
Recensione The Alters
di: Luca SaatiThis War of Mine, Frostpunk e ora The Alters. È innegabile la capacità di 11 bit studios di sapersi distinguere in un mercato videoludico sempre più in espansione, affermandosi come uno di quei team che osa con coraggio, creando prodotti unici ma comunque capaci di attirare l’attenzione del pubblico.
Con The Alters, in particolar modo, è stato amore a prima vista, forse anche più che con i precedenti titoli dello studio. Sarà per la sua ambientazione fantascientifica, o per il concept narrativo che — nonostante tragga ispirazione da altre opere della cultura sci-fi — ha subito suscitato in me un forte interesse.

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L’attacco dei cloni
The Alters inizia a seguito di un incidente che vede il protagonista, Jan Dolski, come unico sopravvissuto dell’equipaggio della missione spaziale Project Dolly. L’obiettivo di questa missione è il Rapidium, una risorsa rarissima che accelera la crescita organica, rendendo possibili sviluppi che normalmente richiederebbero anni in poche ore. L’idea iniziale era quella di sfruttare questa risorsa per risolvere i problemi di scarsità alimentare sulla Terra; tuttavia, l’incidente che coinvolge Jan cambia completamente le carte in tavola.
Il protagonista è bloccato su un pianeta inesplorato, con una base sgangherata e, sullo sfondo, la minaccia di una tempesta solare pronta a incenerire qualsiasi cosa incontri. Quella di Jan diventa dunque una corsa contro il tempo, in cui deve raccogliere risorse per riparare la base e fuggire da un mondo inospitale.
Un’impresa tutt’altro che semplice, poiché Jan non possiede le competenze necessarie per effettuare le opportune riparazioni. È qui che entrano in gioco gli Alters: dei cloni di sé stesso creati con il Rapidium. Tramite l’albero dei ricordi del protagonista e l’uso del Rapidium, il computer quantistico installato nella base può generare vite parallele modificando i momenti chiave della travagliata esistenza di Jan, segnata da eventi traumatici come la morte della madre per malattia e la violenza di un padre alcolizzato.
Nonostante le tante contaminazioni dai classici racconti della fantascienza moderna, The Alters è prima di tutto un’opera che scava nel profondo dell’identità del protagonista, attraverso le sue molteplici personalità alternative, che emergono gradualmente man mano che vengono creati nuovi cloni. Avere a che fare con ognuno di loro significa per Jan confrontarsi con le proprie scelte passate e gestirne le conseguenze psicologiche.
Ma non sono solo le decisioni del passato a influenzare la narrazione: anche le scelte del giocatore hanno un peso determinante. Il gioco è ricco di dialoghi con gli Alters, e una frase sbagliata al momento sbagliato può portare a conseguenze anche drammatiche — cloni che si rifiutano di eseguire ordini, altri che cadono in depressione, fino ad atti di autolesionismo o, nei casi peggiori, tentativi di ammutinamento con l’obiettivo di eliminare Jan.
Il tutto fa da sfondo a una trama che, nelle sue oltre 20 ore di gioco, mantiene vivo l’interesse del giocatore, stimolando la curiosità con una buona dose di misteri e segreti da scoprire.

Tra survival e base builder
L’esperienza di gioco con The Alters si può sostanzialmente dividere in due parti.
Innanzitutto abbiamo l’esplorazione del pianeta, che si svolge con la classica visuale in terza persona. In queste fasi l’esplorazione ricorda a tratti quella di un metroidvania, grazie alla possibilità di sbloccare scorciatoie se si è muniti di appositi accessori — come un rampino o un laser capace di distruggere pareti rocciose. Inoltre, è presente una componente crafting che richiede di individuare i depositi, analizzarli tramite sensori, posizionare la scavatrice per estrarne le risorse e, infine, piazzare lungo il percorso verso la base dei beacon per trasferire automaticamente il bottino raccolto.
La gestione della base, invece, ricorda in parte la serie XCOM, con una visuale laterale che permette sia una panoramica completa dell’impianto, sia uno zoom per controllare da vicino le attività del protagonista. Qui è possibile spendere le risorse raccolte per costruire nuovi moduli della base e sbloccare potenziamenti da utilizzare durante l’esplorazione. Ma sotto la superficie, il sistema nasconde numerosi elementi gestionali.
Gli Alters, infatti, hanno i propri bisogni: da quelli primari, come la richiesta di un dormitorio per riposare su un letto vero, ad altri più specifici, come il bisogno di uno psicologo per affrontare il trauma della loro condizione, o il desiderio di consumare pasti di qualità superiore. Come facilmente intuibile, la gestione della base e dell’equipaggio impone al giocatore delle scelte difficili: concentrarsi sul benessere degli Alters, rallentando però la crescita della base, o puntare allo sviluppo rapido rischiando però tensioni, conflitti o crisi personali?
La chiave del gioco sta proprio nel trovare il giusto equilibrio, valutando di volta in volta dove convenga investire tempo e risorse. Un altro elemento fondamentale è la specializzazione di ogni Alters: il minatore, ad esempio, è più efficiente nell’estrazione delle risorse; lo scienziato può lavorare in laboratorio per occuparsi di ricerca e sviluppo, e così via.
E su tutto questo incombe lo scorrere inesorabile del tempo, che scandisce il ritmo dell’esperienza. Durante il giorno è possibile esplorare il pianeta senza particolari problemi, ma con l’arrivo della notte le radiazioni diventano letali, rendendo rischiosa ogni permanenza all’esterno. In questi momenti conviene rientrare alla base, dove si può dedicare qualche ora alla gestione delle attività prima di andare a dormire e garantire al protagonista il giusto riposo per affrontare al meglio la giornata successiva.
La gestione del tempo diventa quindi parte integrante dell’esperienza, costringendo il giocatore a bilanciare l’esplorazione dei segreti del pianeta con la crescita della base e la cura del fragile ecosistema umano costruito attorno a Jan e alle sue molteplici identità.

The Alters è un’opera complessa, in cui è necessario tenere conto di numerosi aspetti per evitare un game over anticipato. La difficoltà risiede proprio nel comprendere e padroneggiare tutte le dinamiche descritte finora, e non è raro dover ricaricare un salvataggio precedente (il gioco salva automaticamente all’inizio di ogni giornata) per rimediare a un errore: che si tratti di una risposta sbagliata a un clone, culminata in una rivolta, o di una prolungata esposizione alle radiazioni notturne del pianeta.
Il rischio ripetitività è sempre dietro l’angolo, e non è aiutato da una struttura di gioco che, sebbene ricca di elementi da tenere sotto controllo, tende a rinchiudere il giocatore in un loop di gameplay che, alla lunga, potrebbe risultare tutt’altro che stimolante.
The Alters è suddiviso in atti: in ognuno di essi bisogna trovare un modo per permettere alla base di superare un ostacolo entro un certo limite di tempo. All’inizio di ogni atto, però, la mappa si resetta, costringendo il giocatore a ricominciare da capo — tra l’esplorazione di una nuova area e la raccolta di risorse indispensabili per la sopravvivenza. Il tutto sempre con un timer che scandisce ogni azione, lasciandomi spesso con l’amaro in bocca per non essere riuscito a fare tutto ciò che volevo. Un po’ come accadeva con il tanto (e per me fin troppo) osannato Dead Rising, con il suo odioso countdown.
E poi ci sono i cloni, che vanno costantemente rassicurati, finendo spesso per perdersi in chiacchiere inutili. Nelle fasi più avanzate dell’avventura, quando il loro numero inizia a farsi importante, questi dialoghi rischiano di appesantire l’esperienza, spezzando il ritmo e aumentando la sensazione di fatica nella gestione complessiva.

Cloni troppo uguali
Sebbene 11 bit Studios sia ormai un team affermato e ben lontano da quell’etichetta indie che ne ha caratterizzato le prime uscite, devo ammettere che The Alters è riuscito a sorprendermi con il suo stile visivo. Il comparto artistico, infatti, è decisamente ispirato e rende l’esplorazione del pianeta un vero piacere per gli occhi, supportato da performance solide nella versione Xbox Series X da me testata.
Il tutto è accompagnato da un ottimo audio ambientale e da una colonna sonora atmosferica che si adattano perfettamente al contesto narrativo e ludico. Dove invece The Alters mostra un po’ il fianco è nella caratterizzazione fisica e facciale degli Alters: sebbene ciascuno abbia una propria identità psicologica, a livello estetico risultano troppo simili tra loro, rendendo meno incisiva la loro diversità esistenziale.
Infine, è doveroso segnalare una buona e una cattiva notizia.
La buona è che la versione console può vantare un ottimo adattamento ai controlli tramite joypad, un risultato tutt’altro che scontato per un gestionale — genere da sempre più vicino alla combinazione mouse e tastiera.
La cattiva è che, a differenza dei precedenti lavori dello studio, The Alters non è tradotto in italiano. Una scelta che lo rende difficilmente consigliabile a chi non si sente a proprio agio con l’inglese, soprattutto considerando l’elevata quantità di dialoghi che possono influenzare in modo significativo il corso della storia.
Resistere e sopravvivere
The Alters è un’esperienza che osa, che mette al centro l’identità, le conseguenze delle scelte e il peso dei rimpianti, riuscendo a trasmettere un senso di urgenza e solitudine difficilmente riscontrabile altrove. La gestione dei cloni, il bilanciamento tra benessere e produttività, e la pressione del tempo trasformano ogni giornata su quel pianeta ostile in una partita a scacchi psicologica contro sé stessi.
Non è un gioco perfetto: alcune meccaniche gestionali tendono a diventare ripetitive, il reset ciclico della mappa può risultare frustrante, e l’assenza della lingua italiana limita l’accessibilità. Tuttavia, grazie a un comparto artistico curatissimo, a una scrittura profonda e a un’ambientazione fantascientifica d’impatto, The Alters merita attenzione. È una scommessa coraggiosa, che forse non piacerà a tutti, ma che riesce nel suo intento più importante: lasciare il segno.