Recensione The Cub
di: Simone CantiniNe Il Libro della Giungla, l’immortale capolavoro dello scrittore britannico Rudyard Kipling, si narra di un bambino abbandonato dagli umani e cresciuto nella giungla assieme ad un branco di lupi. E non è certo un caso che la raccolta di storie in questione sia anche uno dei primi collezionabili che è possibile rinvenire in The Cub, dati gli enormi punti di contatto che, almeno a livello puramente narrativo, sono presenti tra le due opere. Sono molte alte, comunque, le contaminazioni che si agitano sotto la superficie del lavoro firmato Demagog Studio, capaci di presentare un’ironica critica a molti aspetti e marchi del nostro presente, in quello che è un semplice platform vecchia scuola, che punta forte sul proprio fascino visivo, piuttosto che verso ardite soluzioni ludiche.
I figli degli uomini
In un imprecisato futuro, come spesso accade nelle opere di finzione, la nostra cara Terra ha finito per soccombere ad un funesto cataclisma, figlio dell’aumento dell’inquinamento e dello sfruttamento intensivo delle sue risorse. Abbandonata oramai ogni speranza di sopravvivenza, gli autori di questo disastro annunciato vedono bene di organizzare una migrazione in massa sul pianeta Marte, anche se sui lucenti razzi spaziali preposti al trasloco forzato, purtroppo, non c’è spazio per tutti. Tra i reietti costretti a morire sul proprio suolo natio, troviamo anche i bambini di questo mondo in rovina, i quali però finiscono per adattarsi miracolosamente alle pericolose condizioni atmosferiche, divenendo gli unici proprietari, assieme agli animali, dell’azzurra sfera celeste. Tra questi troviamo anche il nostro piccolo protagonista di The Cub, che si troverà a dover difendere la propria casa dagli esuli, pronti a tornare sul luogo del delitto per depredare le poche risorse rimaste, e capire se sussistono le condizioni per la sopravvivenza umana. Un’esile speranza incarnata proprio dal nostro eroe, capace di respirare senza l’ausilio di fastidiose tute spaziali, che diviene così oggetto di una caccia serrata, nel tentativo di mettere le mani su questo individuo così particolare.
Un racconto che, pur nella sua brevità (parliamo di poco più di 3 ore per giungere ai titoli di coda), mette in scena una vicenda ben delineata nella sua smaccata natura derivativa, in cui si sfrutta il setting futuristico per ironizzare su molti aspetti della nostra attuale società: Walfart, Fakebook ed Orinoco, sono solo alcuni dei nomi che si confondono tra articoli di giornale, libri perduti e spezzoni di vecchi film, e che contribuiscono a rendere così attuale lo scenario tratteggiato da ragazzi di Demagog. A Fungere da ideale cornice narrativa accessoria, troviamo Radio Nostalgia da Marte, un’emittente radiofonica che ci accompagnerà per tutta l’avventura, alternando monologhi a tratti stranianti e canzoni in modo assai efficace, e che riesce a fornire interessanti retroscena sul destino della razza umana.
Jump and run
Ispirato ai classici platform anni ’90 come Aladdin o Il Re Leone, The Cub riesce a riportare felicemente sullo schermo simili espressioni ludiche, presentando un gameplay che strizza l’occhio alle esperienze old school. L’azione è molto semplice, con il nostro protagonista che potrà unicamente correre e saltare e che risulterà inerme dinanzi alle varie minacce umane (e non) che gli si pareranno lungo la strada. Al netto di un moveset tanto essenziale, il level design generale riesce a proporre una buonissima serie di situazioni, che spaziano dalla soluzione di semplicissimi enigmi ambientali, a fasi puramente platform, ad altre stealth e a momenti simili a corse ad ostacoli vere e proprie. I ragazzi di Demagog sono riusciti a mettere in piedi un’esperienza dal ritmo molto buono e caratterizzata da una spiccata varietà. Certo, in alcuni frangenti i controlli non sono risultati sempre impeccabili, soprattutto in occasione delle fasi platform più pure, ma si è trattato di episodi tutto sommato abbastanza isolati, e non in grado di affossare in modo significativo la produzione.
Più ingente e marcato, invece, è stato il ricorso al trial and error che, soprattutto in una particolare sezione (maledetti carrelli della miniera!) mi ha visto costretto a ripetere più e più volte la sezione. Sebbene l’esplorazione generale sia ridotta ai minimi termini, ingente è il numero di collezionabili che è possibile reperire nel gioco e che, come già detto, comprenderanno articoli di giornale, spezzoni di vecchi film, libri e molto altro, così da garantire anche un pizzico di rigiocabilità al tutto, qualora ci fossimo lasciati qualcosa alle spalle, data anche la possibilità di selezionare il capitolo desiderato (a patto di averlo superato). Peccato, però, che non venga indicato la posizione degli eventuali oggetti perduti…
Il suono della solitudine
È sufficiente avviare The Cub per rimanere letteralmente rapiti dal suo peculiare e riuscito stile grafico, apparentemente assai retrò, ma forte di alcune chicche estremamente moderne e contemporanee. Un’estetica dalle influenze fortemente old school, ma dotata di un dettaglio e di una pulizia generale assolutamente invidiabili. A colpire è innanzitutto il modo in cui questa Terra futuristica (e futuribile) viene messa al centro della scena, in un mix di elementi urbani e naturali sapientemente fusi tra di loro. Echi di The Last of Us ed Enslaved: Odyssey to the West sono palpabili ad ogni passo, ma non mancano anche elementi di stampo cyberpunk o di stile puramente miyazakiano (impossibile non ritrovare Conan nei razzi che fuggono dal cataclisma e nei palazzi diroccati avvolti dalla vegetazione). Un connubio tra naturale ed animale che si contrappone al freddo metallo e alla spietatezza degli avidi esuli, pronti ad usurpare nuovamente ciò che hanno già rovinato in precedenza, incuranti di chi si è preso cura di questa eredità squassata. Un tripudio di colori e biomi molto vari tra di loro, in cui in parte stona l’animazione della corsa del nostro piccolo protagonista, a tratti davvero sottotono rispetto a ciò che anima il resto: scelta voluta o semplice scivolone?
Una menzione a parte, poi, deve essere riservata al comparto sonoro della produzione, invero capace di risultare un vero e proprio protagonista aggiuntivo dell’esperienza: la playlist ed il DJ di Radio Nostalgia da Marte ci accompagneranno per (quasi) tutta la durata dell’avventura, sottolineando in modo sempre puntuale e sottile ciò che avviene sullo schermo, oltre a giocare in maniera assai subdola con le storture che hanno portato alla rovina il mondo di gioco. Il tutto è sublimato alla perfezione dalla impressionante tracklist originale che anima il tutto, in cui brani elettronici, chiptune, pop e cantautoriali si alternano senza soluzione di continuità, come un esplicito omaggio (parole dello stesso speaker) tributato a quella Terra perduta e mai dimenticata. Purtroppo è assente la localizzazione audio e testuale in italiano (solo sottotitoli in svariate lingue, tranne la nostra), situazione che a seconda del vostro grado di comprensione dell’inglese parlato, potrebbe portarvi a perdere qualche passaggio nei momenti più concitati dell’azione.
Il figlio dell’uomo è al centro del racconto portato avanti da The Cub, un protagonista ribelle e pronto a non fare sconti a coloro che lo hanno costretto, assieme ai propri compagni di sventura, a scendere a compromessi con un mondo reso ostile dall’avidità umana. E lo fa per mezzo di un platform vecchia scuola tutto sommato assai convenzionale, che si gioca gran parte delle proprie carte per quanto concerne l’azzeccatissimo stile grafico utilizzato, capace di mettere in scena un mondo futuristico assai riconoscibile, pur nel suo essere inevitabilmente derivativo. Sorretto da un buonissimo ritmo e da una discreta varietà di situazioni, pur in presenza di un moveset assai basico, il titolo Demagog Studio saprà catturare tutti coloro che decideranno di avvicinarsi e che, tra una citazione ed un brano di Radio Nostalgia da Marte, non potranno che interrogarsi un poco in merito al futuro del nostro bistrattato Pianeta Azzurro.