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Recensione Stray Souls

di: Simone Cantini

Inutile, quando vedo un horror che mira a rinverdire i fasti di Silent Hill non riesco proprio a trattenermi, spinto dal desiderio di tornare ad assaporare le atmosfere della malata cittadina sul lago Toluca. Il tutto nonostante nel corso degli anni abbia sempre finito per venire deluso da questi ambiziosi epigoni, che nel migliore (e rarissimo) dei casi hanno finito solo per lambire i punti di forza di questo brand pronto a tornare (giusto stanotte grazie ad Ascension). Più frequenti, ahimè, sono invece i clamorosi buchi nell’acqua, i colpi a vuoto, le cocenti delusioni, i prodotti in grado di farmi pentire di aver anche solo osato avviarli. Sì, parlo proprio di te, Stray Souls.

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Così è, se vi pare

Protagonista di Stray Souls è il povero Daniel che, il giorno prima di compiere il suo diciottesimo compleanno, si trasferisce nella casa lasciatagli in eredità dalla nonna appena scomparsa e di cui aveva sempre ignorato l’esistenza. Tra un po’ di faccende domestiche da sbrigare ed una chat con una ragazza conosciuta su di un sito di incontri, la serata inizierà a prendere una brutta piega non appena strani fenomeni inizieranno a manifestarsi nell’abitazione, che tra rumori sospetti e l’apparizione fugace e malandrina dell’adorabile vecchina scomparsa, renderanno l’ambiente quanto mai disturbante. A peggiorare le cose ci penserà Martha, la ragazza della chat, in realtà vicina di casa di Daniel, che informerà il ragazzo di oscuri rituali che venivano condotti proprio tra quelle sinistre mura. Abbandonate in un lampo le iniziali premesse ben più stuzzicanti, Stray Souls si trasforma rapidamente in un concentrato di situazioni sconclusionate e prive di un qualsiasi senso logico, un guazzabuglio di eventi malamente connessi tra di loro in cui Daniel e Martha si muoveranno letteralmente a casaccio, spinti da motivazioni incomprensibili che porteranno a 3 distinti epiloghi altrettanto inconcludenti.

Certo, l’incipit non era tra i più originali, visto che parliamo di un culto malvagio che ha in un ragazzo il suo veicolo di compimento, una città silenziosa immersa in una nebbia innaturale e di creature deformi degne del peggiore incubo. Se state pensando a Silente Hill, siete sulla strada giusta, visto che Jukai Studio (team fondato dall’ex Bloober Team Artur Łączkowski), ha apertamente confessato di essersi ispirato al classico di casa Konami, riuscendo però solo a scalfire la superficie dell’immaginario creato a suo tempo da Keiichiro Toyama. Non bastano nebbia e allucinazioni a creare un horror d’atmosfera, soprattutto se ad accompagnare il tutto troviamo una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti, priva di qualsiasi forma di raziocinio e caratterizzata da dialoghi sin troppo spesso fuori luogo e da una regia capace di assemblare a casaccio i vari raccordi ludico/narrativi. E poi c’è il nostro povero Daniel, capace di spaventarsi a morte per un tuono, salvo rimanere impassibile alla comparsa di creature demoniache capaci di far scappare a gambe levate chiunque sia dotato di un minimo di intelletto. Capisco che quando ci si approccia ad un videogioco sia fisiologico lasciare spazio alla sospensione dell’incredulità, ma per mantenere intatto questo precario equilibrio è necessario che anche il prodotto in questione faccia la sua parte. E Stray Souls fallisce miseramente in tutto ciò, buttandoci in pasto a situazioni davvero prive di ogni logica, che ci porteranno ogni 5 minuti a chiederci perché si stia facendo quel determinato percorso.

Tante idee tutte confuse

Dato che il videogioco è un medium che solo in tempi relativamente recenti ha iniziato a basare parte del proprio successo sulla bontà della narrativa, si potrebbe anche chiudere un occhio sul risibile canovaccio che tiene in piedi le vicende di Stray Souls. Appunto, si potrebbe se il tutto fosse accompagnato da un gameplay in grado di prendersi la scena: purtroppo non è questo il caso del titolo Jukai Studio. Le meccaniche sono quelle classiche dei surival horror con camera over the shoulder, ma la presenza di una sola arma da fuoco (una pistola), condita dall’assenza di un qualsiasi tipo di inventario, finiscono per rendere il tutto assai banale, complici anche delle scelte di design che fatico a trovare comprensibili. A svettare in negativo in primis è proprio il pacing dell’esperienza che, esaurito il breve prologo, ci catapulterà in una labirintica foresta in cui ho trascorso mezz’ora (serio) a girovagare al buio, solo per ascoltare un paio di deliranti conversazioni telefoniche con Martha e rinvenire un documento (tra l’altro non più consultabile proprio per l’assenza dell’inventario), il tutto mentre infinite casse di munizioni e medikit comparivano ogni 3 passi. Tutti strumenti inutili vista la demenza artificiale che regola i nemici, che ho potuto tranquillamente evitare semplicemente correndo a perdifiato, sino a giungere all’area in cui ad attendermi c’era il boss di turno. Ecco, le boss fight sono un altro grosso tasto dolente di Stray Souls, visto che non offrono la benchè minima sfida, ma ci chiederanno semplicemente di mantenere la giusta distanza dall’obiettivo, che sarà sufficiente crivellare di proiettili per avere la meglio.

Poco cambia nel proseguo dell’avventura, che ci porterà ad attraversare un cimitero, una stazione di polizia, la città di Aspen Falls ed una casa sperduta nel nulla, tutte ambientazioni che non possono che riportare alla mente luoghi e situazioni viste nel Silent Hill originale, declinate però in peggio. Tra sparatorie obbligatorie in arene circoscritte da una nebbia dura come il cemento, corse disperate nella solita foresta in cui è impossibile orientarsi ed una boss fight finale in più fasi in cui non avremo possibilità di curarci (ovvio, dopo averci sommerso di roba nelle fasi più calme mi pare una saggia decisione), troveremo alcuni enigmi a spezzare un poco il ritmo. Puzzle che non sarebbero nemmeno male, se non fosse che il gioco si diverte spesso a suggerirci in modo errato le cose da fare, oppure a non dirci proprio nulla, lasciandoci in balia del caso. Condite il tutto con una leggibilità di alcuni percorsi necessari sballata, una progressione blindata che ci richiederà di interagire con determinati elementi nell’ordine previsto dal gioco, un gunplay appena sufficiente ed alcuni dialoghi a scelta multipla dall’impatto nullo, ed avrete ben chiaro come Stray Souls possa spaventare, ma solo per i motivi più sbagliati. Per lo meno in circa 5 ore vi toglierete il pensiero…

Beta testing, questo sconosciuto…

Leggere che il titolo è stato sviluppato per mezzo dell’Unreal Engine 5 potrebbe portare ad avere delle alte aspettative in merito alla resa generale, però anche in questo caso non è certo tutto oro quello che luccica. Sebbene il colpo d’occhio non sia affatto malvagio, sempre considerando che parliamo di un neonato team dalle dimensioni ridottissime, viene difficile passare oltre ai numerosi glitch e bug che affliggono il tutto. A balzare all’attenzione è la gestione della telecamera negli spazi ristretti, che tende a restituire un’immagine fastidiosamente traballante in simili frangenti, rendendo assai difficile (e snervante) controllare la visuale. Non mancano compenetrazioni sparse, capaci di interessare anche i nemici, con un caso particolare che ha visto un paio di avversari comparire all’interno di un edificio, così da rendere impossibile la loro uccisione, tra l’altro obbligatoria per proseguire.

Il quadretto continua con interazioni bloccate che mi hanno costretto a riavviare e blocchi del personaggio all’interno di alcuni elementi dello scenario. Un plauso, in negativo, va anche rivolto all’IA nemica, invero assai risibile, con questi poveri ammassi di carne incapaci attraversare una porta (emblematico lo scontro alla stazione di servizio) o anche solo di aggirare un ostacolo, situazione che li rende spesso innocui bersagli per i nostri colpi, soprattutto i boss. Interessante, invece, la resa facciale di Daniel realizzato per mezzo della tecnologia MetaHuman, capace di dare vita ad una mimica assai enfatica e realistica. Peccato che, anche in questo caso, tutto finisca per infrangersi bruscamente, dando vita ad espressioni che risultano spesso assai caricaturali, oltre che dannatamente fuori luogo rispetto al contesto. A risollevarsi da questo caos generale è il comparto sonoro, che ha soprattutto nell’effettistica generale il maggior punto di forza di Stray Souls, anche se devo capire come sia riuscito Akira Yamaoka a risultare nei credits della colonna sonora, dato che oltre a due note in croce non pare aver fatto molto di più. Buono il doppiaggio in lingua inglese, sprovvisto però di una localizzazione testuale in italiano, ma realizzata in svariate lingue, tra l’altro per mezzo di un font così microscopico da rendere preferibile l’ascolto diretto dei dialoghi (e gioco su di un 55 pollici).

Inutile girarci troppo attorno, Stray Souls è un gioco brutto senza alcun tipo di attenuante, capace di mandare a rotoli una premessa tutto sommato interessante nel giro di una manciata di minuti. Tra scelte di design incomprensibili, una sceneggiatura sconclusionata e priva di ogni logica ed un gameplay che non si risparmia bug e deficienze varie, il debutto di Jukai Studio è decisamente da dimenticare senza troppi problemi. Un horror sbagliato sotto ogni punto di vista, incapace di dare vita a quell’atmosfera disturbata e disturbante a cui ambiva, oltre che fiaccato da un gameplay che non riesce a risollevare in nessun modo una storia che prosegue sconnessa sino ai titoli di coda. Sarà per la prossima volta?