Recensione The Final Station
di: Simone CantiniViste sempre più come le salvatrici della patria videoludica, le produzioni indipendenti sembrano aver perso lo smalto innovativo che le aveva caratterizzate in principio. Oramai avviluppate su stesse, imprigionate all’interno di schemi anche essi triti ed abusati (credo di avervi detto di quanto siano riuscite a farmi odiare i twin stick shooter),imbrigliate all’interno di gameplay talvolta inesistenti, spacciati per chissà quali elevate espressioni artistiche, capita talvolta che la scintilla dell’originalità si sposi anche con una consistenza ludica di tutto rispetto: è questo il caso di The Final Station.
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Long train running
In una mattina come tante il nostro pixelloso protagonista (sì, siamo sempre in odore di 8-bit, ma non è tutto così brutto come sembra: ci arriveremo tra poco) si sveglia per recarsi a lavoro, che altri non è che quello del macchinista di treni. La routine scivola velocemente via, binario dopo binario, finché notizie di un misterioso conflitto e la presenza dei militari all’interno di una stazione finiscono per spazzare brutalmente via il tutto: gli esseri umani, colpiti da una misteriosa epidemia, si stanno rapidamente trasformando in mutanti assetati di sangue e noi rappresentiamo uno degli ultimi baluardi di speranza dell’umanità. A bordo del nostro treno, difatti, saremo chiamati a portare provviste, messaggi e passeggeri di stazione in stazione e, contemporaneamente, a rastrellare i centri abitati oramai in rovina in cerca di cibo, medicinali e superstiti. La premessa, pur trattandosi dell’ennesima rivisitazione della classica epidemia zombie, è quanto mai originale, al pari del particolare gameplay che anima The Final Station.
Lotta per la sopravvivenza
La produzione Do My Best si può suddividere in due tronconi ben distinti: nel primo saremo chiamati a gestire il nostro mezzo di locomozione, regolandone i vari sistemi di modo da non sovraccaricare il generatore che lo alimenta. Dovremo poi occuparci del benessere e della salute dei nostri passeggeri, portando cibo agli affamati e curando i feriti. È in questi momenti che potremo utilizzare anche un elementare sistema di crafting utile a creare medicinali, oltre che ricevere comunicazioni dagli altri avamposti. Le cose cambiano radicalmente una volta raggiunta la stazione di riferimento e scenderemo a terra: qui verranno abbandonate le meccaniche gestionali ed il tutto assumerà i contorni di un vero survival in 2D. Ci ritroveremo a vagare in zone infestate da mutanti alla ricerca del codice che ci permetterà di riprendere il cammino. L’occasione sarà anche utile per racimolare cibo e materiali, oltre che a mettere in salvo eventuali superstiti. Ovviamente dovremo fare attenzione anche alle creature ostili che pullulano le varie zone e che potremo scegliere di evitare oppure di combattere, sfruttando alcune armi da fuoco o in alternativa gli elementi interattivi dello scenario (scatole, sedie, ecc.). Il tutto è gestito da un sistema di controllo estremamente semplice, ma funzionale ed immediato.
Il pixel che crea un’atmosfera
Oramai è prassi consolidata soffermarsi a parlare di stile, più che di realizzazione tecnica, quando ci si trova ad analizzare un indie e The Final Station non sfugge certo a questa regola, uscendone però vincitore. A dispetto della classica ed abusata grafica in pixel art, la direzione artistica della produzione Do My Best è quanto mai azzeccata e capace di trasmettere una palpabile sensazione di tensione pur quando ci si trova a sfuggire ad un manciata di pixel. Aiuta, in questo senso, la colonna sonora decisamente minimale e malinconica, capace di calarci all’interno della realtà impazzita che fa da sfondo alle vicende di gioco. Impossibile però chiudere un occhio sulla pessima realizzazione dello scarno menu principale e dalla scelta di adottare un set di caratteri dalle dimensioni minuscole, fattore che rende difficoltosa la lettura dei testi presenti a video e che sono indispensabili per venire a capo della trama di gioco. Ed il fatto che il tutto sia localizzato unicamente in inglese non aiuta neppure un po’.
The Final Station rappresenta un’esperienza indipendente di tutto rispetto, forte di un’identità e di un’originalità ben definite. Riscrivere l’ennesima apocalisse simil zombie era un’impresa da non sottovalutare ed il rischio di trovarsi al cospetto della solita, mediocre, imitazione di clichè incancreniti era dietro l’angolo. Do My Best è riuscita però nell’ardua impresa di coniugare tra loro due distinte esperienze che, pur peccando alla lunga di ripetitività, rappresentano una boccata d’aria fresca nel panorama dei survival a base di morti viventi.