portare con sé e cosa lasciare per strada, per via di un inventario incredibilmente limitato, il tutto calcolando anche dinamiche e tempistiche di gioco che non si impareranno alla prima partita. L’alternanza tra il giorno e la notte, la velocità con la quale i vari principi di fame e stanchezza si abbassano, la valutazione nel mettersi in viaggio calcolando le intemperie, sono tutti fattori che decideranno la vita o la morte della protagonista. E talvolta si tratta anche di avere una buona dose di fortuna. Occorrerà mangiare spesso, costruire gli attrezzi utili alla sopravvivenza, riposare e tenersi al caldo, evitando di rimanere esposti alle tempeste o di affrontare animali che ci romperanno letteralmente le ossa, riducendo drasticamente le probabilità di sopravvivenza.
Masochismo, più che sfida
Diciamolo apertamente: il gioco è estremamente frustrante in diverse occasioni, così come vuole la filosofia rogue-like. Data la creazione procedurale dei livelli, non potremo mai sapere che tipo di isolotto ci troveremo davanti, e di conseguenza non sapremo se vi sarà riparo, animali feroci, cibo, o strumenti utili per il crafting. Salire sulla zattera è ogni volta un rischio, e spesso la corrente sarà abbastanza forte da generare una fase platform, dove ad ogni minimo errore corrisponderà ad un danno al nostro mezzo, il quale necessiterà quindi tempo e risorse per essere riparato, diminuendo le nostre chance di sopravvivere. Fastidioso e frustrante è anche il sistema di collisione sul fiume che, se per qualche motivo vedrà la nostra zattera bloccarsi temporaneamente di fronte ad un ostacolo, continuerà a calcolare danni costantemente, così come se lo urtassimo ripetutamente per la prima volta. Imparare a giocare senza aiuti significherà sperimentare e morire parecchie volte, sperando di padroneggiare le regole del gioco per la prossima partita. Nella modalità classica, morire non è permanente, anche se sarà possibile abilitarlo come tale. Vi è una moltitudine di checkpoints automatici dai quali poter ricominciare in caso di morte, tuttavia questi non funzionano bene come dovrebbero, lasciandovi a volte rivivere gli ultimi attimi di vita, proprio a causa dell’essere troppo poco distanti dal game over, non lasciando al giocatore il tempo necessario per modificare proprio nulla e costringendovi comunque a ricominciare da capo.
La versione per Nintendo Switch
Il titolo giunge ora sul Nintendo Store anch’esso in versione “Complete Edition” che, se prima non lo abbiamo specificato, include semplicemente tutti quei miglioramenti, patch, e fixes rilasciati dal lancio del gioco fino ad oggi, oltre ai commenti del regista. Nulla di nuovo nel fattore gameplay, e questo significa niente controlli touch su schermo; ma se amate la portabilità, Flame in the Flood è un gioco che si presta estremamente bene in quanto single player, e dalla rigiocabilità pressocché infinita grazie alla struttura procedurale del titolo, cosa estremamente gradita in particolare nella modalità Survival magari durante un lungo viaggio.
Conclusione
The Flame in the Flood spinge il giocatore a pianificare ogni secondo ed azione, spingendolo a morire ripetutamente così che l’esperienza faccia da guida. Un titolo sicuramente non consigliato ai molti, sia per via delle dinamiche di gioco, che per il livello di sfida che va dal frustrante al masochista. Tuttavia una volta presa la mano, e superata l’iniziale fase da rage quit, vi è come una sorta di soddisfazione nel superare la notte, pronti per affrontare un’altra giornata nella speranza di risalire il fiume e concludere così l’avventura.