Recensioni

Recensione Tamarin

di: Simone Cantini

C’era una volta un team che, ad ogni uscita, riusciva ad innalzare l’asticella della qualità, grazie a personaggi e titoli oramai scolpiti nella memoria degli appassionati. Che si trattasse di un agente segreto al servizio di Sua Maestà, oppure di un orso ed un uccello, quando sulla confezione compariva il nome Rare si poteva procedere all’acquisto senza troppe remore. Certo, il team esiste ancora, seppur mutato e lontano dai fasti che furono (salvo future sorprese), ma ciò nonostante la sua anima è ancora viva, grazie ai team satellite nati dalla volontà di non arrendersi di alcuni veterani della gloriosa software house. Ultimo arrivato é Chameleon Games, che debutta su PS4 grazie a Tamarin, platform/ation 3D che strizza più di un occhio al retaggio della Rare che fu.

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Fuoco e fiamme

Protagonista della nostra avventura è il dolcissimo Tamarin, un piccolo primate che vive felice nella sua casetta, assieme alla famiglia. Come vuole la tradizione videoludica, però, la quiete sembra non esistere nelle location digitali, quindi ecco che la tranquillità di questa piccola oasi felice viene ben presto messa a ferro e fuoco da delle bellicose formiche, che danno alle fiamme ogni cosa che incontrano e rapiscono i familiari di Tamarin. Il gioco inizia in mezzo alle rovine ardenti di quella che un tempo era la nostra abitazione, e ci vedrà intenti ad attraversare varie zone, tutte collegate dal livello hub composto dall’area iniziale, in cerca dei rapiti, il tutto condito da una spruzzata di elementi cari ai metroidvania. I vari stage, difatti, non saranno inizialmente esplorabili nella loro interezza, pertanto saremo costretti a tornare spesso sui nostri passi, una volta sbloccati particolari requisiti, così da poter procedere nell’avventura. L’azione di gioco è suddivisa in due distinti tronconi, con livelli in cui potremo sfruttare le doti acrobatiche del nostro Tamarin, così da poter saltare e rotolare in cerca delle lucciole utili ad aprire i vari portali che collegano i livelli. A queste zone, in pieno stile platform 3D, ecco che si affiancano stage in cui il piccolo eroe potrà dare sfogo alla propria furia omicida, creando così una straniante dissonanza visiva: grazie ad un porcospino, difatti, Tamarin potrà entrare in possesso di alcune armi da fuoco, che dovremo utilizzare per liberare i suddetti livelli dalle bellicose formiche, e contemporaneamente cercare di mettere in salvo degli uccellini, prima che gli insetti facciano loro la festa (e potremo ucciderli anche noi qualora non fossimo precisi nello shooting). L’avventura, durante le sue circa 7 ore necessarie a giungere alla conclusione, non risulta quasi mai proibitiva come difficoltà, con gli intoppi che compaiono più per difetti strutturali del gioco che non per una intrinseca osticità dell’esperienza. I problemi, difatti, risiedono tutti in uno sballato posizionamento dei checkpoint, oltre che alla presenza di sparuti oggetti in grado di ripristinare la nostra salute, elementi che mi hanno costretto più volte a ripetere corpose sezioni in caso di dipartita. Il difetto maggiore, però, risiede nella totale assenza di indicatori o mappe in grado di aiutarci a capire quale sia la direzione da prendere: vagare a vuoto per minuti, nella speranza di imbroccare il percorso giusto, non è mai piacevole, soprattutto se a ciò si aggiunge un backtracking obbligato.

Occhi da cucciolo

Strutturalmente, quindi, ci sono più ombre che luci in Tamarin, ma anche il gameplay nudo e crudo non risulta esente da qualche piccolo difettuccio. Se sulle fasi puramente platform c’è poco da dire, visto che comunque il tutto si comporta in modo più che dignitoso, sono le fasi shooter a mettere in campo qualche limite: prendere la mira per colpire gli avversari, difatti, è reso ostico da un mirino non troppo reattivo e che, per qualche inspiegabile ragione, presenta il lock on solo in presenza di avversari sopraelevati. E dire che nonostante l’aspetto cuccioloso, Tamarin può impugnare uzi, pistole, lanciagranate, lanciarazzi e shuriken, pertanto una maggiore attenzione in tal senso avrebbe sicuramente giovato, tenendo anche conto di quanto le sparatorie siano presenti nell’economia generale della produzione. Alti e bassi anche per quanto riguarda il comparto tecnico, che se è vero risulta davvero convincente negli esterni (ottima l’illuminazione), finisce per cadere davvero nell’anonimato più totale una volta che ci addentriamo negli stage al chiuso. Buonissime invece le animazioni di Tamarin, che gode anche di un design davvero molto curato e che ricorda a tratti l’EyePet di casa Sony, mentre più anonimi risultano essere i nemici, davvero scarni come caratterizzazione. Un plauso va invece tributato a tutto tondo alla colonna sonora, composta dal veterano David Wise, che grazie ad una manciata di brani riesce a dare un vero guizzo al debutto firmato Chameleon Games.

Innocuo. In una parola è racchiusa l’esperienza che Tamarin mi ha fatto vivere in questi ultimi giorni. Il primo lavoro di Chameleon Games, difatti, scorre via senza sussulti, come semplice ed insapore acqua corrente. Essenziale nel suo gameplay, con la presenza di elementi metroidvania a garantire un pizzico di freschezza, l’avventura firmata dagli ex Rare presenta però alcuni difetti in grado di minare la relativa semplicità della sua concezione. Ad un mondo di gioco decisamente caotico e confusionario da affrontare, ecco che si accompagnano massicce fasi shooting fiaccate da un feeling non certo stratosferico, incapaci di rendere giustizia al potenziale bellico del piccolo Tamarin. Un debutto non del tutto catastrofico, certo, ma neppure in grado di meritare una piena sufficienza.