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Recensione Spirit of the North 2

di: Luca Saati

A oltre cinque anni dall’uscita del primo capitolo, Infuse Studio prova a riconquistare i giocatori con Spirit of the North 2, mettendoli nuovamente nei panni – anzi, nel pelo – di una volpe. Il primo Spirit of the North registrò un notevole successo commerciale, sebbene non venne accolto con altrettanto entusiasmo dalla critica. La speranza è che, con questo sequel, Infuse Studio sia riuscita a colmare le lacune che avevano caratterizzato la prima avventura della volpe.

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Una volpe e il corvo

Dopo aver creato la propria volpe tramite un piccolo editor, Spirit of the North 2 butta immediatamente il giocatore sull’Isola delle Volpi, la cui esistenza è minacciata dallo sciamano Grimnir, che ha già distrutto le terre circostanti appartenenti rispettivamente a lupi, orsi, cervi e arieti. Dopo un incipit che mostra il risveglio di questa minaccia, il mondo di gioco si apre con l’obiettivo di localizzare e risvegliare i Guardiani, scomparsi con le maree oscure di Grimnir.

Appare chiaro come, anche questa volta, la trama di Spirit of the North 2 sia un mero pretesto per giustificare le azioni della volpe, in un’avventura dalla longevità pari a circa dieci ore, soprattutto se ci si perde nell’esplorazione del mondo.

Il gioco, in tal senso, offre una discreta libertà in termini di esplorazione, con collezionabili sparsi qua e là che espandono la lore. Ci sono anche frammenti di cristallo utili a sbloccare gli Obelischi e a rivelare porzioni di mappa, con punti di interesse da investigare. Non mancano nemmeno dei piccoli commercianti procioni, adorabili, presso cui acquistare articoli, mentre le loro espressioni facciali limitate si illuminano di gioia.

Il problema dell’esplorazione è che si ha sempre la sensazione che sia troppo scriptata. La volpe può muoversi liberamente nello scenario, ma le fasi di arrampicata sono sempre precalcolate, segnalate da una piccola freccia azzurra che indica la pressione di un tasto per attivare l’animazione di salto. Proseguendo, si sbloccano delle rune che danno accesso ad abilità come il doppio salto, la planata, lo scatto in avanti o la possibilità di assumere una forma spirituale temporanea. Tuttavia, quella sensazione di scripting permane per tutta la durata dell’esperienza, limitando la godibilità delle sequenze platform, ulteriormente compromessa da una legnosità dei controlli davvero inaccettabile per un gioco del 2025.

I puzzle sono molto classici e prevedono la raccolta di un oggetto che funge da chiave, oppure l’interazione con elementi meccanici come leve, o ancora lo spostamento di piccoli totem. C’è una certa ripetitività di fondo, e può capitare di dover percorrere lunghe distanze tenendo in bocca l’oggetto utile alla risoluzione di un enigma. Inoltre, vista la libertà concessa nell’esplorazione, può succedere di trovare un oggetto chiave prima di scoprire a cosa serva, obbligando il giocatore a vagare finché non si individua l’area interessata.

Il corvo, almeno teoricamente, dovrebbe svolgere la funzione di bussola che indica la strada da seguire. Tuttavia, alterna momenti in cui svolge correttamente il suo compito ad altri in cui rimane troppo vicino alla volpe, costringendo il giocatore a girare a vuoto per comprendere la direzione giusta.

Nel corso dell’avventura si raccolgono cristalli da spendere in vari modi, tra cui i già citati procioni o gli obelischi che sbloccano la mappa. Morire comporta la perdita di questi cristalli e, come nei souls-like, potranno essere recuperati solo raggiungendo il luogo della morte. Ci sono poi le gemme, che permettono di migliorare statistiche come la salute e la resistenza ai danni, o di sbloccare nuove abilità – alcune delle quali legate direttamente al corvo – oltre alle già menzionate rune. Insomma, nell’insieme, la progressione e la personalizzazione della volpe sono senza ombra di dubbio l’aspetto più riuscito dell’intera esperienza.

Visivamente, l’Unreal Engine 5 non viene certo spinto al massimo delle sue potenzialità. Non che mi aspettassi chissà cosa da una produzione indie, tuttavia avrei gradito almeno un po’ di stabilità in termini di prestazioni. In modalità Fidelity si registrano cali di frame rate inspiegabili, mentre in Performance i 60 fps risultano stabili. Esteticamente, il gioco è anche gradevole, con questo strano mix tra realismo e animazione, ma gli ambienti risultano molto spogli. L’illuminazione è strana: il sistema, nel passaggio da zone aperte a chiuse, sbarella completamente, generando aree improvvisamente troppo buie. L’audio, infine, svolge il compitino, con effetti sonori che accompagnano l’azione senza mai stupire.

Quando la volpe non arriva all’uva…

Spirit of the North 2 è un titolo che prova a espandere le idee del primo capitolo, offrendo un mondo più grande, una progressione più profonda e una maggiore libertà esplorativa. Tuttavia, i limiti tecnici, un’esplorazione troppo guidata e puzzle poco ispirati finiscono per smorzare l’impatto emotivo e ludico dell’esperienza. La bellezza di alcuni scorci e la dolcezza della protagonista non bastano a mascherare le rigidità strutturali che, nel 2025, risultano ormai difficili da perdonare. Il cuore c’è, ma manca il passo deciso per elevarsi oltre la mediocrità.