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Recensione Smalland: Survive the Wilds

di: Luca Saati

Se c’è una cosa che ho imparato in anni di carriera videoludica è che ai giocatori piace usare una zappa, un piccone o un’ascia, così come adorano dedicarsi all’edilizia. Insomma se nella vita reale manca un certo tipo di manovalanza, lo stesso non si può dire in ambito videoludico con i giocatori sempre pronti ad accogliere un nuovo survival sandboxSmalland: Survive the Wilds di Merge Games è l’ultima new entry appartenente a questo genere, disponibile nella sua versione 1.0 su tutte le piattaforme dopo quasi un anno in early access su PC.

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Questione di prospettiva

Il giocatore veste i panni di uno Smallfolk, una minuscola razza di persone con alcune caratteristiche fisiche che ricordano gli insetti come antenne sulla testa, orecchie allungate e unghie affilate. L’obiettivo è ovviamente scoprire questo mondo inospitale e sopravvivere ai suoi tanti pericoli sottoforma di creature giganti tra formiche, api, cavallette e così via. Quello di Smalland: Survive the Wilds è un mondo ricco di attività da scoprire e luoghi da esplorare, ci sono anche insediamenti di altri Smallfolk con cui interagire per ricevere nuove quest, commerciare e così via.

Dopo aver creato il mio personaggio tramite un editor molto modesto, sono stato catapultato in questo mondo gigante. Nei primi momenti di gioco vi è un percorso abbastanza prestabilito da seguire scandito da delle statue di gufi che offrono alcuni consigli di sopravvivenza. Questi primi momenti sono comunque stati un po’ dispersivi e dopo poco ci ho rimesso le penne a causa di un gruppo di api. Con la morte si perde tutto il proprio equipaggiamento e si viene riportati in vita al punto di spawn. Mi sono recato nel posto dove sono morto per recuperare tutto il mio equipaggiamento perduto e mi sono rimesso in cammino.

Dopo questo primo trauma sono entrato nel mood survival del gioco raccogliendo le prime risorse come legnetti e fibre di piante per costruire i primi oggetti. Una spada per combattere e una torcia per illuminare il mio cammino dato che di notte è davvero buio e non si vede praticamente niente. Un’ascia per raccogliere materiali di qualità migliore e un martello per poter accedere alla parte dedicata alla costruzione: si inizia con un falò per riscaldarsi e cucinare per tenere così a bada la fame, per poi passare alle prime mura, un tetto sulla testa e soprattutto un letto che può essere impostato come punto di spawn in caso di morte.

E così dopo aver costruito una propria dimora sono andato alla scoperta di questo mondo di dimensioni piuttosto generose e ricco di diversità. Tra lussuriose foreste, paesaggi innevati, torridi deserti, misteriose cripte e insediamenti. Smalland: Survive the Wilds non si fa mancare niente e nel corso del suo playthrough riesce sempre a mantenere quel senso di scoperta fondamentale per il genere.

Il problema dell’opera di Merge Games è che non fa niente per offrire qualcosa di davvero nuovo oltre a un’ambientazione abbastanza inedita se escludiamo dall’equazione il solo Grounded di Obsidian Entertainment. Il gameplay fa insomma il compitino con componenti survival crafting molto tradizionali: si raccolgono risorse con cui costruire insediamenti e potenziamenti per il proprio personaggio così da andare sempre più in là con l’esplorazione tenendo anche sott’occhio la barra della fame, o stando attenti alle temperature più estreme come il freddo. Il combattimento è fin troppo semplice e manca di profondità: con il grilletto sinistro per effettuare una parata con tanto di counter con il giusto tempisto, il grilletto destro e il tasto dorsale per un attacco rapido o pesante, e un tasto per la schivata. Il personaggio può anche salire di livello andando a migliorare le sue statistiche, e avanzando nel gioco è possibile sbloccare un rampino, le ali per planare e addirittura alcune cavalcature che possiamo definire esotiche come uno scorpione o un’ape. Tutto funziona senza particolari vette di eccellenza, il gioco diverte abbastanza se si apprezzano questo tipo di esperienze e se magari si ha la giusta compagnia (il gioco supporta partite fino a un massimo di 10 giocatori contemporaneamente).

I menù e l’interfaccia non mi hanno fatto impazzire trovandoli poco controller-friendly. Ad esempio per cambiare equipaggiamento al volo non è presente la classica ruota delle armi richiamabile con un tasto, ma nella parte inferiore dell’interfaccia è presente la tipica barra degli oggetti rapidi (esattamente come quella presente solitamente nei giochi per PC) selezionabili mediante le frecce.

Il comparto visivo è tutto sommato piacevole con un look cartoon che riesce a nascondere i limiti indie della produzione. Non ho apprezzato molto le animazioni e i modelli base dei personaggi (complice anche un editor abbastanza scarno), anche se la situazione migliora procedendo nell’avventura che permette di sbloccare tanti pezzi di equipaggiamento con cui personalizzare il proprio Smallfolk. Ciò che riesce molto bene a Smalland: Survive the Wilds è il far sentire il giocatore piccolo piccolo in un mondo di giganti con pozzanghere che sembrano laghi, alberi grandi quanto dei grattacieli e crepe che sono dei burroni. Buoni gli effetti meteorologici e gli effetti d’illuminazione, così come il sonoro che tra la musica e il rumore degli insetti riesce a trasmettere la giusta sensazione di pericolo. Per chi soffre di aracnofobia è presente una modalità attivabile nelle impostazioni. Lato prestazioni il gioco non mi ha mai dato problemi ad eccezione di microcaricamenti in alcuni punti di salvataggio.

Commento finale

Il vero difetto di Smalland: Survive the Wilds è che non fa niente per provare a conquistare chi non è mai riuscito ad apprezzare del tutto questo tipo di esperienze di gioco. L’ennesimo survival sandbox di cui forse non se ne sentiva il bisogno, ma che risulta un’esperienza solida e divertente per tutti gli appassionati del genere che magari vogliono provare un’ambientazione un po’ diversa dal solito.