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Recensione Soul Covenant

di: Simone Cantini

Lo confesso, non ho mai digerito a dovere la dipartita di PS Vita che, nel corso della sua sfortunata e travagliata esistenza, è riuscita a regalarmi ugualmente una manciata di titoli capaci di rimanermi impressi nella memoria. Tra questi figura baldanzoso Soul Sacrifice (sia in forma vanilla che Delta), indicato come uno dei fautori della rinascita dell’handheld Sony ma che, alla fine dei giochi, non riuscì ad andare oltre il suo voler essere l’ennesimo tentativo del colosso giapponese di bissare il successo di Monster Hunter, che tanto dette a PSP. Al netto dei suoi limiti, l’avventura in questione riuscì ad appassionarmi a dovere (come dimostrano le mie parole a spese a suo tempo proprio qua sul Tribe), e per questo non ho potuto fare a meno di drizzare le antenne all’annuncio di Soul Covenant, jrpg in chiave virtuale che ha tra i suoi responsabili proprio alcune delle figure artefici della citata coppia di avventure portatili. Vediamo insieme come è andata questa volta…

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Death by death

Le vicende di Soul Covenant sono ambientate in un imprecisato futuro, quando la Terra è oramai preda delle forze del Deus Ex Machina, un IA robotica che grazie alle sue armate meccaniche ha oramai soggiogato la popolazione umana. L’unica speranza di salvezza è costituita da una forza armata formata da cloni che, per mezzo di un particolare programma chiamato Reincarnation Project, sono in grado di immagazzinare e trasferire in nuovi corpi i ricordi e le abilità dei soldati chiamati ad animare questi involucri prodotti in serie. Un vizioso circolo di morti e rinascite che è anche alla base degli strumenti bellici dei soldati in questione, dato che le ossa dei compagni caduti possono essere riconvertiti in letali armi bianche, che saranno anche al centro del combat system della produzione firmata Thirdverse. A metà strada tra un Terminator ed un hunting game, il racconto vissuto all’interno di Soul Covenant avrebbe dell’indubbio potenziale, ma non riesce mai ad andare oltre all’essere un mero orpello, a causa di una scrittura non proprio eccelsa, a cui si affianca il modo in cui il gioco sceglie di srotolare la sua sceneggiatura.

Il racconto si snoda attraverso esili porzioni in cui una voce narrante si accompagna a semplici immagini statiche, in frammenti raramente più lunghi del minuto che rendono davvero difficile appassionarsi alle vicende, oltre che ad empatizzare a dovere con i vari comprimari. A dispetto dell’essere un titolo unicamente VR, a latitare in tale direzione è proprio il senso di immersione e partecipazione, mancanza che rende il tutto estremamente asettico e distaccato, lontano anni luce dal piacere e dal trasporto che ci aveva fornito il fisico sfogliare le pagine di Librom in Soul Sacrifice. E considerando che parliamo di un titolo di stampo ruolistico, della durata di circa una dozzina abbondante di ore, l’assenza di una sceneggiatura convincente non può che lasciare l’amaro in bocca.

Raccogli le mie ossa

Anche a livello puramente strutturale, Soul Covenant non si esibisce in chissà quale complessa esibizione, limitando al minimo la sua ossatura ludica. Una volta caratterizzato esteticamente il nostro avatar, per mezzo di un editor davvero essenziale (pure troppo, ma in fondo non lo vedremo mai, se non nella schermata di power up), saremo accolti da Eve, l’intelligenza che gestisce la Tokyo Ark, una delle ultime roccaforti umane. Qua avremo accesso alle varie missioni, che saranno tutte scandite secondo la medesima struttura: fase narrativa iniziale, combattimento, epilogo. Una struttura che si dipanerà identica a sé stessa lungo tutti i capitoli dell’avventura, situazione che rende tutto davvero molto blando e poco catchy. Fortunatamente le cose cambiano radicalmente quando si tratterà di scendere sul campo di battaglia, e Soul Covenant ci lascerà menare le mani per mezzo del suo combat system assai semplice, ma comunque funzionale.

A nostra disposizione avremo un’arma corpo a corpo chiamata Scapegoat (gli strumenti di offesa creati dalle ossa dei caduti), il cui numero e varietà andrà ad ampliarsi nel corso del gioco. Peculiarità di ciascun oggetto sarà quello di presentare una duplice modalità di attacco, a seconda dell’utilizzo ad una o due mani, situazione che crea possibilità di offesa sempre nuove ed imprevedibili. Il tutto si traduce in un sistema melee non certo rivoluzionario, ma comunque piacevole e divertente, che potrà contare anche sulla presenza di uno scudo (inutilizzabile in caso di dual wielding, situazione che fornisce al tutto un pizzico di strategia in più) e di un letale raggio, caricabile raccogliendo i frammenti di dati rilasciati dai nemici sconfitti. Il tutto è calato all’interno di semplici arene, che ci vedranno intenti a semplici missioni di può massacro, oppure di difesa di peculiari strutture o personaggi. Di tanto in tanto, inoltre, faranno la comparsa dei veri e propri boss e miniboss, che dovremo analizzare per scoprirne i punti deboli e che rappresenteranno delle minacce da non sottovalutare.

Al termine di ciascuna sortita saremo ricompensati con dei punti e degli oggetti a seconda del giudizio ottenuto, che potremo spendere per potenziale le nostre armi, oppure le statistiche del nostro avatar. Si tratta di un set di meccaniche sicuramente non rivoluzionarie, ma che una volta calato in testa il nostro visore VR si rivelano divertenti ed appaganti, anche se sul tutto aleggia sempre lo spettro della ripetitività eccessiva, anche in virtù della necessità di replicare più volte alcune missioni per poter accumulare gli oggetti necessari allo sblocco delle skill più avanzate. La situazione potrebbe migliorare grazie alla componente multiplayer, in grado di permettere a 4 giocatori di combattere assieme, ma nonostante i giorni di test non sono mai riuscito ad incrociare i controller con anima viva. E visto che l’IA alleata non brilla certo per acume…

Un bel brutto futuro

E veniamo ora all’aspetto sicuramente più intrigante di Soul Covenant, ovvero il comparto tecnico, che al netto di qualche sbavatura marginale si è rivelato uno dei punti di forza dell’intero pacchetto. A colpire in primis è l’estrema pulizia grafica, che riesce a regalare un impianto estetico assolutamente apprezzabile, oltre che caratterizzato da una direzione artistica squisitamente nipponica molto piacevole. A spiccare su tutto è il design delle creature nemiche, disturbanti e molto ben costruite, che vanno ad appaiarsi alla resa delle nostre armi, esagerate e spettacolari da vedere ed impugnare. A grandi linee il tutto mi ha ricordato le esagerazioni care a God Eater, il che data la tipologia di gioco in questione non è certo un male. Gli stessi personaggi umani colpiscono nel segno e, pur non sperticandosi in chissà quali ardite caratteristiche, risultano funzionali e coerenti con ambientazione e storia. Peccato per la piattezza un po’ troppo eccessiva degli stage di gioco, invero alquanto basilari, ma nel complesso ci possiamo ritenere decisamente soddisfatti di ciò che Soul Covenant muove davanti ai nostri occhi. Buono anche il comparto audio, che può vantare il solito e ficcante voice in lingua giapponese (presente anche l’inglese), localizzato testualmente in molte lingue tra le quali, però, non figura la nostra.

Soul Covenant mi ha fatto decisamente arrabbiare, visto che è riuscito a non rendere giustizia ad un concept di gioco sicuramente interessante in ottica VR, ma che ha finito per modellarsi attorno ad un’esperienza non proprio esaltante sotto vari aspetti. A latitare in primis, elemento abbastanza grave per un jrpg, è la sceneggiatura, che si è rivelata non certo in grado di assecondare a dovere l’azione sullo schermo. A ciò fa eco un mood di gioco alquanto ripetitivo, che già dopo una manciata di missioni finisce per svelare tutte le proprie carte. Quello che resta, comunque, è un loop di gameplay divertente e riuscito che, pur non inventando chissà cosa, funziona in modo efficace, grazie anche all’impatto visivo sicuramente pregevole che ci regala. Avrebbe potuto fare di più? Sicuramente sì, ma preso anche solo per un’esperienza mordi e fuggi (vista la sua peculiare struttura) Soul Covenant potrebbe fare la gioia di chi cerca un titolo funzionale e senza troppe pretese.