Recensione Star Trek: Bridge Crew
di: Simone CantiniSpazio, ultima frontiera. Cavolo, era quanto mai scontato iniziare così la recensione di un titolo dedicato ad uno degli esponenti più importanti della science fiction mondiale, eppure non ho saputo resistere. Devo confessare che su questo incipit ha influito molto anche il gameplay vero e proprio di Star Trek: Bridge Crew, visto che trattandosi di un titolo sviluppato attorno al PlayStation VR il senso di immedesimazione è stato decisamente più forte del solito.
accettare i cookie con finalità di marketing.
Il gioco della parti
Chi non ha mai sognato di vestire, anche solo per una volta, i panni del leggendario capitano Kirk, ma anche quelli di Picard, Archer e tutti gli altri? Oppure, perché no, sentirsi il Sulu, lo Scotty o chi altri di turno? Bene, nella produzione Ubisoft finalmente i vostri sogni più arditi e bagnati potranno trovare il loro giusto coronamento, dato che in questo riuscito gioco delle parti virtuale andremo proprio ad impersonare i membri del ponte di comando della nostra bella astronave di trekkiana memoria. Pensato come una sorta di party game cooperativo, in cui ognuno dei quattro player andrà a ricoprire uno dei ruoli disponibili (capitano, ingegnere, timoniere e tattico), Star Trek: Bridge Crew punterà tutto sull’affiatamento della ciurma ed ovviamente sulla vostra capacità di immedesimazione. Ciascuna delle postazioni utilizzabili ci permetterà di compiere determinate azioni, ognuna specificatamente legata all’incarico scelto ma che, per forza di cose, sarà dipendente anche dal comportamento degli altri compagni di avventura. La poltrona del capitano, forse il ruolo più ostico di tutti, ci vedrà impegnati come supervisori generali: sarà nostro dovere studiare la mappa stellare, annotare minacce ed obiettivi ed essere rapidi ad assegnare i vari ordini. Il timoniere, ovviamente, gestirà il movimento dell’astronave, mentre l’ingegnere si occuperà di distribuire la potenza tra le varie componenti della stessa, oltre a provvedere alle riparazioni. Al tattico toccherà gestire le due armi alloggiate a bordo, attivare scudi e sistemi di recupero passeggeri e sfruttare la scansione e l’hacking dei dispositivi ospitati sui velivoli che incontreremo.
Lavoro di squadra
Spiattellata così a schermo quella di Star Trek: Bridge Crew potrebbe sembrare una struttura ludica lontana anni luce (tanto per rimanere in tema) dal divertimento bramato, invece una volta preso possesso della nostra plancia di comando le cose si sono rivelate quanto mai ben congeniate. Ciascun ruolo, difatti, ha il suo corposo set di mansioni da gestire, tutte ugualmente importanti e a cui ciascuna missione dedica una consistente fetta di tempo, di modo che nessuno si possa mai sentire sottoutilizzato. La necessità di coordinare spesso tra le loro i compiti di due membri dell’equipaggio, inoltre, garantisce un ulteriore boost alla partecipazione attiva ed al coinvolgimento. Importante, in questo senso, anche la buona generazione procedurale dei vari incarichi, la cui tipologia può essere customizzata in fase di creazione e che, pur a dispetto di una certa ripetitività sul lungo termine, riescono sempre a proporre sfide avvincenti, variegate e decisamente longeve: parliamo di missioni di salvataggio, combattimento ed esplorazione mixate tra loro, che spesso riusciranno ad intrattenere per circa un’oretta. Basandosi interamente sulla comunicazione vocale, appare evidente come la buona riuscita delle missioni, sia pratica che ludica, dipenderà dal livello di affiatamento che riusciremo a sviluppare con gli eventuali sconosciuti che incontreremo: va da sé che in compagnia di una crew di amici tutto cambi in modo radicale, naturalmente in meglio. Non manca, comunque, anche un’opzione in grado di fare felici i solitari, una campagna costituita da una manciata di missioni in cui un singolo giocatore dovrà destreggiarsi in tempo reale tra i quattro ruoli e che, una volta portata a termine, sbloccherà anche la leggendaria Enterprise. Tutto in questa modalità si fa decisamente più complicato e, ovviamente, meno avvincente, ma riesce anche a fungere da corposo ed appagante tutoriale per le scorribande in compagnia.
Carenze linguistiche
Il lato più debole dalla produzione Ubisoft è rappresentato dal comparto tecnico non proprio esaltante, per quanto pulito ed essenziale. Di sicuro non ci troviamo al cospetto di un gioco in grado di mettere a dura prova l’hardware del PlayStation VR, data anche la natura statica del suo gameplay, che si limita a proporre geometrie elementari ed efficaci, accompagnate da un’effettistica non proprio all’avanguardia. Un’altra pecca, anche se questa pare essere oramai una triste costante delle produzioni rivolte alla realtà virtuale, è data dalla totale assenza di una qualsiasi forma di localizzazione che esuli dall’inglese: è vero che la terminologia utilizzata non è mai assurdamente complessa, ma trovo alquanto irritante che un gioco con alle spalle un colosso come Ubisoft manchi anche di un banale set di sottotitoli (che tra l’altro non sono presenti neppure in lingua inglese).
Proseguendo lungo la scia inaugurata con Werewolves Within, Ubisoft sembra trovarsi sempre più a suo agio nel panorama della realtà virtuale, sfornando un nuovo titolo in grado di declinare in salsa fortemente social questo nuovo media videoludico. Star Trek: Bridge Crew, difatti, rappresenta una divertente sortita nel mondo creato da Gene Roddenberry, grazie ad un gameplay forse un po’ troppo statico e non complessissimo, ma comunque ben orchestrato e capace di intrattenere in maniera valida. Purtroppo, data la sua natura fortemente social, la qualità dell’esperienza è determinata dalle persone con cui andremo a condividere il ponte della nostra astronave, pertanto se non volete rischiare di cadere vittima in un poco simpatico buco nero, fareste bene a tenere presente questo limite intrinseco della produzione Ubisoft.