Recensione Spy Chameleon
Crash Bandicoot, Sonic, Gex, Donkey Kong, sono soltanto alcuni dei tanti personaggi antropomorfi che fin dagli albori dell'industria sono entrati a far parte del mondo videoludico, assurgendo in alcuni casi a vere e proprie icone per milioni di giocatori. Ad accomunarli è l'appartenenza al regno animale, una vera e propria fonte di ispirazione per numerosi game designer che hanno trasformato caratteristiche tipiche di alcune specie in veri e propri elementi di gameplay.
Un esempio in tempi recenti è sicuramente Spy Chameleon, un titolo sviluppato da Unfinished Pixel che sfrutta il mimetismo del camaleonte per dar vita a un simpatico arcade puzzle game pubblicato in digital delivery su Wii U, Xbox One e PC
di: Luca "RukaManni" Manni
Crash Bandicoot, Sonic, Gex, Donkey Kong, sono soltanto alcuni dei tanti personaggi antropomorfi che fin dagli albori dell’industria sono entrati a far parte del mondo videoludico, assurgendo in alcuni casi a vere e proprie icone per milioni di giocatori. Ad accomunarli è l’appartenenza al regno animale, una vera e propria fonte di ispirazione per numerosi game designer che hanno trasformato caratteristiche tipiche di alcune specie in veri e propri elementi di gameplay.
Un esempio in tempi recenti è sicuramente Spy Chameleon, un titolo sviluppato da Unfinished Pixel che sfrutta il mimetismo del camaleonte per dar vita a un simpatico arcade puzzle game pubblicato in digital delivery su Wii U, Xbox One e PC
Twister!
Come si intuisce dal titolo, protagonista della produzione targata Unfinished Pixel è un camaleonte che veste i panni di una spia, il cui scopo è quello di infiltrarsi in strutture più o meno sorvegliate al fine di recuperare preziosi cimeli o opere d’arte.
Ognuno dei 75 livelli in cui è suddiviso il gioco, infatti, è in realtà un piccolo puzzle game dalla durata media di 30/40 secondi dove a fare da padrona è l’innata capacità del verde protagonista di mimetizzarsi con l’ambiente circostante cambiando colore della pelle mediante la semplice pressione di un tasto: è sufficiente, infatti, sostare su una delle tante piattaforme colorate sparse nelle aree di gioco “indossando” il colore adatto per passare inosservati agli occhi nemici. Incappare nel loro cono visivo senza le dovute precauzioni, infatti, equivale ad un game over, costringendo il giocatore a dover ricominciare da capo.
Per facilitare il completamento di ciascuna missione e introdurre al contempo degli elementi collezionabili, gli sviluppatori hanno ben pensato di tracciare un “percorso consigliato” per il giocatore attraverso l’uso di mosche, la cui raccolta risulta indispensabile per completare il gioco al 100%. Si tratta sicuramente di un ottimo espediente che, però, cozza con la presenza dei checkpoint in quanto la loro collocazione, alle volte, li rende difficilmente raggiungibili e, di conseguenza, superflui.
Anche se il gameplay può sembrare estremamente semplice a un primo impatto, con il passare dei livelli raggiungere la meta diventa sempre meno scontato e viene richiesto al giocatore una buona dose di tempismo e astuzia per aggirare i droni o le telecamere di sorveglianza posti a difesa del prezioso bene di cui è necessario appropriarsi.
Nonostante le interazioni con gli ambienti aumentino nel corso del gioco e donino varietà alla routine di base, Spy Chameleon, purtroppo, tende ad annoiare dopo pochi minuti e non è certo la presenza di qualche collezionabile che può rendere questo prodotto più appetibile.
Ora mi vedi, ora non più
Il titolo sviluppato da Unfinished Pixel, purtroppo, non vanta un comparto grafico particolarmente ispirato con livelli con tendono ad assomigliarsi un po’ troppo gli uni agli altri e un design degli ambienti e dei nemici non certo brillante.
Così come non è brillante la colonna sonora di questo titolo, con tracce che tendono alla noia nel giro di pochi minuti.
Conclusione
Nonostante qualche buona idea in termini di game design, Spy Chamaleon è un titolo che tende alla noia dopo pochi minuti, a causa dell’innata ripetitività del gameplay e dell’estrema brevità dell’esperienza che lo avrebbero valorizzato molto di più su un dispositivo mobile piuttosto che su una home console o su un PC.
Peccato.