Recensione Sound Shapes: salto, quindi suono
Chiariamoci subito: questa volta ho scelto, di proposito, di spogliarmi dei panni del freddo recensore, di abbandonare la veste di colui demandato, non si sa né da chi né perché, ad elencare freddamente i pregi ed i difetti del titolo di turno. No, stavolta non ho proprio voglia di scrivere la classica ammucchiata di parole: Sound Shapes non se lo merita. Affatto. Un prodotto come la creatura di Queasy Games merita più di una semplice cronaca, un’asettica analisi incapace di rendere giustizia ad un gioco semplice (sia nell’aspetto che nelle intenzioni), ma capace di sollevarsi dal mare di quell’anonimato che oramai da anni spadroneggia tra le roboanti produzioni tripla A. Perché spesso le grandi idee sono anche le più immediate e, molto più spesso, non hanno bisogno di budget a dieci zeri per risultare tali.
di: Simone CantiniChiariamoci subito: questa volta ho scelto, di proposito, di spogliarmi dei panni del freddo recensore, di abbandonare la veste di colui demandato, non si sa né da chi né perché, ad elencare freddamente i pregi ed i difetti del titolo di turno. No, stavolta non ho proprio voglia di scrivere la classica ammucchiata di parole: Sound Shapes non se lo merita. Affatto. Un prodotto come la creatura di Queasy Games merita più di una semplice cronaca, un’asettica analisi incapace di rendere giustizia ad un gioco semplice (sia nell’aspetto che nelle intenzioni), ma capace di sollevarsi dal mare di quell’anonimato che oramai da anni spadroneggia tra le roboanti produzioni tripla A. Perché spesso le grandi idee sono anche le più immediate e, molto più spesso, non hanno bisogno di budget a dieci zeri per risultare tali.
Ritmo letale
E dire che mi ero avvicinato a Sound Shapes un po’ scettico, anche a causa delle lodi sperticate che hanno accompagnato la produzione Queasy Games sin dal suo primo trailer: non sono, difatti, state poche le volte che un gioco osannato dalla massa mi abbia lasciato completamente indifferente, per non dire profondamente disgustato. E allora carico Sound Shapes, sorridendo beffardamente non appena l’interfaccia minimal mi da il benvenuto, invitandomi a far rotolare per lo schermo una sorta di uovo al tegamino bicromatico.
Ecco, l’ennesimo gioco low budget spacciato per arte videoludica: mentirei se dicessi di non aver pensato anche solo per una frazione di secondo questa frase. E che dire dei suoni retrò che hanno accompagnato la mia discesa in quello che ho ritenuto, a torto, l’ennesima bufala videoludica della mia carriera. Per me, amante (e praticante) dell’indie e dell’hard-rock, udire quei suoni fintovintagepseudoelettronici è suonato come un’onta imperdonabile. E poi si doveva saltare. Semplicemente saltare, evitare delle creaturine rosse e raccogliere più monetine musicali possibili. Wow, tutto qua: quasi 13 Euro per compiere mosse che già erano vecchie e abusate al calare degli anni ’80. Eppure, piano piano, quello scarno ovetto ha preso il controllo della mia mente, piegandola al suo subdolo volere e portandomi ad intrattenermi con lui all’interno di quel mondo lo-fiben oltre il preventivato. E cosa assai più grave, mi sono sorpreso a canticchiare, muovendo ritmicamente la testa, le musiche che si andavano dipanando davanti alle mie orecchie man mano che le monetine si incastravano in quello strano spartito. Saltare, evitare e raccogliere: un trittico in apparenza banale, ma capace di stregare come solo i grandi giochi sanno fare.
Un po’ di questo e un po’ di quello
Se avete avuto la (s)fortuna (dipende dai punti di vista) di possedere una PSP, sicuramente i nomi di Patapon e Locoroco non vi saranno certo estranei.
Ecco, prendete il ritmo martellante del primo, unitelo al design del secondo, conditeli con una spruzzata di Elektroplankton (giusto per non far torno a Nintendo) e forse avrete un’idea più chiara di cosa si celi all’interno di Sound Shapes. Il concetto di base, come già detto, è semplicissimo: abbiamo 5 mondi a disposizione, ognuno dotato di uno stile grafico e di un tessuto sonoro unico, che dovremo attraversare cercando di raccogliere il maggior numero di monete. Il tutto controllando una morbida creatura sferica in grado di poter aderire ad ogni superficie chiara, ma incapace di attaccarsi a quelle scure e mortalmente ferita se a contatto con ogni elemento rosso. Semplice, ma questo ve l’avevo già detto. Ogni moneta raccolta porterà alla ribalta un suono, dando letteralmente vita ad ogni passo a quella che è la colonna sonora di questa stilizzata avventura. Artisti del calibro di Beck, Deadmau5, I’m Robot and Proud, Jim Guthrie hanno contribuito a rendere la soundtrack unica e dannatamente trascinante. E mai come in questo caso un buon impianto stereo o un paio di performanti cuffie possono fare davvero la differenza.
Questo l’ho fatto io!
Ecco, poi c’è la vera trappola di Sound Shapes. Sì, ochei, lo slogan play, create, share sembra oramai di casa quando si parla di software targato Sony, al punto che tra i vari Little Big Planet, Modnation Racers e futuri Sackboy su ruote, lo stupore che una simile frase poteva suscitare qualche anno fa si è andato decisamente ridimensionando. Ed era quello che pensavo anche io. Peccato che, superate le difficoltà iniziali, affatto mitigate da un tutorial più pretestuoso che altro, ho finito con il perdermi per ore nei meandri di un editor capace di stregare con poche mosse. Forme semplici e suoni altrettanto minimali, unite a pochi gesti, sono più che sufficienti per creare il vostro primo livello interamente fatto a mano. E si impiega ancora meno a pubblicarlo sui server di gioco, pronto a mettere alla prova le dita (e le orecchie) degli altri fortunati che avranno scelto di investire, per una volta più che saggiamente, i 12.99 Euro chiesti da Queasy Games.
Tutto bello? Tutto perfetto? Nemmeno un difettino? No, perché se questo fosse stato il gioco perfetto adesso non starei scrivendo questo delirio digitale, ma sarei ancora con le mani incollate al controller. Pur godendo di una impeccabile condivisione cloud dei salvataggi, trasferibili in ogni momento da PS3 a Vita e viceversa, mi è dispiaciuto assai notare come un simile sistema non si applichi ai livelli creati in prima persona: è impossibile, difatti, switchare un progetto in corso da una macchina all’altra. Peccato. Inoltre, graficamente parlando, Sound Shapes fa schifo. O meglio, fa schifo se siete tra coloro che sbavano al solo vedere le meraviglie mostrate dalle tech demo destinate alla oramai prossima (?) generazione di console.
Ecco, se ingrossate le fila di coloro che ambiscono alla massima pulizia grafica, alla cura maniacale delle texture, state alla larga da questo gioco! Non fa per voi, non lo capireste e magari finireste solo con il parlarne male, offendendo e magari pure ostacolando la diffusione di una piccola perla. La forza di questo ammasso di codice risiede nel suo gameplay immediato ed assuefacente, nel suo essere così modernamente old school. E poco importa se la campagna principale si esaurisce in una manciata scarsa di ore, dato che tra sfide secondarie, editor, livelli della community e desiderio irrefrenabile di battere il record di quel tizio capace di finire quell’ultimo, bastardo livello in una manciata di secondi, Sound Shapes è capace di regalare un divertimento virtualmente infinito. Come solo i grandi giochi sanno fare: e scusate se è poco. E se penso che per un pugno di spiccioli ci si porta a casa sia la versione PS3 che quella per Vita (che mi dicono non abbia bei giochi all’attivo, tra l’altro), mi fanno tenerezza coloro che decideranno di risparmiare i loro soldini solo per buttarli nell’ennesima, copiaincollata iterazione del prossimo blockbuster (aggiungete pure il titolo preferite) annunciato di turno.